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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 233 A PADOVA I giudizii dei giornali sono più espliciti dopo le rappresentazioni succedute alla prima, con successo sempre crescente. Ecco ciò che scrive il Giornale di Padova in data del 7 corrente: «.Bisogna tornare molto indietro nei fasti delle nostre maggiori scene per ricordarsi di un successo clamoroso, sotto tutti gli aspetti, come quello che -ottiene presentemente I/AIDA dell’illustre Verdi. E l’entusiasmo è ancora in crescendo. • Ieri sera il teatro era splendidissimo, e tra la folla degl’intervenuti si contavano parecchi triestini, con qualche signora elegante di quella città.» Inutile enumerare le chiamate e gli applausi fragorosi, che in qualche punto, come per esempio, al duetto delle due donne, arrivarono alla frenesia. «Chiunque parla di questo spettacolo riassume le sue impressioni con una sola parola: immenso». Il Corriere Veneto del giorno 8 dice: «La rappresentazione dell’AiÆà aveva per Padova un interesse abbastanza vivo, poiché quest’opera non era stata rappresentata che al Cairo, a Milano, ed a Parma. Si trattava quindi di udire una novità, e noi ei recammo al nostro teatro molto preoccupati dell’accoglienza che le si farebbe; ma i nostri timori svanirono, che il pubblico mostrò subitamente apprezzare questo nuovo lavoro di Verdi, con quell’applauso che solo il vero genio sa strappare fino ai più restii. L’esito pure della seconda e terza rappresentazione fu completo, ed il pubblico, diciamolo senza esitanza, prese a gustare ogni giorno più tutte le bellezze e i pregi sia della musica, che dell’esecuzione. La romanza di Radamès, l’inno di guerra rilevato dalle masse e dall’orchestra con forza e colorito, l’aria d’Aida, il finale primo, il duetto a due soprani, il finale secondo, tutto fu applaudito; ed anzi si accolse con tanto entusiasmo questo pezzo concertato che si volle al proscenio per varie volte unitamente agli artisti, il direttore sig. Faccio. L’atto terzo, e nei quarto il giudizio di Radamés, ed il duetto finale, furono segno ad applausi continui. Non ei dilungheremo sul merito dell’opera di cui i critici teatrali tanto si occuparono. — Il soggetto appartiene alla storia Egizia — l’amore, l’odio, la speranza e la disperazione, formano le varie tinte del quadro. Shakspeare ne avrebbe fatto un gran dramma, e Verdi da vero artista riconobbe nel soggetto stesso una causa di immediata e vivissima impressione sul pubblico». • L’originalità ed il colore locale della musica si rivelano pienamente anche a quel pubblico che non sa e che non ha obbligo di sapere. Ogni finezza dell’arte vi è profusa. Sentimento nei mezzi morali, profonda conoscenza dei mezzi materiali, ecco il magistero di questa musica che lascia l’impressione di un vero sublime, splendida fiaccola di quel genio che da solo dissipa le turbinose emanazioni dei razionalisti in musica». E da Padova scrivono al Rinnovamento di Venezia:» Tutto concorse a che il successo fosse tale nel più stretto significato della parola; musica, cantanti, orchestra e messa in scena. „ Tutto fu grande, imponente, sublime, ed io credo fermamente che il pubblico al termine della prima recita non avrebbe finito più di gridare se sotto l’influenza di una grande impressione fisica e morale, non fosse rimasto per qualche tempo paralizzato.» Io non vi dirò se questo ultimo lavoro del grande maestro prevalga o sia inferiore dei precedenti; se esso solo bastasse a comporgli quella aureola di gloria che il mondo gli ha ormai consacrato per tanti insigni lavori; se la fàttura musicale sia in adeguata proporzione della grandiosità dello spettacolo: tutto ciò lascio ad altri decidere, ciò che m’importa rilevare per conto mio è questo, che colla sua Aida Verdi non ha minimamente piaggiato il sistema tedesco, che la sua composizione è puramente italiana, melodica, ispirata e ne fa fede la frase dominante dell’aria di Radamés nel primo atto, il canto mistico delle Sacerdotesse pure nel primo atto nel tempio di Vulcano, il duetto nel secondo fra Amneris ed Aida e la marcia finale dell’atto per la quale sono insufficienti le pareti di un teatro, lo stupendo duetto fra Amonatro ed Aida nell’atto’terzo, ed il susseguente con Radamés ed il finale, e tutto l’atto quarto infine, creazione degna dell’insigne compositore....» Ho sentito persone di non povero senso, dire: se non avessi che cinqne franchi, farei a meno di mangiare, e li spenderei per tornare a sentire F Aida. — La frase è abbastanza significante.» Gli. stessi giornali sono concordi nel tributare immensi elogi agli esecutori ed al maestro Faccio, il quale ad ogni rappresentazione, dopo il secondo atto, è fatto segno di ovazioni lusinghiere. Riportiamo finalmente alcuni frammenti d’un articolo pubblicato nel giornale La Banda: Verdi andò dietro all’epoca, volle aggrandire sempre più il prestigio della musica, accattando dagli ultramontani quanto di bello e di grandioso vien Velâzquez si diresse al suo appartamento; dieci minuti dopo che v’era entrato, don Gasparo de Guzman y Pimentel penetrava, senza farsi annunciare, nella camera di Filippo IV. V. RE DI NOME E RE DI FATTO. Il Re scriveva seduto innanzi ad una piccola tavola coperta di carte, e il suo lavoro doveva essere in versi, come l’attestastavano le righe disuguali, e la cura che metteva nel contare le sillabe colle dita. AH’udire i passi del conte-duca alzò il capo e mostrò il suo grazioso volto, pallido e patito come di chi non ha riposato. infatti Filippo IV già da tre notti non chiudeva gli occhi, pensando alla sorella del suo pittore di camera. Il Re di Spagna aveva venticinque anni, era di statura media, di tinta piuttosto bruno - pallida con bellissimi occhi; il suo naso leggermente curvo, era forse per questo piccolo difetto la parte più graziosa del suo volto: i càpegli castani scendevano in lunghe anella e ondeggianti fin sul colletto di candida batista, e i folti baffi, appuntati all’insù, compievano alla sua fisonomia quel carattere dell’epoca che invano dopo s’è tentato di imitare. Il suo piede, chiuso in una scarpa di tacco alto e coperta da un grande laccio, era snello, piccolo, arcuato; le mani bianche e delicate uscivano da ricchi pizzi, e la veste di velluto nero disegnàvasi benissimo sull’alto e largo petto e sulla sua persona snella e ben fatta. L’età di Olivares giungeva appena al nono lustro, e i suoi lineamenti, severi e rigidi, lasciavano scorgere un carattere ambizioso; ma erano però dotati in pari tempo di tanta sorprendente flessibilità, che costantemente cambiavano d’espressione, senza che ciò sembrasse costargli il più piccolo sforzo. Vestiva con maggiore sfarzo del Re, ed era corpulento e di statura molto alta. Sino alla porta della camera reale, le sue ciglia, violentemente contratte, e la iraconda espressione de’suoi occhi avrebbero fatto palese, anche all’osservatore meno destro, 1 ira che fermentava in quell’anima; nel comparire però innanzi al Re, i suoi lineamenti pigliarono l’impronta di una gioia cosi sincera che avrebbe ingannato l’occhio più penetrante. Nel primo sguardo che il Re fissò sul volto di Olivares, l’allegria di questi si rifletté nel cuore del monarca come da uno specchio, e s” alzò in fretta. — Mi rechi qualche buona notizia? chiese ansiosamente. — La migliore che posso dare a V. M. -— Quale? Don Gasparo con somma cura awicinossi alla porta segreta della camera da letto, e la chiuse senza fare il più piccolo rumore; altrettanto fece con quella che comunicava col gabinetto di toletta del Re e con l’altra che metteva all’anticamera; poscia tornò verso il monarca. — Siedi, diss’egli all’Ulivares, accennandogli una scranna al suo fianco, e tornando ad occupare la sua. — Signore! susurrò il conte-duca simulando una grande confusione. — Siedi, replicò il Re negli occhi del quale brillava F ansietà. Don Gasparo di Guzman obbedì; indi si avvicinò al Re, e disse, accentuando le parole, e scrutando con uno sguardo profondo l’effetto che producevano sul suo volto: — Signore, la giovane che passa per sorella di Velâzquez non la è. — Che? Come? esclamò impetuosamente il Re. — La giovane e bella Anna è l’amante di Velâzquez. Una viva gioia brillò sul volto del Re; ma quella espressione fu tosto cancellata da altra di amaro e profondo abbattimento. Filippo IV amava svisceratamente quella giovane, e la notizia della sua depravazione gli cagionò un dolore così intenso, che soffocò la speranza, che questa stessà depravazione gli fece concepire di farla sua. — - In qual maniera non è stia sorella? replicò senza sapere forse cosa diceva. — È una fanciulla che si condusse da Anversa, quando spinto dal desiderio di conoscere Rubens e studiarne le opere, andò in quella città. — Ah! a proposito... esclamò Filippo IV colla leggerezza di carattere che gli era abituale, Rubens viene. — Viene Rubens! ripetè il conte-duca, il quale avvezzo a dominare interamente Filippo IV, non poteva soffrire vicino al Re nessuna persona che esercitasse sul suo animo la più piccola influenza. Viene Rubens! E a fare?