Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 28

N. 28 - 14 luglio 1872

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[p. 229 modifica]COSE ROMANE nuovo assalti, botte, sarcasmi e di si credere che alla letamerebbe risposto altriepigrammi, e ancora quello spietato sentiquella rettorica opprimente mentalismo. Si aveva qualche ragione tera dell’editore-proprietario I signori associati che non hanno ancora rinnovato l’abbonamento del secondo semestre, sono pregati di farlo senza indugio per evitare ritardi nella spedizione del giornale. Domandiamo scusa ai nostri lettori se li intratteniamo di cose che non li riguardano; ei siamo proprio tirati pei capelli dai paladini della stampa romana, i quali da qualche tempo non fanno altro che occuparsi moltissimo delle private faccende dell’editore Ricordi. Abbiamo segnalato altra volta il fatto di questo nuovo genere di crociata inaugurato nella capitale, ed abbiamo detto che il premere sopra l’animo d’un privato e volerlo indurre ad ogni costo a sagrifìcare le proprie opinioni e i proprii interessi sull’altare della così detta opinione pubblica, ei pare cosa assolutamente ri de vole. Ne giudichi il senno della gente spassionata. Si tratta dell’Aia, voluta dai Romani e negata dall’editore proprietario, il quale pensa che sia impossibile ottenere a Roma una buona esecuzione, e non sa indursi ad esporre l’ultimo capolavoro di Verdi ad un massacro. Inde irae. Tutti i cerberi della stampa romana si scagliarono contro l’Editore; convinti della propria missione, hanno fatto l’articolo, hanno fatto V entrefilet, il comunicato, l’epigramma, l’appendice, ed hanno provato fino all’evidenza che l’editore-proprietario Ricordi è un prepotente, un pagano, un vandalo, perchè si vale dei suoi diritti e non se ne dimentica in omaggio della città santa, e un poco anche della loro eloquenza. La quale, gira c rigira, si riduce poi sempre a questo argomento: la capitale diItalia non deve essere l’ultima a giudicare l’ultima opera di Verdi. In questi ultimi giorni la bella commedia ha ripreso l’andare con nuova veemenza, ma sempre colla stessa preziosa rettorica e collo stesso sentimentalismo ammirabile. L’occasione fu fornita da una lettera del 27 giugno scritta dalla Commissione Teatrale di Roma all’editore Ricordi. In quella lettera chiedeva ancora TAida, dichiarandosi disposta ad ogni richiesta, e invitando l’Editore a farle conoscere tutte le precise condizioni, ecc.... L’editore ebbe l’audacia di credere che questo ogni non potesse servire ad altro che a mostrare labuona volontà, rispose che non credeva possibile, che l’impresario Jacovacci potesse, a stagione cosi inoltrata, riunire un complesso d’artisti di cartello pel carnevale, nè provvedere le masse dei cori e d’orchestra necessarie, nè assicurare uno splendore di messa in iscena che non è nelle sue abitudini. Non l’avesse mai fatto; un giornale corre in Campidoglio e ottiene copia delle due lettere e le stampa; dieci altri giornali le riproducono lamentando il privilegio del primo, e di menti. In quella lettera si dubitava che Jacovacci potesse formare una compagnia di vero cartello (e se ne dubitava con qualche ragione in quanto la stessa Commissione ha protestato la compagnia scritturata finora da Jacovacci come di cartello) si aspettavano nomi, proposte, scritture; doveva esser facile dire: «avremo il celebre tenore X, e il celebre soprano Y, e il celebre baritono Z; avremo cori numerosi, orchestra idem; Jacovacci si metterà in rovina per il lusso della messa in scena.» Niente di tutto ciò: si pubblicano le lettere, si stampa Y ogni della lettera della Commissione a caratteri majuscoli, e poi da capo rettorica e sentimentalismo, sentimentalismo e rettorisa. «Ricordi è un pagano, Roma è la città santa; la Capitale d’Italia ha diritto...» e simiglianti facezie. Vi fu qualcuno che osservò che se Roma è divenuta la capitale d’Italia per volere della Nazione, non può pretendere di divenire d’un tratto ciò che non fu mai — un gran centro musicale. Che gli splendori scenici non s’improvvisano come le capitali politiche, che ei è una scuola da fare, che ei sono abitudini da spezzare, rottami da buttare nel mondezzaio, prima che sorga il nuovo, e che perciò l’argomento della capitale è nulla di meglio che un puerile luogo comune. [p. 230 modifica]232 PENDÌO GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Quei giornali così teneri del decoro della capitale non hanno posto mente, a quel che pare, al Rendiconto morale dell’Amministrazione comunale in Roma, sessione di primavera 1872. Eccone un brano testuale: «Una delle più complicate parti dell’Amministrazione comunale è il Teatro. Il Municipio vi spende annualmente una somma cospicua, ma è lungi dal ricavarne il decoro e lo splendore che se ne potrebbe aspettare. «Il problema dei teatri per noi è imbrogliato, tanto dal lato materiale quanto dal lato artistico. «Il Municipio possiede due teatri acquistati, non è molti anni dal Principe Torlonia, uno in proprietà assoluta, l’Argentina, l’altro in proprietà enfìteutica, il teatro Apollo. Nè Furo, nè l’altro sono all’altezza di un teatro degno della Capitale.» (Descritti gli inconvenienti materiali dei fabbricati, la relazione prosegue:) «Dal lato artistico il teatro non è sinora in migliori condizioni. Un contratto che il nuovo Municipio ha trovato, ei lega fino a tutto il prossimo inverno 1873 coll’impresario che ha la concessione dei due teatri comunali. Il Municipio è obbligato a pagargli una dote annua che s’è dovuto gradatamente aumentare in questi due anni, e l’impresario ha a tutto suo carico, rischio e pericolo, non solo i cantanti, ma l’orchestra, le masse corali, il corpo di ballo, ecc... «Sembrerebbe che l’interesse privato dovrebbe stimolare T impresario ad organizzare ciò nel miglior modo e dare gli spettacoli più soddisfacenti pel pubLA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL PILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26 e 21). Nel sentire queste parole, il duca alzossi ed accuratamente guardò intorno; alcune coppie d’amanti giravano fra le macchie, e non era diffìcile che udissero le parole del pittore. — Torniamo a Madrid, Velâzquez, disse avvicinandoglisi di nuovo; il nostro colloquio si è fatto troppo serio perchè possiamo continuarlo qui con grave pericolo di essere uditi. In così dire pigliò famigliarmente il braccio dell’artista, e si diresse con esso alla sua carrozza, i cui cavalli partirono di trotto verso Madrid appena che il duca e Velâzquez ebbero preso posto in essa. In che modo il Re ha veduto questa fanciulla? chiese il duca appena il fracasso del cocchio potè coprire la sua voce. — Mille volte mi aveva chiesto di mia sorella, esigendo che gliela presentassi; ma io con vari pretesti me ne scansai; tre giorni fa entrò improvvisamente nel mio studio, del quale possiede la chiave dall’istante che mi fece suo pittore di camera, e ei sorprese mentre io stava facendo il ritratto di Anna. Alla vista di essa rimase muto di stupore, e appena potè pronunciare qualche parola. Invece, la innocente fanciulla non manifestò la più piccola sorpresa. — Chi è quel signore tanto bello? mi chiese. — S. M. il Re, risposi senza saper quel che mi dicessi. In allora il Re le stese la mano, che essa affatto ignara di ogni etichetta, non si chinò a baciare, contentandosi di strinblico. Fatto è che ciò non succede, c che v’è una continua lotta fra l’impresario e la Deputazione dei pubblici spettacoli, che cura gl’interessi del Municipio sovventore. Messa da banda la quistione se l’Amministrazione Comunale debba pensare a divertire il pubblico col teatro, risulta intanto che dalla ingente soipma che il Municipio vi spende, l’Afte non ricava vantaggio di sorta. „ (Progettata una Commissione che studi tale quistione, il Rendiconto conclude:).... e si toglierebbe lo sconcio di avere orchestra e coristi generalmente di molto mediocre abilità, mal pagati, sempre malcontenti, indisciplinati e continuamente in lotta coll’Impresario»!!!!! E con uno stato cosi soddisfaccente dei teatri di Roma, si ha il coraggio di incolpare l’editore se non permette la rappresentazione dell’MÆ!!!! Concludiamo per amor del prossimo. 0 si crede che il proprietario dell’Màùz voglia cavarsi il gusto del tiranno da commedia, rinunziando al prezzo dei noli, o che abbia qualche irriverente ira contro la capitale d’Italia, e la cosa è semplicemente ridicola; o si crede che egli non sappia il proprio tornaconto, e allora diremo che ciascuno è il miglior giudice dei propri interessi. Quanto al decoro dell’arte è vano ragionarne con chi non sa parlare che del decoro del campanile. gerla leggermente come se fosse quella di un vecchio amico. — Voglio nominare la tua bellissima sorella dama d’onore della Regina. o Velâzquez, mi disse il Re subito, senza distogliere gli occhi da Anna. — Supplico V. M. di non far ciò, risposi rosso dall’indignazione. — Perchè? — Perchè non consentirei mai che accettasse simile grazia. Lo sguardo con cui accompagnai queste parole dovette far palese al Re il mio pensiero, giacché la dolce espressione dei suoi occhi convertissi in altra, piena di collera. Un istante dopo uscì dal mio studio chiudendo con violenza la porta. — Temo di tutto, continuò l’artista, temo di tutto dal carattere del Re, e solo confido nella vigilanza del mulatto, che è per Anna e per me un fedele alano. — Confidate pure nella mia amicizia, don Diego, disse il duca stringendo affettuosamente la mano del pittore. — Grazie, signor don Giovanni! Non posso valermi in questa occasione dell’amicizia, vostra; anzi vi supplico, con tutte le. forze dell’anima mia, di fìngere freddezza con me, ovvero che del tutto mi obbliate. Sospetto di essere vicino a cadere dal piedestallo su cui mi collocò la fortuna, e vi amo troppo per involgervi nella mia rovina. Il cocchio giungeva allora al palazzo del duca; ma questi immerso nella profonda commozione che gli produssero le generose parole di Velâzquez, non s’accorse d’essere a casa se non quando i cavalli fermaronsi. — Anima nobile! esclamò gettando le braccia al collo dell’artista; non paventate le ire della sorte; non farò nulla in palese per voi, perchè, come assai bene diceste, m’involgerei nella vostra rovina; sappiate però ch’io saprò conservarvi su codesto piedestallo che avete tanto onorificamente conquistato, e dal quale una mano vi vuole strappare. In queiristante, a caso, fissò lo sguardo sopra un cavaliere che passava rasente al cocchio: era il conte-duca di Olivares che camminava in fretta verso il palazzo, e che nel sentire le ultime parole del duca, raddoppiava il passo verso il reale alcàzar. Il duca entrò in sua casa, e ordinò al cocchiere che conducesse T artista al palazzo, dove, come già si disse, abitava. [p. 231 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 233 A PADOVA I giudizii dei giornali sono più espliciti dopo le rappresentazioni succedute alla prima, con successo sempre crescente. Ecco ciò che scrive il Giornale di Padova in data del 7 corrente: «.Bisogna tornare molto indietro nei fasti delle nostre maggiori scene per ricordarsi di un successo clamoroso, sotto tutti gli aspetti, come quello che -ottiene presentemente I/AIDA dell’illustre Verdi. E l’entusiasmo è ancora in crescendo. • Ieri sera il teatro era splendidissimo, e tra la folla degl’intervenuti si contavano parecchi triestini, con qualche signora elegante di quella città.» Inutile enumerare le chiamate e gli applausi fragorosi, che in qualche punto, come per esempio, al duetto delle due donne, arrivarono alla frenesia. «Chiunque parla di questo spettacolo riassume le sue impressioni con una sola parola: immenso». Il Corriere Veneto del giorno 8 dice: «La rappresentazione dell’AiÆà aveva per Padova un interesse abbastanza vivo, poiché quest’opera non era stata rappresentata che al Cairo, a Milano, ed a Parma. Si trattava quindi di udire una novità, e noi ei recammo al nostro teatro molto preoccupati dell’accoglienza che le si farebbe; ma i nostri timori svanirono, che il pubblico mostrò subitamente apprezzare questo nuovo lavoro di Verdi, con quell’applauso che solo il vero genio sa strappare fino ai più restii. L’esito pure della seconda e terza rappresentazione fu completo, ed il pubblico, diciamolo senza esitanza, prese a gustare ogni giorno più tutte le bellezze e i pregi sia della musica, che dell’esecuzione. La romanza di Radamès, l’inno di guerra rilevato dalle masse e dall’orchestra con forza e colorito, l’aria d’Aida, il finale primo, il duetto a due soprani, il finale secondo, tutto fu applaudito; ed anzi si accolse con tanto entusiasmo questo pezzo concertato che si volle al proscenio per varie volte unitamente agli artisti, il direttore sig. Faccio. L’atto terzo, e nei quarto il giudizio di Radamés, ed il duetto finale, furono segno ad applausi continui. Non ei dilungheremo sul merito dell’opera di cui i critici teatrali tanto si occuparono. — Il soggetto appartiene alla storia Egizia — l’amore, l’odio, la speranza e la disperazione, formano le varie tinte del quadro. Shakspeare ne avrebbe fatto un gran dramma, e Verdi da vero artista riconobbe nel soggetto stesso una causa di immediata e vivissima impressione sul pubblico». • L’originalità ed il colore locale della musica si rivelano pienamente anche a quel pubblico che non sa e che non ha obbligo di sapere. Ogni finezza dell’arte vi è profusa. Sentimento nei mezzi morali, profonda conoscenza dei mezzi materiali, ecco il magistero di questa musica che lascia l’impressione di un vero sublime, splendida fiaccola di quel genio che da solo dissipa le turbinose emanazioni dei razionalisti in musica». E da Padova scrivono al Rinnovamento di Venezia:» Tutto concorse a che il successo fosse tale nel più stretto significato della parola; musica, cantanti, orchestra e messa in scena. „ Tutto fu grande, imponente, sublime, ed io credo fermamente che il pubblico al termine della prima recita non avrebbe finito più di gridare se sotto l’influenza di una grande impressione fisica e morale, non fosse rimasto per qualche tempo paralizzato.» Io non vi dirò se questo ultimo lavoro del grande maestro prevalga o sia inferiore dei precedenti; se esso solo bastasse a comporgli quella aureola di gloria che il mondo gli ha ormai consacrato per tanti insigni lavori; se la fàttura musicale sia in adeguata proporzione della grandiosità dello spettacolo: tutto ciò lascio ad altri decidere, ciò che m’importa rilevare per conto mio è questo, che colla sua Aida Verdi non ha minimamente piaggiato il sistema tedesco, che la sua composizione è puramente italiana, melodica, ispirata e ne fa fede la frase dominante dell’aria di Radamés nel primo atto, il canto mistico delle Sacerdotesse pure nel primo atto nel tempio di Vulcano, il duetto nel secondo fra Amneris ed Aida e la marcia finale dell’atto per la quale sono insufficienti le pareti di un teatro, lo stupendo duetto fra Amonatro ed Aida nell’atto’terzo, ed il susseguente con Radamés ed il finale, e tutto l’atto quarto infine, creazione degna dell’insigne compositore....» Ho sentito persone di non povero senso, dire: se non avessi che cinqne franchi, farei a meno di mangiare, e li spenderei per tornare a sentire F Aida. — La frase è abbastanza significante.» Gli. stessi giornali sono concordi nel tributare immensi elogi agli esecutori ed al maestro Faccio, il quale ad ogni rappresentazione, dopo il secondo atto, è fatto segno di ovazioni lusinghiere. Riportiamo finalmente alcuni frammenti d’un articolo pubblicato nel giornale La Banda: Verdi andò dietro all’epoca, volle aggrandire sempre più il prestigio della musica, accattando dagli ultramontani quanto di bello e di grandioso vien Velâzquez si diresse al suo appartamento; dieci minuti dopo che v’era entrato, don Gasparo de Guzman y Pimentel penetrava, senza farsi annunciare, nella camera di Filippo IV. V. RE DI NOME E RE DI FATTO. Il Re scriveva seduto innanzi ad una piccola tavola coperta di carte, e il suo lavoro doveva essere in versi, come l’attestastavano le righe disuguali, e la cura che metteva nel contare le sillabe colle dita. AH’udire i passi del conte-duca alzò il capo e mostrò il suo grazioso volto, pallido e patito come di chi non ha riposato. infatti Filippo IV già da tre notti non chiudeva gli occhi, pensando alla sorella del suo pittore di camera. Il Re di Spagna aveva venticinque anni, era di statura media, di tinta piuttosto bruno - pallida con bellissimi occhi; il suo naso leggermente curvo, era forse per questo piccolo difetto la parte più graziosa del suo volto: i càpegli castani scendevano in lunghe anella e ondeggianti fin sul colletto di candida batista, e i folti baffi, appuntati all’insù, compievano alla sua fisonomia quel carattere dell’epoca che invano dopo s’è tentato di imitare. Il suo piede, chiuso in una scarpa di tacco alto e coperta da un grande laccio, era snello, piccolo, arcuato; le mani bianche e delicate uscivano da ricchi pizzi, e la veste di velluto nero disegnàvasi benissimo sull’alto e largo petto e sulla sua persona snella e ben fatta. L’età di Olivares giungeva appena al nono lustro, e i suoi lineamenti, severi e rigidi, lasciavano scorgere un carattere ambizioso; ma erano però dotati in pari tempo di tanta sorprendente flessibilità, che costantemente cambiavano d’espressione, senza che ciò sembrasse costargli il più piccolo sforzo. Vestiva con maggiore sfarzo del Re, ed era corpulento e di statura molto alta. Sino alla porta della camera reale, le sue ciglia, violentemente contratte, e la iraconda espressione de’suoi occhi avrebbero fatto palese, anche all’osservatore meno destro, 1 ira che fermentava in quell’anima; nel comparire però innanzi al Re, i suoi lineamenti pigliarono l’impronta di una gioia cosi sincera che avrebbe ingannato l’occhio più penetrante. Nel primo sguardo che il Re fissò sul volto di Olivares, l’allegria di questi si rifletté nel cuore del monarca come da uno specchio, e s” alzò in fretta. — Mi rechi qualche buona notizia? chiese ansiosamente. — La migliore che posso dare a V. M. -— Quale? Don Gasparo con somma cura awicinossi alla porta segreta della camera da letto, e la chiuse senza fare il più piccolo rumore; altrettanto fece con quella che comunicava col gabinetto di toletta del Re e con l’altra che metteva all’anticamera; poscia tornò verso il monarca. — Siedi, diss’egli all’Ulivares, accennandogli una scranna al suo fianco, e tornando ad occupare la sua. — Signore! susurrò il conte-duca simulando una grande confusione. — Siedi, replicò il Re negli occhi del quale brillava F ansietà. Don Gasparo di Guzman obbedì; indi si avvicinò al Re, e disse, accentuando le parole, e scrutando con uno sguardo profondo l’effetto che producevano sul suo volto: — Signore, la giovane che passa per sorella di Velâzquez non la è. — Che? Come? esclamò impetuosamente il Re. — La giovane e bella Anna è l’amante di Velâzquez. Una viva gioia brillò sul volto del Re; ma quella espressione fu tosto cancellata da altra di amaro e profondo abbattimento. Filippo IV amava svisceratamente quella giovane, e la notizia della sua depravazione gli cagionò un dolore così intenso, che soffocò la speranza, che questa stessà depravazione gli fece concepire di farla sua. — - In qual maniera non è stia sorella? replicò senza sapere forse cosa diceva. — È una fanciulla che si condusse da Anversa, quando spinto dal desiderio di conoscere Rubens e studiarne le opere, andò in quella città. — Ah! a proposito... esclamò Filippo IV colla leggerezza di carattere che gli era abituale, Rubens viene. — Viene Rubens! ripetè il conte-duca, il quale avvezzo a dominare interamente Filippo IV, non poteva soffrire vicino al Re nessuna persona che esercitasse sul suo animo la più piccola influenza. Viene Rubens! E a fare? [p. 232 modifica]234 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO quivi impiegato e perciò non gli bastano ornai i semplici tipi d’una Traviata, d’un Rigoletto; ricorre ai grandi drammi, nei quali più che quattro o cinque personaggi, vi è per protagonista un popolo, e vi sta scolpito il carattere e la storia d’un’età. Ridotto su tal campo, le proporzioni si raddoppiano, l’elemento dell’armonia sorge gigante, ma Verdi, sempre figlio rispettoso alla vergine itala melodia, anche fra quelle armonie studiate, riprodotte con modi del tutto nuovi, anche fra quelle masse di suoni maestrevolmente accoppiati, sa mantenersi tuttavia fra i limiti i quali lasciano che il canto predomini e l’orchestra colorisca viemmeglio il pensiero e la situazione. — L’istrumentazione tutta dalla cima al fondo è una miniera inesauribile dei più svariati sentimenti di delizia, di amore, d’odio, di patriottismo, di gioia, di dolore, di speranza e di desolazione. Vi ha in questo spartito tratti impareggiabili di musica imitativa, e fra questi, per estensione e per merito, va distinto il soavissimo preludio dell’atto terzo sulle sponde del Nilo. Il Wagnerismo, di cui fu da molti accusato l’autore deH’AitZa, è un sogno d’infermi sicuramente, perchè quest’opera è una continua catena di canti, brevi ne’loro ritmi, spezzati è vero, più declamati che lirici, ma sempre canti. Solo qua e là vi si frammettono le imitazioni, i canoni, e il solenne fraseggio del canto fermo allor che parlano i sacerdoti, ai quali Verdi, da vero filosofo musicale, assegna una lingua ed un ritmo che li distingua dai guerrieri e dal popolo egiziano, dai soldati feroci e dai prigionieri dell’Etiopia; ma i canti vi sono sempre. Bellissimo fra questi è quello alle parole» Rivedrai le foreste imbalsamate» e gli altri contenuti nel duetto Aida ed Amonasro (atto 3.°), pezzo che per ispirazione è per me il più bello di tutto lo spartito. Bellissimo per soavità, per creazione, e forse uno dei più eletti di Verdi è il canto «Morir sì pura e bella» con cui Radamès propone il duetto finale dell’opera.... Quel che di barbaro e di grandioso ad un tempo che qualche volta si sente nel passaggio di qualche accordo, di qualche nota in disgustosissima relazione con quello che succede è un merito dello scrittore filosofo, il quale doveva dipingere a noi la barbara sontuosità della Corte dei Faraoni. e vi riesci davvero. È sicuro che la barbarie, la magnificenza, il lusso, la superstizione di que’ tempi in questo grande lavoro furono sublimemente indovinate


Qui si dice che Padova ncn ebbe e forse non avrà mai uno spettacolo di musica cotanto grandioso e completo, ed è precisamente quanto sentii anche in Milano quando nello scorso febbraio vi si produsse VAida per la prima volta. Il trionfo di Padova è la luminosa conferma, è l’ultimo suggello alla fama gloriosa di quest’ultimo spartito. A Milano, a Parma c’era il Verdi: qui di lui non c’era che la sua creazione abbandonata ornai dall’autore in balia di sè stessa. Ma in confronto della materiale presenza di quel maestro, che per — Lo invia la mia zia l’Infanta governatrice di Fiandra, affinchè gli dia le mie istruzioni circa le trattative d’alleanza fra Spagna e Inghilterra, e credo che venga tratto pure dal desiderio di conoscere Diego Velâzquez, la cui fama si è già sparsa per tutto il mondo. Credo che soltanto lo conosca per la corrispondenza che con esso ha, dacché alla sua volta seppe ad Anversa che Velâzquez vi s’era recato per vederlo, e non c’era riescito. Mia zia, la Infanta donna Isabella, mi dice in una sua lettera che procuri di svagarlo, perchè già da un anno è in preda a profonda melanconia. Al Re, nel parlare della tristezza di Rubens, quella nube di dolore che per un istante era scomparsa da’ suoi lineamenti, tornò a sfiorare il volto; il favorito stette silenzioso per alcuni istanti come per lasciare che lo scoramento s’impossessasse completamente dell’animo di Filippo IV. — Credo, signore, disse infine, che l’amore di V. M. per codesta giovane, sia più serio di qualunque altro da V. M. provato sino ad ora. — Hai ragione; le mie trascorse galanterie meritano appena il nome di capricci paragonate con quanto provo ora... Ah.,, è tanto bella, tanto giovane, tanto adorabile!... Il favorito sorrise di scherno; uguali elogi aveva mille volte uditi dallh bocca del Re, riguardo ad altre donne, dimenticate già da molto tempo; per questa ragione avea giammai fondato il favore, di cui godeva, sugli amori del monarca, giacché sapeva benissimo come nessuna donna regnasse più di un mese nel volubile cuore di Filippo IV. All’improvviso un pensiero più grave corrugò le sue folte sopracciglia, ma quella meditazione durò brevi istanti, tornando ad apparire sulla fisonomia quella calma beffarda che lo caratterizzava. — Il cuore di questa piccina sarà quanto prima di V. M., disse al Re, che alzò il capo nell’udirlo, scuotendolo tristamente. — Forse no! deve amare molto Velâzquez se tanto fedelmente conserva il segreto della sua finta parentela. — E che! non abbiamo conquistate altre beltà tanto innamorate quanto lo può essere codesta signorina? E dico può, perchè non lo è; essa si crede la vera sorella di Velâzquez, e come tale vive con esso. quanto sia illustre, pure è sempre un uomo, quanto più potente è la mistica presenza del solo suo genio, di quel genio che eternò colle note il bel dramma del Ghislanzoni e diede la vita del canto agli splendidi versi di quell’egregio poeta! IL GIUBILEO MUSICALE A BOSTON. Apprendiamo dalla Revue et Gazette Musicale alcuni particolari sul festival. I Corpi di musica europei arrivarono il giorno 17 giugno e furono ricevuti solennemente, la Guardia repubblicana francese fu in special modo festeggiata. La prima prova sotto la direzione dei signori Strauss, Abt e Gilmore, ebbe un gran successo. Le proporzioni acustiche dell’immenso edifizio sono perfette. La festa propriamente detta fu inaugurata il domani. Il coro contava 16,000 esecutori, l’orchestra 1,500! Si calcolava il numero degli assistenti a 30,000 almeno. I cori, con accompagnamento di cannoni, provocarono l’entusiasmo di questa umana marea. La giornata fu consacrata alle musiche inglesi; i granatieri furono acclamati, essi eseguirono l’inno patriottico inglese e l’inno americano. La signora Arabella Goddard, somma pianista di Londra, fu accolta con entusiasmo. Il 19 era riservato alle musiche tedesche che si fecero udire con successo. La Francia ebbe il suo turno il 20 e il 24. Quaranta mila persone applaudirono la Guardia Repubblicana; l’effetto dei cori fu stupendo. Il 21 si applaudirono le eccellenti musiche austriache e di nuovo la celebre banda inglese di Godfrey; cantarono le signore Rudersdorff e Peschka-Leutner, ma senza trarre grandi effetti; nocque loro l’effetto materiale delle 16 000 voci del coro. I Russi ebbero la giornata del 22. Quella del 23 fu la conclusione della festa- Circa 70,000 uditori erano seduti, 20,000 avevano potuto trovar posto in piedi. Le musiche inglesi, francesi, tedesche e quella della marina americana, suonarono insieme; l’immenso Coliseo pareva volesse crollare al formidabile rumore degli applausi, e degli evviva. Il presidente Grandt era presente. Infine, il 26 giugno, il festival si chiuse con un banchetto, a cui assistevano 25,000 persone. La Revue et Gazette aggiunge: Giovanni Strauss e la sua celebre orchestra vi hanno fatto meraviglie. (?) L’Italia non era rappresentata nel festival; questo rimanerci indietro di tutti non è certamente bene, per quanto si voglia Nell’udire le parole dell’infame favorito, Filippo alzossi come spinto da una molla; e, col volto raggiante d’allegrezza, avvicinatosi al conte-duca, gli pigliò le mani che strinse con frenesia. — Come hai fatto ad avere queste notizie? esclamò; oh, parla... parla... dimmelo tosto e chiedimi ciò che brami per ricompensare il tuo zelo!... — V. M. non si pigli il disturbo di indagare quanto mi sia costato il sapere queste notizie che tornano tanto gradite alla M. V., rispose il favorito seguendo il previdente costume di fare i suoi servigi colla maggiore segretezza; in quanto alla mia ricompensa è già eccessivamente grande quella della contentezza che procurai a V. M. — Accetta, intanto, questo anello come un pegno della mia gratitudine, disse il Re cavandosi dal dito anulare un magnifico gruppo di diamanti e perle, e ponendolo egli stesso in dito al conte-duca. Inchinossi profondamente don Gaspare e il Re continuò: — Sono risoluto a far mia questa giovane; ma ti confesso che non voglio disgustarmi con Velâzquez che amo davvero. — Senza che con esso V. M. si disgusti e senza pure che mi disgusti io, che l’amo anche, domattina di quest’ora sarà in casa mia la giovane Anna. — Ma non sai che domani all’alba partiamo per l’Escorial? — Partiremo tutti compreso Velâzquez; ma Anna si troverà in casa mia come dissi a V. M. — Di più la Regina rimane pure a Madrid, perchè la delicata salute di mia figlia Maria Teresa le impedisce d’accompagnarci. — Lo so; tema però nulla V. M.: appena la corte sarà albergata nel palazzo di S. Lorenzo, io tornerò qui e condurrò con me la fiamminga in una carrozza chiusa, accompagnandola poscia agli appartamenti che colà V. M. mi avrà indicato. — E come potrei ricompensarti di tanto zelo? — Conservandomi un posto nel cuore di V. M. — Sempre, sempre sarà tuo! Il favorito non fece, pare, gran caso della promessa reale; inchinossi freddamente e cerimoniosamente, e usci dalla camera con passo grave e misurato. {Continua) [p. 233 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 235 ammettere che siffatto genere di concerti non giovi punto all’arte musicale. L’Eco d’Italia di Nuova York dipinge con colori molto neri la riuscita di questo festival, ma non sappiamo quanto ciò debba confortarci. — Ecco le parole,dell’eco in data del 26 giugno: Il Concerto monstre di Boston organizzato a scopo di speculazione privata da M. Gilmore, è decisamente un gran fiasco. I principali e migliori artisti, circa 150, sono stati licenziati; la banda francese riparte sabato prossimo col Washington per Brest; probabilmente faran lo stesso le bande tedesca e inglese. Già le parti migliori dei coristi sono state rimandate. Tutti questi vuoti della parte vocale sono riempiti da dilettanti, con qual vantaggio i Bostoniani lo sanno; quanto a noi non ei curiamo nè punto nè poco di farne l’esperienza; ma quando si pensa che nel programma di questa festa musicale si fece entrare una compagnia di negri che ricantarono le sciapite cantilene di John Brown, le quali possono avere un certo colore.locale cantate al meriggio in mezzo alle piantagioni di cotone e di tabacco o al chiaro di luna con accompagnamento di banjo e la spensierata, quasi infantile, allegria dei negri — ma in Boston fra un Walz di Strauss, diretto dal grande compositore, e un ouverture di Weber venire a regalarci una cantilena negra e un inno americano delle ragazzine di scuola, cava proprio dalla penna la parola «stolido. «Nei principali teatri della Germania furono4 eseguite nello scorso giugno opere dei seguenti autori: 13 di Offenbach - Rappresentazioni 27 2 di Flotow - Rappresentazioni 10 5» Meyerbeer 13 2 n Donizetti

9 5 w Verdi 21 2 5» Adam

9 4 y? Suppé 17 3 99 Rossini

8 5 ♦♦ Auber 16 1 1» Gounod

8 5» Wagner 16 2»» Boieldieu

7 3 Lortzing 13 1

  • 5

Halévy

7 3 Mozart 13 2 99 Hervé

6 2 5» Weber 11 2 99 Bellini

4 A queste sono da aggiungere: 3 rappresentazioni d’opere di Hopp, 2 di Balfe, Bazin, Jonas, Kreutzer, Marschner, Nicolai, G. von Zaytz, e una di Beethoven, Brandi, Gluck, Lachner, Mëhul, Smetany e Thomas (un’opera sola di ciascuno). Rivista Milanese Sabato, 13 luglio. Il teatro Fossati ha fatto un buon servigio alla giovine generazione porgendole occasione di conoscere un vero gioiello di musica, la Cenerentola di Gioachino Rossini. Le sorti delle opere teatrali sono inesplicabili come quelle degli umani: non vi è merito, nè nome d’autore che basti ad assicurarle; questa Cenerentola, con un libretto abbastanza gaio, con una musica tutta spigliata, tutta originale, dopo aver corso trionfalmente i teatri d’Italia, è oggi caduta in una specie di dimenticanza, mentre altre opere assai meno meritevoli, e non meno venerande, appariscono ogni tanto alla ribalta. Nella odierna penuria di buoni spartiti d’opera buffa, si dovrebbe, parmi, tener conto del nostro passato, e frugacchiare fra i capilavori che sono eterni, sebbene paian morti alle scene. Il successo della Cenerentola al Fossati, mi dà ragione. Un pubblico che ha Cimarosa e Mozart in quel paese e che di Rossini è molto se sa a mente il nome, applaudi con entusiasmo dal principio alla fine, ad ogni pezzo, dimandando la replica di moltissimi., ed afferrando al volo le più innocenti facezie del libretto per accompagnarle con una risata incoraggiante. Nè si dica che l’esecuzione vi ebbe gran parte, perchè le parti secondarie i cori e l’orchestra furono appena tollerabili, e fra gli artisti principali vi fu chi ebbe bisogno di compatimento, esempio il buffo Ristori, artista valente che sa essere piacevole senza cader nel grottesco nemmeno al cospetto poco imbarazzante del pubblico di Porta Garibaldi, ma che sulla fine appariva evidentemente stanco delle fatiche della parte. Sicuro e disinvolto fino alla fine procedette invece il baritono Graziosi (Dandini), e meglio di tutti, per ciò che è canto, fecero la signora Filippi e il tenore Zanardi-Landi, i quali ebbero momenti di veri artisti. Gli applausi con cui furono rimeritati non si traducono freddamente nelle colonne di un giornale. Allo stesso teatro andò in scena un nuovo ballo - Il Ponte del diavolo del coreografo Felter; tenuto conto dell’esiguità dei mezzi, è un buon balletto, e corre giù liscio, a passo di polka o di walzer, senza sovrabbondanze mimiche. La ballerina Marchetti vi è molto applaudita. La compagnia Ciotti è alla vigilia di far le sue valigie; il Politeama sarà per cura dell’impresa Trabattoni aperto con spettacolo d’opera buffa e col celebre Bùttero. Si diceva che in quest’occasione avremmo riudito un’altr’opera ingiustamente dimenticata, e più ingiustamente perchè nel vigore degli anni, voglio dire Gli Avventurieri del maestro Braga, ma non se ne parla ancora; le novità per altro non faranno difetto; avremo, pare, il Papà Marlin di Cagnoni e la Follia a Roma di Ricci. Il teatro Dal Verme sarà battezzato Teatro Donizetti, e si aprirà non più colla Favorita, ma cogli Ugonotti; la Favorita verrà dopo. Le dicerie, come si vede, si succedono e non si assomigliano. Gli spettacoli della gran stagione alla Scala paiono assicurati; avremo il Ruy Blas del maestro Marchetti, la nuova opera Fosca del Gomez, il Re Manfredi del maestro Montuoro, e il Lohengrin di Wagner. Per i balli fu scritturato il bravo coreografo Pallerini e la prima ballerina Fioretti. Al teatro Carcano giorni sono si volle venire in aiuto dei. danneggiati dall’inondazione del Po con un trattenimento drammatico-musicale. Nella parte musicale fecero gli onori il violinista Marzorati, il signor Carlo Castoldi, valente dilettante di harmonicorde, il professore Quarenghi, la signora Cortesi e il basso De Serini. Tutti questi bravi artisti ebbero applausi molti, ma i danneggiati non se ne trovarono meglio, perchè l’introito non bastò a coprire i due terzi delle spese. > p AULA RINFUSA Nella corrispondenza di Roma del numero passato avvenne un errore tipografico che muta il senso. Dove si parla del progetto di un Liceo musicale, è detto che il Municipio è assai poco ben disposto; mentre doveva dire: è assai ben disposto. v Ci è pervenuto il primo numero del mese di luglio del Segnale di Lipsia; ch’era solito a far vacanza nell’estiva stagione. Bisogna dire che lo abbiano convertito le lagnanze mossegli dai suoi confratelli. -¥■ A Vienna, per il tempo dell’esposizione mondiale, verrà eretto un nuovo teatro, che conterrà 5000 persone. Opere italiane e francesi, balli, concerti, ogni sorta di spettacoli vi avranno luogo. Le spese sono valutate a talleri 250,000.

  • Gli artisti dell’Opéra Comique di Paridi fecero inserire nel Figaro una

lettera a Giulio Stockliausen, già loro collega, colla quale gli fanno amari rimproveri per i sentimenti anti-francesi, phe traboccano in un suo canto patriottico tedesco: la libera Alsazia, testò pubblicato. 4 Come avevamo preveduto, la missiva di Victor Hugo a Wagner era una burletta. In una lettera pubblicata dalla Gazzetta universale tedesca Riccardo Wagner asserisce non aver ricevuto alcuna lettera da Victor Hugo, e suppone che qualche giornalista di Monaco o di Vienna sia l’autore di questa mistificazione. «chè nessun francese sarebbe capace di commettere simile bassezza.» Eppure la famosa lettera, che i nostri lettori conoscono, dev’essere stata pubblicata primieramente dalla Liberté di Parigi. In ogni caso i francesi possono andar fieri dell’omaggio fatto al loro carattere nazionale dal pili tedesco dei tedeschi compositori. [p. 234 modifica]236 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

  • L’imperatore di Russia ha fissato uno stipendio annuo di rubli 2000 ai

superstiti del defunto direttore dell’Opera di Varsavia, il compositore Moniuszko. L’Unione musicale a Cassel eseguì l’oratorio di Liszt, Santa Elisabetta. Il compositore era presente, ed ebbe due chiamate. ¥ A Coburgo, nei giorni 22 a 25 giugno, fu celebrata la quarta festa di canto, alla quale presero parte 500 cantori. ¥ A Lindò ebbe luogo la seconda festa di canto dell’alleanza dei cantori svevici-bavaresi, e vi presero parte 88 società corali che costituivano un complesso di circa 800 cantori.

  • A Chicago la Oratorio Society eseguì il Messia -di Handel.

A St. Louis (America) i cantori delle diverse chiese cattoliche si sono costituiti in una società corale, che ha per iscopo lo studio della musica classica ecclesiastica. Anche i non cattolici sono ammessi come«membri nella società. E da appaltarsi il teatro Comunale di Pavia per l’autunno, carnovale e quaresima 1872-73. Dirigersi al Municipio, entro il 15 luglio. ¥ Sono anche disponibili i teatri Pantera di Lucca pel carnovale e il Groppi di Reggio d’Emilia dal settembre al 16 dicembre. Nell’uno e nell’altro si richiede spettacolo d’opera. ¥ E aperto il concorso per l’appalto del teatro Civico Chiabrera di Savona per 5 anni dall’autunno 1872 a tutto carnovale 1876-77. La dote è di L. 15,000; il termine utile fino al 31 luglio. Una lettera - reclame abbastanza curiosa è quella che dirige la signora Sass in forma di circolare ai giornali politici di Parigi. La traduciamo letteralmente dal Figaro: “ Vengo ad informarvi del cambiamento di residenza di M.a Sass. Essa abita definitivamente (?) Nogent-sur-Marne (rond point de la Porte du Parc). Voi sarete infinitamente amabile di voler dare di ciò partecipazione ai vostri lettori: „ Il Figaro si domanda che interesse possono avere i suoi lettori a sapere che M.a’Sass abita definitivamente Nogent-sur-Marne (rond point de la Porte du Parc). Trovasi in Milano il sig. M. Ulloa, il quale formerà una duplice compagnia di canto per il nuovo Teatro di San Francisco di California. L’apertura non avrà luogo che nella primavera del 1873. A Wiesbaden la compagnia, dell’opera italiana, di cui forma parte la rinomata coppia Artòt-Padilla ha cominciato le sue rappresentazioni col Don Pasquale, ottenendo un successo entusiastico. Essa doveva eseguire poi le seguenti opere: Barbiere, Traviata, Trovatore e Faust. Nell’inverno venturo si darà spettacolo d’opera al teatro di Atene. Impresario sarà il Costopulo. ¥ In un teatro di Pest, giorni sono, il cartellone annunziava il debutto di un ex-prete; ciò attirò gran folla. Il non più reverendo fece udire una bella voce di baritono e cantò bene alcune canzoncine nazionali ungheresi. ¥ Giorni sono l’orchestra del teatro Nazionale di Praga fece sciopero. Pochi minuti prima della rappresentazione i professori se ne andarono all’osteria e non valsero le preghiere della Direzione a persuaderli di suonare. Si dovette recitare una produzione senza intermezzi musicali. Il pubblico in -teatro fece un chiasso indiavolato. ¥ Il teatro del Giglio di Lucca si aprirà coi Vespri Siciliani. ¥ Il nostro collaboratore ed amico marchese F. D’Arcais, fu dal Ministero dell’istruzione Pubblica nominato cavaliere dei SS. Maurizio a Lazzaro. ¥ Il maestro Auteri è in trattative coll’impresa del teatro della Pergola di Firenze per dare su quelle scene la sua nuova opera Marcellina, che non potè essere rappresentata al Pagliano. ¥ L’Accademia del R. Istituto musicale di Firenze nominò membri corrispondenti i maestri: F. David, A. Elwart, Gevaert, Marchetti, Mercuri, S. Raff, A. Thomas, R. Wagner e H. Vieuxtemps; membri residenti Ketten e Briccialdi, membri onorarli A. Pougin, E. Fétis e G. Lorenzi. ¥ Un brevetto pontificale di Pio IX nomina il signor Vervoitte, (ispettore generale della musica religiosa di Francia) commendatore dell’ordine di San Gregorio il Grande. ¥ E apparso in Firenze il primo numero del nuovo giornale Firenze Artistica, periodo scientifico, letterario, artistico, teatrale; per ora è bimensile, ma promette di diventare più tardi settimanale. Fra i collaboratori vi han di bei nomi, e il primo numero ei pare redatto con garbo. I nostri augurii. ¥ La Duchessa di Galliera ha inviato alla signorina Nilsson, in occasione del suo prossimo matrimonio, un giojello di gran valore. ¥ Il signor Avelino Valenti, compositore spagnuolo, ha posto in musica un melodramma col titolo II Cid. Quest’opera, a quanto si dice, sarà eseguita a Londra. ¥ A Nuova Jork avvenne uno sciopero di operai di pianoforti, e la fabbricazione fu minacciata di interruzione totale. Si voleva la riduzione delle ore di lavoro senza diminuzione di salario. Molti fabbricanti hanno accettato queste condizioni; la casa Steinway dovette provvisoriamente sopprimere l’esportazione dei suoi strumenti. Il movimento, dicono i giornali, tende a propagarsi in tutto il territorio. CORRISPONDENZE NAPOLI, 10 luglio. Il Menestrello del maestro De-Ferrari al Mercadante — L’opera comica in Italia — Sentenza nella quistione tra Musetta e il Municipio — Concorso. E dopo la Scommessa il Menestrello del De Ferrari. Ohimè come stiamo male in Italia per l’opera comica! In generale tutti gli autori di libretti giocosi scrivono come le donnicciuole lor lettere, non occupansi punto delle frasi, de’ versi, delle rime, accozzano sciempiaggini volgari per sali, lasciano andare la sintassi a loro posta e fanno uso di odiosi ripieni accattati da bocche plebee. I compositori della musica poi mostransi incapaci di dare alle loro note un colore comico, scrivono adagi da miserere, strette in tuono di guerra e di procella, servonsi ludialmente’ di concerti seri, e rimpinzano l’opera loro di frasi tolte qua e là da qualche melodramma tragico. Sul più bello della commedia eccoti un gran concertone da Guglielmo Teli, da Ugonotti, e da Freyschütz, le arie paion fatte per mandare sul proscenio eroi, l’orchestra sempre fragorosa, esagera tal fiata, con gli strumenti di ottone, quegli effetti che più colpiscono nelle tragedie liriche. Che dirò dello stile? Brilla per la sua assenza. Se poi rivolgomi più particolarmente un poco a compositori nati qui in Napoli, non fo che passare dalla padella nelle brace. I non pochi che qui scrivono pe’ teatri dove la musica comica è accetta, mettono fuori certi mostricini dove il cattivo gusto è intronizzato, il barocchismo perenne, sono la negazione dell’estetica musicale per dirla in breve. Credono costoro che la musica, regina delle arti, debba discendere adulatrice e mendica di plausi al livello del volgo e della folla; mentre dovrebbero essere suo talento e sua missione l’educare, l’estollere, l’ingentilire. Mi duole esser severo, e più mi duole quando gli applausi e gli evviva che i miei concittadini han prodigato in questi ultimi anni alle opere del Buonomo, del Ruggì, del Migliaccio sembrano darmi torto, ma queste tendenze e questi buoni successi attristano quanti hanno tuttavia in onore la vera musica comica, quanti guardano all’avvenire dell’arte, quanti, ammiratori dell’ingegno musicale napoletano, ora lo veggono dimentico di se stesso e miseramente forviati, Piacemi per altro qui appresso notare che qualche giovane e prestante ingegno si fa largo tra la folla e che incoraggiato potrebbe rendere segnalati servigi all’arte. Il maestro d’Arienzo, l’autore dei Due mariti, che ha attitudine e intelligenza tutta propria, sembra abborrire quelle sconcezze musicali che infiorano il Cicco e Cola, i Due ciabattini, L" eredità in Iscozia. Fatto calcolo che questa commedia lirica dei Due mariti è il secondo lavoro del d’Arienzo, sperasi bene a ragione di lui. Voi che conoscete quest’opera converrete meco che nell’insieme e nelle parti di esso rivelasi una mano tutt’altra che novizia; è sparsa di canti immaginosi e di effetti strumentali molto acconci. Anche il Sarria ha un bell’ingegno e perseverando nel bene, potrà divenire come il primo un valoroso campione dell’arte melodrammatica. Ma due fiori appena sbucciati non possono costituire un delizioso giardino, perciò non credo essere tacciato di pessimista se dico che da poco più d’un decennio la musica comica italiana vergognosamente si tace. Quest’esordio lunghetto abbastanza mi risparmia di scrivere a lungo del Menestrello. Tranne due o tre brani, il rimanente dell’opera è un accozzamento, non sempre troppo felice, di pensieri, e frasi le cento volte udite in altri spartiti dei fratelli Ricci, del Petrella, del De Giosa e pure in qualche opera seria. Il De Ferrari parmi sia musicista più per pratica anziché per serii e profondi studii della scienza armonica. Udii la terza rappresentazione di questo Menestrello al Mercadante, e trovai qualche mutamento nel personale artistico. Alla Montanari è succeduta la Sainz, che cantava già al Filarmonico; le altre parti sono sempre sostenute dalla Neri, dal Lambiasi, dal Marchisio e dal Tortelli. Al protagonista dell’opera, al buffo Marchisio, sono i primi onori della sera, i secondi sono subito subito pel Tortelli, il Sopraintendente, che deve ripetere quasi sempre il suo rataplan. Il Marchisio è un artista provetto, fa ridere, diverte e il pubblico l’applaudisce fragorosamente. Il tenore Lambiasi è saltato dalle scene del Rossini a quelle del Fondo troppo presto, perciò è impacciato abbastanza e soprattutto non in grado di far mostra di saper ben cantare; ha discreti mezzi, ma nello stato greggio. La Sainz non va male, la voce spesso le si ribella e quindi l’intonazione è difettosa, cala quasi sempre. Il Trisolini intanto, visto che la sua brigata chiedeva rinforzi, ha scritturato subito il tenore Montanaro e, invece della Bellini, la Suardi-Repetto, prima donna che esordirà fra qualche giorno. Su questo stesso teatro presenterassi stasera il violinista Rapini, che darà il suo terzo Concerto fra noi. [p. 235 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 237 Alla fine, il comm.re Rocco, presidente della Corte d’Appello e professore di Dritto commerciale alla nostra Università ha pronunziato la sua sentenza. Ha rigettato la domanda del Municipio di Napoli, che consisteva sulla rescissione del contratto e nella consegna del teatro e dei locali annessi. Rigettava pure la domanda di danni ed interessi avanzata dal signor Musella. Questa sentenza che pareggia il celebre dividatur puer è stata accolto con piacere dalla nostra cittadinanza. Infatti il Municipio, comunque il Musella ne commettesse d’ogni mistura e d’ogni cotta, e tutte marchiane, non avea facoltà di scindere il contratto, dappoiché nel capitolato, in un caso solo questa risoluzione può avvenire, quando cioè l’impresario per un giorno stabilito non abbia presentato l’elenco della compagnia di canto e di ballo. A questo patto avea adempiuto il Musella; per l’altro cioè delle indennità che chiedeva costui, non so se dugentomila o cencinquantamila lire, l’arbitro, pur facendo luogo alla dimanda, ha proprio interpretato il giusto risentimento del paese contro F inqualificabile procedere del Musella, il quale dopo essere venuto meno a quasi tutte le promesse del prospetto d’appalto, pretendeva essere rifatto de’danni arrecatigli dalla Commissione teatrale, non avendo i componenti di essa, alcune volte, accordato licenza di dare spettacolo, e qualch’altra sera imposto che si calasse il sipario, appunto per tutelare i diritti del pubblico e render giustizia alla rimostranza degli abbonati. Correva voce che il Musella faceva calcolo su di tutte quelle migliaia di lire per la ventura stagione; venuto meno questo cespite che farà? Qui giace Rocco, direbbe un cruscante. Al Mercadante andrà fra qualche giorno il favorito lavoro dell’Usiglio, Le Educande di Sorrento; lo canteranno fra gli altri la Repetto-Suardi e il Serazzi. Giovedì, 18 corrente, all’Albergo de’Poveri, cominceranno le prove di concorso al posto di Direttore generale della musica; saranno quattro gli esperimenti: la disposizione a quattro parti d’un basso dato, la combinazione d’una melodia accennata da qualcuno della Giunta di esame, la composizione d’una melodia con tempo e tonalità imposto, e finalmente una dissertazione sull’insegnamento musicale. Un mio amico mi fa tenere un numero dell’Omnibus, giornale già avversario del Musella ed ora suo paladino. Risponderò categoricamente nel prossimo corriere; tengo pertanto a dichiarar fino da ora, che io parlo per vero dire, ne ho inteso mai malmenare il Musella, il quale rispettò così poco sè stesso e gl’impegni assunti. Fra otto giorni dunque patience et longeur du temps con quel che segue. ^CUTO. VENEZIA, 11 luglio. Il Mose al Mnlibran — Mariani — L’esecuzione. Sabato 6 corrente, dopo un digiuno eccezionale, il Malibran inaugurava la sua stagione estiva, che promette di diventare invero, checché ne dicano gli oppositori per sistema o per calcolo, la principale stagione musicale veneziana. Una nera nube si era mostrata sull’orizzonte: si parlava già di dover differire l’andata in scena del Mosè per una indisposizione caparbia da cui veniva colta la signora Bianchi-Montaldo; ma l’intelligente timoniere (il nostro Toni) scongiurò il pericolo e trasse la nave a glorioso porto. La signora Paolina Vaneri, gentile e cara Anaide di otto anni or sono sulle stesse scene, accettava di sostituire li per li la Bianchi-Montaldo, e con una prova soltanto, prova che ella dovette fare, per cosi dire, la sacca di viaggio alla mano, si ripresentò al nostro pubblico che l’accolse festosamente. Parlare diffusamente della esecuzione di un lavoro musicale con interpreti di tanta rinomanza quali sono la Vaneri (Anaide), la Mariani (Sinaide), Medini (Mosè), Villani (Amenofi), Maurel (Faraone), coadiuvati da stupende seconde parti; parlare della esecuzione con un Mariani maestro concertatore e direttore d orchestra, colle masse corali affidate all’Acerbi, la è invero cosa superflua. Mi limiterò quindi ad una qualche riflessione più d’ordine sintetico che analitico. Quella musica tanto nota anche fra noi, perchè abbiamo avuto la fortuna di udirla sempre assai bene interpretata (1), sotto la magica bacchetta del Mariani riuscì in molte parti cosa affatto nuova con bellezze peregrine tali che se non ei fossero ingegni (1) n Mosè F abbiamo avuto otto anni or sono colle signore Vaneri e FeltriSpalla, e con Vecchi Luigi, Rota e Stecchi-Bottardi. E 14 o 15 anni or sono lo interpretarono la Barbieri-Nini, il Carrion, il Corsi e Nani Cesare. veramente superiori come quello del Mariani rimarrebbero per sempre inesplorate e incomprese. Il coro ad esempio nell’atto primo: Dio possente in pace e in guerra. ebbe un’interpretazione così nuova da destar meraviglia: vi è tale un equilibrio nelle parti vocale e strumentale che ne risulta un tutto perfetto per colore, impasto, misura. Vi è una gradazione tanto perfetta, compassata nei crescendo e tale una delicatezza nei piani, da rimanerne estatici per ammirazione. Il gran finale dell’atto terzo, prodigiosamente indovinato dal Mariani, trasporta al fanàtismo: tra quel frastuono assordante di strumenti e di voci umane campeggia sovrana la nobile figura del Mariani, che trasportata, direi così, in più sereni sfere, cerca di trasfondere negli altri e col gesto e colio sguardo la sensazione che in quel momento lo predomina. In quel punto Mariani non è il’direttore d’un’orchestra, ma il duce d’un esercito che sprona alla pugna colla sicurezza della vittoria. Da queste poche parole credo si possa comprendere quale sia l’interpretazione che il Mariani seppe dare al Rossiniano lavoro. La parte vocale è buona egualmente: la signora Vaneri (Anaide) non ha, è vero, i mezzi d’un tempo, ma è però sempre artista distintissima, simpatica e sicura: la signora Mariani (Sinaide) fu una vera sorpresa per il pubblico. Questa cantante dalla voce bellissima, estesa e robusta, si fece applaudire fragorosamente in tutta la sua parte e si può garantire che farà passi giganteschi nella carriera artistica. Il Villani non ha certo la più bella voce di tenore, anzi per essere giusti, si deve confessare che ha una voce di colore oscuro, alla quale si deve abituarsi a poco a poco, ma con tutto ciò egli è sempre cantante eletto ed intelligentissimo. Il Maurel, (Faraone) quantunque posto tra l’uscio ed il muro pelle esigenze d’una parte che non è per il suo registro, si mostra tuttavia cantante distinto. Io già vi dissi qualche cosa di lui nel settembre scorso quando fui ad udirlo a Vicenza nel Ruy-Blas e non trovo oggi di modificare menomamente quel giudizio: egli canta bene, ma ha un portamento di voce tutto francese che mal si confà col canto nostro. Il Medini è un Mosè imponente. La sua voce fresca, sonora, pastosa, potente, si fa udire in tutto il suo splendore dalla prima all’ultima nota, e particolarmente nei canti scoperti acquista un timbro, ancor più soave e delicato. All’invocazione: Eterno, immenso, incomprensibil Dio, tale e tanto è il volume di voce che spiega, e tanto essa esce sonora e potente da quella gola d’acciaio, che il pubblico è costretto ad interromperlo per applaudirlo. I cori vanno egregiamente e la messa in scena decorosa. Si sta ora provando il Ballo, in maschera colla Bianchi Montaldo, ristabilita, e «poscia avremo l’Ebrea. Il pubblico accorre non affollato ma assai numeroso tuttavolta; è a vaticinare che il teatro si animerà sempre più malgrado il caldo canicolare che da giorni ei molesta. Fui a Padova alla seconda recita dell’Azùùz. Rimasi più che contento, tanto pella esecuzione che pella messa in scena dell’ultimo lavoro verdiano; tenendo conto delle difficoltà locali che avevasi a vincere, lo spettacolo di Padova poco ha da invidiare allo spettacolo di Milano. Tutti gli altri teatri da noi dormono profondamente. F F PARIGI, 10 luglio. Il teatro Italiano — Quale dei due? Sarà Verger, sarà Lefort? — Il connùbio col teatro Lirico — Il gran premio di Roma — Telemaco. La quistione è più grave di quel che appare; parlo di quella del teatro Italiano. Come sarà risoluta? Da una parte Amedeo Verger; dall’altra il signor Lefort. L’antagonismo è perfettamente stabilito e si disegna ogni dì più vigoroso. Il Verger ha la sala e per metter in maggior impaccio l’autorità ministeriale scrittura tutti i giorni nuovi artisti. (L’epiteto nuovi è un po’ arrischiato, perchè tra essi leggo i nomi di Gardoni, delle Sedie, Brayda-Lablache, della Penco, ecc, ecc. che da molti e molti anni figurano sul prospetto d’appalto del teatro Italiano). Il Lefort non ha sala e non scrittura artisti; ma ha per sè il favore se non la promessa ministeriale. Pare sicuro d’ottener la sovvenzione; la quale servirà a pagare il fitto d’una nuova sala di spettacolo, che sarà costruita in tre o quattro mesi al più e si troverà bell’e pronta ner la fine d’ottobre, epoca alla quale il teatro Italiano di Parigi apre la sua stagione d’autunno-inverno. Tanto meglio! direte voi, si avranno così due teatri di musica italiana in [p. 236 modifica]238. GAZZETTA MUSICALE DI MILANO cambio d’uno. Noi credo. Mi pare impossibile che il Verger possa sostener la concorrenza, egli privo di sovvenzione contro un rivale che l’avrà. Dico che l’avrà perchè crederei che il Lefort ha perduto il senno, se fa costruir un teatro a bella posta, e che con lui l’ha perduto lo speculatore che costruirebbe questo nuovo teatro a proprio rischio e pericolo. Checché ne sia, e supponendo che Verger si ritira o che non possa a lungo sostenere la concorrenza, vi avremmo guadagnato una nuova sala di spettacolo. E se essa è centrale, come credo sapere, non possiamo che congratularcene. Ma che faranno gli artisti scritturati dal Verger se egli non può andare avanti? L’obbligheranno a pagare. E s’ei non può; s’ei non ha? Ricorreranno ai tribunali; questi condanneranno l’impresario e l’impresario risponderà, non possum, se conosce il latino; se no, si stringerà nelle spalle e farà il sordo, cosa assai facile pel direttore del teatro Italiano. Siccome qui non c’è più arresto personale, e siccome il Verger non ha poderi al sole, felice notte! Ma posso ingannarmi; voglio dire che il Verger sarebbe in grado di andar innanzi e di non interrompere il corso delle rappresentazioni ad onta della terribile concorrenza che gli verrebbe fatta. Ciò lo riguarda. «Ognun può far della sua pasta gnocchi»; ma a mio avviso, giuocherebbe un brutto giuoco. Già la curiosità è un grande stimolo, e se c’è un teatro nuovo, tutti vorranno vederlo, tutti vi accorreranno. Ora la gente che si diletta di musica italiana non è mica numerosa; non ce n’è abbastanza per due teatri; il nuovo la torrà per sè, il vecchio avrà torto. Ma perchè, mi domanderete, il Ministro dell’istruzione pubblica, dal quale dipendono i teatri, rifiuterebbe il Verger, vale a dire non gli darebbe la sovvenzione di centomila franchi, che fu volita dall’Assemblea? Comincierò dal dir che questo voto deve rmnovellarsi tutti gli anni all’epoca della discussione del budget, e che esso potrebbe benissimo essere ostile quest’anno come fu favorevole l’anno scorso. Ma c’è di più. A quanto ho potuto udire, il Ministro non è stato soddisfatto della maniera con la quale il Verger ha diretto il teatro Italiano durante i tre mesi primaverili. Non so quanto sia vero quel che si è detto a tal proposito e non ho missione di verificarne Inesattezza, ma si è sparsa la voce, a ragione o a torto, che non tutti gli artisti che hanno figurato sul cartello erano scritturati a pagamento. Ora se ciò è vero, il Ministro ha ragione di ricusare il suo appoggio al direttore. Il Teatro Italiano di Parigi, dotato come è, e mantenendo i prezzi assai elevati, non è un teatro di esordienti, ove tal o tal altro tenore, tale o tal’altra cantante possa provar la sua voce innanzi ad un pubblico che paga. Che a quando a quando, per eccezione, vi sia un esordiente, nulla di più naturale; ma non bisogna abusarne e farne un sistema. Il direttore di un teatro di tanta importanza come il Teatro Italiano di Parigi, non può dire al giovine artista o alla giovine prima donna: «provate, cantate una sera o due; se avrete successo cercherò di scritturarvi per l’anno venturo, se no, vostro umilissimo servitore». Il pubblico non si presta volentieri a questo genere di esperimenti che la facoltà medica chiama in anima vili. Gli amici e partigiani del Verger, credendo aiutarlo, gli fanno più male: difendono con calore la sua causa nei giornali; e ciò non può che irritare ancor più il Ministero, a cui parrà che gli si voglia forzar la mano, se mi concedete questa locuzione alquanto esotica. Ve ne sono altri die gli consigliano di riunire insieme i due teatri, il Lirico e l’italiano, e di far cantare, come credo già avervi detto, una sera l’opera italiana, la sera seguente l’opera francese e così via via. Ma come si farebbe per le traduzioni? II teatro Lirico dava spesso Rigoletto, la Traviata, la Sonnambula, il Ballo in maschera, tradotti in francese. Non sarebbe egli assai strano di far cantar sullo stesso teatro oggi il Rigolelto in italiano, domani lo stesso Rigolelto in francese? L’uno farebbe torto all’altro. Eppure mi si assicura che il Verger è disposto a seguir un cosi strano consiglio. Se ne pentirebbe ben presto. Habemus pontificem! Posso valermi tanto più di questa citazione, che è quistione del gran premio di Roma. Il trionfatore, il laureato, il felice mortale che ha ottenuto questo gran premio, che non era follia. sperare. è il signor Salvayre, allievo di Ambrogio Thomas e di Bazin. Il secondo è il. signor Ehrhart allievo di Reber. La cantata di Salvayre è stata eseguita da tre artisti Opéra: la Fidès de Vries, il tenore Bosquin ed il basso Gaillard. Il soggetto della cantata è Telemaco. Solo per aver messo in musica quest’argomento avrei ricompensato il compositore! Ha dovuto far prova d’una grande pazienza e d’una non meno segnalata rassegnazione. Telemaco, Mentore e Calipso! Che scelta triade per un piccolo dramma musicale in un atto e quattro pezzi. Quattro concorrenti sono rimasti sul terreno. Essi, come la povera Calipso, non potranno consolarsi d’aver passato ventinove giorni, chiusi in gabbia, per comporre una Cantata, che non ha prodotto loro che tedio, fatica-e disinganno. Almeno il vincitore se ne va a Roma a spese del Governo. Si può soffrir un mese per vivere con la pensione dello Stato durante due o tre anni. Ma gli altri.? Li compiango di tutto cuore. Non resterà loro che ad invitare i parenti e gli amici e a divertirli tutte le domeniche, facendoli assistere ad una esecuzione al pianoforte del loro Telemaco. fi. LONDRA, 8 luglio Ancora della Gelmina del principe Poniatowski — Un cantante-principe — Annunzìi e notizie. Per quest’anno, se non per gli anni avvenire, la musica di Gelmina non si sentirà più in Covent- Garden. L’uditorio di quel teatro, con tutto lo spirito aristocratico che possiede, manca di quella generosità, ch’è necessaria per, far vivere lunga vita all’opera ultima del principe Poniatowski. Che il principe Poniatowski meritasse successo è incontestabile; e nessuno più di me glielo ha desiderato pei suoi meriti personali, che non sono pochi; ma quando il pubblico è chiamato a dar giudizio d’un’opera d’arte, esso non sa e non deve ricordare troppo teneramente i meriti personali per quanto grandi dell’autore. Il pubblico ha sentito Gelmina, e nell’assieme non n’è rimasto soddisfatto; però esso non simpatizza meno col principe Poniatowski pei suoi nobili sforzi. Scrivere un’opera sembra che sia la cosa più facile di questo mondo. Tutti ne scrivono, tutti ne vogliono scrivere. Il successo d’una romanza fa credere al più giovine compositore ch’esso è già abbastanza erudito da poter scrivere un’opera. E poi siccome non il merito, ma l’influenza o Tintrigo porta simili opere davanti al pubblico (almeno generalmente), cosi si spiegano i fiaschi a dispetto delle cento e una melodia di tutti i maestri possibili, che costituiscono l’opera! Badate che intendo limitare le mie osservazioni a compositori di qui; i quali, a giudicare dall’istrumentazione delle cose loro provano ad oltranza come siano in aperta guerra colla scienza musicale. Avendo fatto menzione del principe Poniatowski accennerò che esso non è compositore, ma anche cantante. I giornali annunziano che esso canterà nell’occasione prossima di uno dei soliti concerti, che non interessano menomamente il pubblico. Ogni maestro ha il mal vezzo, come sapete, di dare un concerto annuo; e questo non interessa che lui, che si fa pagare i biglietti a prezzi di fantasia, in ragione di circa lire trenta T uno; e non interessa che i suoi discepoli i quali hanno da pagarle. La musica, che si fa a simili concerti, non è mai u quasi mai d’interesse pubblico. Nel caso che ho menzionato, la curiosità, se non altro, può stimolare qualche estraneo a spendere una ghinea per la soddisfazione d’udire cantare un principe. 11 Guarany di Gomez è annunziato pel giorno 11 con la Sessi, Cotogni, Faure, Bagagiolo e Nicolini; e domani sera debutterà finalmente la Smeroschi nell’Elisir d’Amore. Questa giovane cantatrice ha straordinaria fede in sè stessa e aspetta di cogliere un trionfo. Che Dio le mantenga a lungo quest’illusione; ma al Covent Garden quei signori, che sanno, ne dubitano. Al Drury Lane si sta preparando per la Mari mon la Caterina d’Auber, che sarà cosi rappresentata per la prima volta nel teatro italiano. Il Fancelli fa progressi, sebben non giganteschi, nel pubblico favore. Nella Lucia esso piace molto ed è meritamente applaudito. È cosa sorprendente che voci, come quelle di Fancelli e di Cotogni, passino qui comparativamente inosservate: mentre in Italia e altrove sono altamente apprezzate: ed è cosa anche più sorprendente che tali artisti vengano a Londra, dove ricevono paghe di gran lunga minori di quelle che ricevono e potrebbero ricevere nella stessa Italia e altrove, coll’aggiunta di essere apprezzati. I conjugi Bettini non andranno più col signor Pollini nel giro artistico dell’Olanda, del Belgio e della Germania. La Bettini rimane con Mapleson e il Bettini passa in disponibilità per l’autunno e la stagione di carnevale-quaresima. La rottura del contratto per parte del signor Pollini è ascritta non tanto a influenze femminili quanto all’improvvisa caduta di tutto il progetto. -c. [p. 237 modifica]GAZZETTA M U S I C A LE DI AI I L A N 0 23L Vienna, 2 luglio. Compagnia Meynadier al teatro della Wieden — Promesse dell Opera Imperiale La compagnia italiana Franchetti al teatro Stranpher II Monumento a Schubert — Gli strumenti cremonesi all’Esposizione — Un poeta tedesco lombardo. La musica da noi è oggidì come autore in angustie; per tutto l’amore che noi le portiamo, non sapremmo di qual parte pigliarne un diletto, nè di quale raccozzare un’idea che valga a darci saggio della corruscante sua bellezza. Come donna che non voglia essere cortese di sua persona, ella ei s’invola dai piacevoli ritrovi, nei quali l’incontravano tutta raggiante di sua venustà, tutta fulgente di sue forme peregrine; il maggior tempio, sacro all’arte, è chiuso per qualche settimana, la stagione morta è sopravvenuta con tutto il corredo delle sue miserie e a meno che non si voglia rinunziare per qualche tempo ai diletti della sua compagnia, forza è di ridursi al proprio salotto e sul clavicembalo riandare le solenni creazioni dei maggiori. A siffatto esercizio siamo costretti ora che l’epoca dei bagni disperse gli artisti o gl’invitò a cercar refrigerio nelle acque, ovvero a far copia dei loro tesori ad altri paesi. Alle corte, noi siamo rimasti senza musica, chè quella procace e insolente sciocchezza che ei ammaniscono i teatri dei suburbi non merita certamente che altri ne ragioni, nè lo si potrebbe senza sentir vergogna. Diffatti il Meynadier che al teatro della Wieden venne a sostituirsi all’opera italiana con un repertorio di operette francesi non può sostenere una critica seria. 11 suo è mestiere, come quello di ogni altro che voglia far quattrini alle spalle di un pubblico ghiotto di laidezze e d’imbratti; l’arte ne è sbandita, le sue leggi infrante, la sua efficacia volta in ludibrio, e ad ogni affetto che da essa ei ripromettiamo è per lui posto in guardia il solo interesse. Scinta e provocante vi lussureggia la seduzione, venuta anche tra noi cogli artifìci della Senna; libero vi signoreggia il vizio, aumentato delle spoglie più appariscenti, e solleticando l’occhio e l’orecchio trascorre fino alla vicinità del codice penale, senza incapparvi per entro un paragrafo della giustizia umana. Può un valentuomo gravarsi la fronte di tanta bruttura ed immiserire, forse anche per poco, in tanto sfibrarsi del sentimento retto ed onesto? Può un padre di famiglia, un marito accompagnare a tanto scandalo le figlie o la moglie, senza temere che la purezza dei loro costumi ne sia appannata dalla prossimità della sozzura? Solo una nobiltà di fresco inverniciata che dispone di denari e di sogghigni può bearsi allo scherno delle eterne leggi del vero; solo coloro a cui sembra tirannia la propria nullità possono contraddistinguersi per una matta predilezione per una novità, che vive la vita d’un giorno di moda. Ed è pur troppo ognor crescente il numero di quelli, sui quali la speculazione fa assegnamento; troppo è invalso l’andazzo dei superficiali, che si comprano a contanti la corruzione; troppo è già cresciuto il numero di quelli che della corruzione arricchiscono, per isperare che una sana critica arrivi a mitigarli a temperanza. A parer mio sarebbe lavoro degno di civiltà l’investigare di quanto danno furono apportatori quei maestri, che nelle loro lascivie artistiche vanno crescendo una società, rotta al materialismo più sfrenato, alla libidine di piaceri più smodati. Allorché io osservo la folla dei più favoriti dalla fortuna che fa ressa al nostro teatro Carlo per deliziarsi alle leggierezze dell’Offenbach e di quella plejade di seguaci ch’egli allevò non col fascino del suo ingegno, ma colla facilità con cui gli riesci di corbellare gran -parte del pubblico e impinguarsi il proprio borsello, mi si stringe l’animo di compassione per tante forze sciupate e per tanto tempo perduto. Come, dico a me medesimo, la generazione che cresce in mezzo a tanto fervore di civiltà non trova niente di meglio a fare che assistere sitibonda alle lezioni della spensieratezza e del libertinaggio? Non ha nulla di meglio a fare che cercar eccitamenti alle sue passioni, e nel bollore dell’età, come nel meriggio della vita, rinvigorire l’ala de’ suoi appetiti in quelle erotiche deliquescenze? Per conto mio, anche a rischio di andarne solo, me ne vo lontano lontano e mi salvo nelle dolci reminiscenze di quei tempi che ei tramandano i più soavi profluvii del genio, le più leggiadre forme del piacere ed aspetto che il teatro dell’Opera imperiale ei ridoni i regali dell’Ifigenia in Tauride del Gluck, del Così fan tutte del Mozart, àeìY Abu Hassan e dell’O&eron del Weber e presso queste novità antiche, anche la Regina di Saba, novità più moderna del Gounod. Tanto ei si promette da parte della Direzione ed io le mando il mirallegro di tutto cuore, perchè mi pare pur sempre ancora che tornando all’antico faremo progresso. Anche l’impresario Franchetti col suo antiquato repertorio italiano è stato qui per una dozzina di sere in un teatrino della città, quello dello Stranpher che a dir vero non si presta per null’affatto al Mosè, all’Otello, all’Emani ed a simili capilavori di lena. Il portentoso suo Patierno era il fascino della platea e della galleria e per poco non udimmo chiamar all’onor del proscenio tutti quelli che per una o per altra ragione stanno in rapporto con questo artista. Via, è troppo provinciale questo modo di chiasso in teatro, dove si assiste, almeno da noi, per godere della buona musica felicemente interpretata. A queste condizioni, diciamolo recisamente non corrisposero le rappresentazioni stantie disposte dal signor Franchetti, il quale, appena la Patti avea cessato di elettrizare il nostro uditorio mediante la maestria della sua arte, sperò di continuare l’effetto colla Fossi, col Bertolasi e col Milesi. Vano tentativo! Il Patierno ebbe l’abilità di trascinare seco coll’eruzione delle sue note anche gli altri, che si sforzarono a più non posso d’aggiungerne l’altezza degli acuti e furono tutti lì lì per cadere nel ridicolo. Vi accenno questa esagerazione perchè la mi pare la ragione più stringente a persuadervi che di tali apostoli di musica italiana alla capitale non abbiamo veramente alcun bisogno e che il naturalissimo che è la prerogativa più singolare del tenore Patierno non gli assicurerà che il chiasso in un teatro di provincia. V’invito ora a seguirmi nei viali ameni del nostro parco cittadino e li fra le ombre di un boschetto deporre un omaggio sul monumento di un artista, che meno di qualunque altro cercò vita durante il plauso della moltitudine. Egli è lo Schubert, il maestro della canzone musicale, a cui la società del canto, riconoscente e liberale di propri mezzi eresse una statua. Siede il lirico inspirato sopra un piedestallo, in atto di cogliere un’armonia e tradurla sul libro del suo canzoniere; nulla di quaggiù pare lo tocchi, e anche senza gTemblemi che gli posero a piedi sarebbesi detto: egli vola sui campi eterei del bello eterno, ove spaziano gli eletti, ove non arrivano coloro che strisciano sulla terra al vii guadagno intesi. C’è qualche cosa di solenne in quel portamento; c’è della poesia più pura in quell’atteggiamento; l’arte divina, di cui fu penetrato, trapela da quelle linee, le quali alla loro volta inspirano alla più nobile delle arti. Poeta patriottico, figlio di Vienna, ritrasse in sè gran parte della vita ond’era circondato e ei lasciò un’eredità che noi vogliamo custodita ed ampliata a benefizio morale e civile dei nostri figliuoli. Deponiamo ora un’altra corona sul monumento, grati delle emozioni vivissime che la lira del concittadino sa destarci neH’animo in qualunque disposizione si trovi. Sono lieto ora di potervi annunziare che l’idea di unire alia nostra prima prossima Esposizione universale una mostra speciale degli istrumenti cremonesi ed il programma compilato nell’intendimento di giovare alla storia della costruzione degli strumenti stessi, trovano dovunque fra gli amici delle arti e fra i raccoglitori di oggetti di alta curiosità il più segnalato ed il più caratteristico favore. Le inscrizioni che già si annunziano per questa mostra speciale sono cosi numerose da poterle assicurare fin d’ora il più splendido successo. Rilevo che fra i rari campioni figureranno violini dei più reputati maestri; vi faranno egregia mostra di sè e della loro preziosità alcuni capilavori di Antonio, di Girolamo, di Andrea e di Nicola Amati, uno di Guarnieri, un altro dello Stradivari, e di Jac. Stainer. Il principe Maurizio Lobkovitz promise non meno di 14 strumenti di rarissimo pregio, tra i quali tre Amati, un Guarnerio, un Stradivari, un Gaspero Sacon, sette Jac. Stainer. Il dottor Schebeck di Praga, il quale s’incaricò di provvedere l’occorrente per questa sezione dell’esposizione, annunzia tre istrumenti, uno di Jac. Stainer, uno di Quiotantus, uno di Guarnerio. ed il Conservatorio di quella città offre due istrumenti antichi. Violini di gran pregio manderanno i signori Binder di Praga, Bitter di Vienna, Brosch e de Portheim, Sitt pure di Praga, ed altri ancora. A giudicare dall’interesse che da ogni parte si manifesta, per la buona riuscita dell’idea, questa sezione dovrebbe tornare in vero a grandissimo lustro dell’esposizione e formare una singolarità che per la storia dell’arte e del lavoro sarà oltremodo giovevole. Non esco dal campo delizioso dell’arte riferendovi qui ancora di un italiano, e precisamente cremonese, divenuto altresì poeta tedesco. Egli è il signor Gaetano Cerri, che di questi giorni fu nominato dall’Imperatore a Segretario Aulico presso il Ministero degli esteri, e che alle tante sue produzioni letterarie aggiunse di questi di una «Professione di fede» ed un dramma lirico, che dovrebbe essere intitolato dal Byron suo protagonista, e che invece corre per il mondo letterario artistico sotto il nome «Turbine e foglie di rosa». Parlo, vi dico di un lombardo, leggiadrissimo poeta tedesco, e solo questo fatto, per sè veramente straordinario, lo raccomanda alla vostra ammirazione; la nostra gli è assicurata fin d’allora che, anni addietro, avemmo l’occasione di vedere con quanta felicità, di concetto, con quanta maestria di versi egli ei facea gustare in tedesco le soavità dei vostri Vittorelli, Leopardi, Aleardi, Prato, e con quanta verità egli significava in versi originali le forti emozioni ond’è compreso il suo cuore gentilissimo. I suoi lavori più recenti rivelano in lui un progresso notevole nella sodezza dei propositi, nella vetustà della civile sapienza e quello che più rileva un corag [p. 238 modifica]240 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO gio senza esempio tra noi per combattere l’irruente materialismo onde sono minacciate gravemente e la vita e l’arte in tutte le loro manifestazioni. La sua Professione di fede è una sfida gettata alla società corrosa e corrodente, è un grido d’indignazione contro il pervertimento che grandeggia; e poi il rimedio alla piaga che deturba l’organismo. Elevato il sacrario della famiglia alla dignità dell’uomo, sublimata la donna all’apostolato di civiltà, di virtù, il poeta ripone sulle più salde fondamenta il risorgimento sociale, e non è padre di famiglia, non è uomo sollecito della propria missione, che non s’accordi con lui nella santità del suo divisamento. Egli toccò in sul più vivo la parte malata e colla sagacia del riformatore propose il metodo della guarigione; a noi, ai più autorevoli la cura di mandarlo ad effetto. Di lui abbiamo altresi un idillio del vero saggio moderno che plasmato nel suo «Amedeo» vive a sè, alla sua famiglia, ai doveri del suo stato e coll’esempio e col consiglio si fa altrui maestro di virtù e di sapienza. Questi pochi cenni vi saranno sufficienti a giudicare della direzione d’idee e del fervore di affetti ai quali s’inspira il poeta lombardo. La sua musa è quella del Pellico, di cui dettò eziandio un accuratissimo studio biografico, la sua parola è la più incensurabile, il suo verso un’armonia. Conosco un giovine viennese, il quale si propose di mettere in musica alcune anacreontiche del Cerri; vi dico che le si prestano assai spontanee alla traduzione musicale e quando le saranno musicate ve ne parlerò. Intanto sarete convinto che in una relazione d’arte, trattandosi anche di un vostro celebrato concittadino e poeta lombardo, io non oltrepassai il compito mio richiamando l’attenzione dei vostri lettori sopra l’attività poetica di uno scrittore, che anche in lingua straniera onora sì egregiamente il vostro paese, mentre è stretto nei più amichevoli rapporti coi migliori poeti ed artisti tedeschi. Nel fiore degli anni, nella più promettente speranza, egli è in grado di aggiungere ancora dei fiori alla ghirlanda, che in Austria ed in Germania gli hanno offerta P ammirazione dei colleglli e la gratitudine degli uomini ammodo. TEATRI PADOVA. Ci scrivono: - Continuano con esito sempre crescente le rappresentazioni dell’Aida. Sempre folla, sempre applausi e chiamate presso che a tutti i pezzi, e a tutti gli esecutori, compreso il direttore d’orchestra Faccio. ROMA. Al Politeama Romano ebbe esito discreto la Gemma di Vergy, eseguita dalle signore Stermini de Vitten, Colarieti e dai signori Marubini, Marucco e Moroto. BOLOGNA. Il Consiglio Municipale, emendando il suo voto antecedente, votò 40,000 lire di dotazione al teatro Comunale. ROVIGO. Ci scrivono: La Statua di Carne del maestro Marchiò andò in scena il 6 luglio, ed ebbe esito superiore all’aspettazione; il compositore ebbe molte chiamate al proscenio. Contribuì al successo l’ottima esecuzione, specialmente per parte della signora Clementina Flavis-Cencetti, che si è mostrata artista di molto talento, e del contralto signora Consolani-Piazza. Bene il tenore Clementi e il baritono Giommi; discretti i cori e l’orchestra. UDINE. Ci scrivono: Al nostro teatro Minerva ebbero luogo due serate a beneficio dei danneggiati dell’inondazione, per cura della Società Pietro Zorutti. Ebbero esito splendido e vi si fecero applaudire molti nostri dilettanti, fra cui le signore Milanesi e contessa d’Arcano, i signori Marzari e Zilio (che cantarono alcuni pezzi) i signori Pollanzani, Grassi e Cantarutti, che eseguirono assai bene un concerto per clarino, oboe e flauto e i fratelli De-Benedictis valenti concertisti l’uno di clarino, l’altro di bombardone. Chiuse il trattenimento un Inno a Roma composto dal bravo maestro Virginio Marchi, che fu eseguito ed ebbe l’onore della replica. La banda militare e l’orchestra cittadina furono applauditissime. BARCELLONA. Il 4 corrente andò in scena al Liceo la Saffo colle signore Carolina e Teresina Ferni, col tenore Aramburo e col baritono Giraldoni. Dopo l’opera, che ebbe esito lietissimo, la signora Carolina Ferni si fece molto applaudire suonando una fantasia per violino. VALENZA. (Spagna) I giornali fanno molti elogi d’una nuova zarzuela Misterios del amor, musica di D. Manuel Soriano, che ebbe splendido esito nel teatro del Circo. NOTIZIE ITALIANE — Brescia. Ci scrivano: Ad un concerto dato il 2 corrente da questa Società filarmonica furono applauditissimi il giovane maestro sig. Paolo Chimeri e il signor Camillo Zuccoli. il primo nell esecuzione del bellissimo Concerto in Sol min. per piano con orchestra del Mendelssohn; il secondo in un corcerto di De-Beriot per violino e in un brillantissimo capriccio di Wieuxtemps di cui si volle la replica. Si distinsero inoltre in alcuni pezzi di canto la sig. Emilia Redi, il sig. Luigi Jacovacci e il dilettante sig. Paolo Gorno. Benissimo l’orchestra diretta dall’egregio maestro Consolini. — Lucca. Nel 29 maggio p. p. ebbe luogo il consueto anniversario. Il M. Magi diresse da pari suo il Requiem di Cherubini. L’11 di questo mese un di lui allievo, Alfredo Catalani, diresse una prima sua messa nella cattedrale di questa città, e gli intelligenti lodarono molto questo primo lavoro, sia dal lato dello stile, come da quello della fattura. (Boccherini.) N E C R OL O G I E — Lubecca. I. D. Stiehl, organista della chiesa S. Jacopo, mori il 27 giugno a 71 anni. Mannheim. Dott. Luigi Hetsch, da molti anni maestro direttore del teatro di Corte e della Liedertafel. POSTA DELLA GAZZETTA Signor rag. B. — Cremona. — N. 185. Abbiamo ricevuto il vaglia. La Gazzetta si pubblica sempre alla domenica, ma spesso, per abbondanza di materia, non esce che nelle ore pomeridiane; perciò non può essere spedita in provincia prima del lunedì mattina. Signor B. L. Y. R. — Lecce — N. 344. Terremo conto della vostra offerta, ma avviene assai di raro che si pubblichino traduzioni di racconti nella Gazzetta. Signor G. P. — Tirano — N. 491. L’uno e l’altro sono due proverbi toscani che potrete trovare nella Raccolta pubblicata da Giuseppe Giusti, con apposite dilucidazioni. Il primo torna quanto dire: chi ha roba ha pensieri; l’altro accenna ai vantaggi di chi si trova in paese proprio fra persone amiche. SCIARADA Sono una cosa sol primo ed intero; Molte sorelle ha Y altra, ed è il totale, Avveduto, crudel, despota fiero. Quattro degli abbonati che spiegheranno la Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA CHIAVE DIPLOMATICA DEL NUMERO 26: Vi è pazienza senza genio, ma non vi è genio senza pazienza. SPIEGAZIONE DEL REBUS DEL NUMERO 26; Legami mani e piei e gettami fra* miei. Mandarono le due spiegazioni esatte i signori: B. Lopez-y-Royo Duca di Taurisano, maestro Salvatore Botta, G. Piccioli, prof. Angelo Vecchio, Ernestina Benda, Citerio Amos, Talia Bianchi-Giovini, Paolo Beliavite, E. Bonamici e Giuseppe Onofri, Estratto a sorte un nome riuscì premiata la signora Talia Bianchi-Giovini, a cui fu spedita l’opera richiesta. Spiegarono la sola Chiave diplomatica i signori: Alfonso Fantoni, maestro Giuseppe Falavigna, E. Donadon e il solo Rebus i signori: capitano Cesare Cavallotti, ingegnere Pio Pietra e Roberto Gill. Estratti a sorte, fra tutti, quattro nomi riuscirono premiati i signori: G. Piccioli, Giuseppe Falavigna, Paolo Bellavite e B. Lopez-y-Royo. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, garante. Tipi Ricordi — Carta Jacob.