Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 34
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Oltre a questi fenomeni principali, che servivano ad appoggiare l’opposta teoria, altri se ne possano spiegare, che ben difficilmente vi si riuscirebbe per mezzo dell’umor discendente. Questi sono: il taglio fatto allo scopo di concentrare il succhio; la piegatura dei rami verso una linea più o meno orizzontale, od anche in basso, per limitare sempre più la soverchia vigoria di produzione legnosa; il presentarsi dei germogli succhioni in posizioni piuttosto basse, giammai sopra rami pendenti, e sempre avanti la piegatura; le incisioni profonde, le legature, le decorticazioni circolari, e la frattura parziale allo scopo di favorire l’ingrossamento dei frutti e non già della parte legnosa superiore al luogo dove fu praticata alcuna di queste operazioni. E finalmente potremo farci ragione del modo di comportarsi e degli effetti ch’esercitano sull’alburno i chiodi, le caviglie i segni, le contusioni, ecc., non che del modo di rimarginarsi delle ferite, ecc.
Comune è il dire che, con un taglio ben diretto, si possano rinvigorire le piante, concentrando gli umori nelle parti rimaste; e che, se ciò vale in ogni caso per dirigere a volontà la vigoria nelle diverse parti delle piante, divien poi indispensabile quando una pianta comincia a deperire facendo stentati germogli annuali. Or bene, nel primo caso, se l’umor nutritivo è il discendente, le parti non tagliate riceveranno sol quanto sia elaborato da proprie foglie, e non già quanto avrebbero dovuto elaborare le foglie delle parti levate. Togliere rami sarebbe togliere colle foglie parte dell’organo digerente, nè si saprebbe come col taglio si arrivi a dare maggior vigore alle parti non tagliate. Sarebbe come dire che sopprimendo od impedendo l’azione d’una porzione dell’apparato digerente ad un animale, se ne possa rinvigorire l’organismo. — Concedendo alle foglie la facoltà digerente, se noi le togliamo, deve cessare più o meno la nutrizione, in ragione della maggiore o minore quantità di foglie levate. E le foglie dei rami non tagliati non arriveranno giammai a elaborare più di quanto potevano elaborare dapprima. Se la cosa avvenisse come i fisiologi vogliono, le piante potate di frequente, o diminuite di rami, sarebbero le più robuste e voluminose, ma non è così. Osservisi per esempio due gelsi, ad uno dei quali si applichi un ben regolato taglio in primavera per disporne le diramazioni, o per aver germogli lisci e vigorosi, mentre all’altro si lasci ogni parte, ogni ramicello che valga a produr foglie, e vedrete che quest’ultimo crescerà in grossezza assai più del primo, e che la somma della quantità delle foglie, e della lunghezza dei rami, sarà sempre a vantaggio del gelso non tagliato. Osservate tutte le piante educate dal taglio del giardiniere, e le vedrete certamente meno robuste d’altre consimili cresciute liberamente. Le piante impoverite frequentemente di parti destinate a dar foglie, non aumentano di molto, intristiscono presto, e presto muojono. E qui non è a confondere aumento nella produzione di frutti con vigore di vegetazione. L’orticoltore sa benissimo che egli sacrifica la durata della pianta alla precocità ed alla fecondità. — Nelle piante vegete adunque il taglio non serve assolutamente a rinvigorire; concentramento o rinvigorimento solo talvolta si ottiene nelle piante deperenti, quando deboli germogli annuali indicano languore, e più che un’alterazione delle parti verdi aeree, indicano una causa residente nelle radici, per la quale secondo me, siansi guasti i succhiatoj, o che questi difficilmente trovino materiali nutritivi da elaborare. In questo sol caso il taglio può produrre un vero concentramento d’umori, limitando ad una minor estensione di parti, l’azione nutritiva del succhio ascendente; ed è, ripeto, una prova che il succhio ascendente è quello che ha la facoltà nutritiva.
La piegatura dei rami, ognuno sa, serve ad aumentare la precocità, il volume, o la quantità dei frutti nella parte che sta oltre la piegatura, ma in pari tempo, è a scapito della produzione legnosa. Ebbene, se l’umor discendente fosse il nutritivo, la cosa dovrebbe succedere perfettamente al contrario, il cambio reduce dalle foglie, più difficilmente dovrebbe discendere trovandosi sur un piano vicino all’orizzontale, e per le stesse ragioni che finora valsero a spiegarne la discesa, dovrebbe fermarsi in maggior quantità in questa porzione, e dar luogo ad un ingrossamento legnoso considerevole, oltre allo sviluppo di rigogliosi germogli.
Si osservi in qual modo proceda la vegetazione prima e dopo la piegatura, e sulle parti più o meno piegate, e meglio potrassi rintracciare la vera causa degli effetti di questa operazione. — Quanto più il ramo curvato si avvicinerà alla linea orizzontale avrà una sempre più debole produzione di germogli legnosi, ed all’incontro si munirà di gemme da fiore, e di frutti nello stesso anno della piegatura, o li preparerà pel venturo. Prima della curvatura, o sulla parte di questa che guarda in alto, sorgeranno frequenti germogli succhioni, i quali ben di rado porteranno o si disporranno a frutto. — La vigoria di vegetazione si concentra appunto dove il succhio ascendente incontra un ostacolo, e dove invece il discendente trova un più libero il corso in basso. Bisognerebbe pertanto ammettere che il cambio favorisca maggiormente la formazione legnosa ove scorre liberamente, che non dove sia obbligato a trattenersi più a lungo. Bisognerebbe in somma ricorrere ad assurdi e contradizioni per voler dare una spiegazione. — Se all’incontro si ammette che l’umor nutritivo sia l’ascendente, facilmente s’intenderà come quando esso incontri un ostacolo nella piegatura, debba arrestarsi o rallentare il proprio corso, dando luogo a quei germogli vigorosissimi detti succhioni. Per conseguenza una minor quantità andrà ad alimentare la porzione oltre la piegatura, la quale aumenterà di poco in grossezza, e produrrà stentati germogli da legno. E s’intenderà come i rami ed i germogli, quanto più fortemente saranno piegati in basso, altrettanto rallentino di vigore al punto di mantenersi appena vivi, ed anche perir entro pochi anni. Per ciò, ad aumentare la produzione dei frutti, senza far grave danno alla vegetazione, si trovò utile di dare ai rami un poco per anno un’inclinazione di 45 gradi. Gli stringimenti naturali, operati da indurimenti della corteccia, producono naturalmente gli stessi effetti della piegatura, trattenendo l’umor nutritivo nella parte inferiore, favorendo quivi la produzione di rami succhioni.
Altre operazioni si fanno all’intento di favorire il numero ed il volume dei frutti, e queste sono le incisioni alquanto profonde, le legature, le decorticazioni circolari, e la frattura parziale dei rami al disotto della parte occupata dai frutti. Tutte avrebbero per effetto naturale il trattenere il cambio discendente al disopra della ferita, e per conseguenza di favorire un maggior sviluppo in quella porzione, a scapito della parte inferiore, la quale difficilmente, o parzialmente riceverebbe l’umor plastico. Ma invece è appunto la parte superiore quella che diminuisce di vigoria, e l’inferiore quella che aumenta. Perchè poi ciò che riesce a svantaggio della produzione legnosa sia profittevole alla fruttificazione, lo vedremo più avanti al § 36.
Seguitiamo per ora ad esaminare gli argomenti che si vogliono far valere per l’ammissione del cambio discendente. — Si è provato a sollevare la corteccia a T nello stesso modo che si farebbe nell’innesto ad occhio; vi si introdusse una laminetta e si rinchiuse. Questa laminetta trovossi poi nell’interno del legno, sotto un numero maggiore o minore di strati, secondo che fosse passato un numero maggiore o minore d’anni. Ecco, dicevasi, il cambio che, discendendo, ricoprì la laminetta e vi si organizzò al di sopra. Si praticarono incisioni sull’alburno, vi si conficcarono dei chiodi, ed avveniva lo stesso, cioè dopo alcuni anni, si trovavano ricoperti da un certo numero di strati legnosi. Tutti conoscono quelle caviglie durissime di legno, disgiunte dal resto, che si vedono nelle assi, e che, staccandosi nel lavorarle, lasciano dei vuoti. Queste caviglie sono mozziconi di rami, lasciati alle piante per taglio mal fatto, o per potervi salire senza sussidio di scale, come si usa cogli abeti, pini, ecc. I mozziconi ordinariamente non mettono germogli, deperiscono e muojono: in seguito vengono circondati e ricinti ogni anno da un nuovo strato legnoso, finchè rimangono intieramente ricoperti. Si noti però che questi mozziconi essendo costituiti da legno morto, perchè rimasto allo scoperto, non possono riunirsi al nuovo strato legnoso, ed in circostanze opportune si staccano lasciando un foro. Così pure nessuna aderenza succede mai fra una parte qualunque dell’alburno privo di vita, ed il nuovo strato che poi arrivò a ricoprirlo, come succede nella parte superiore d’un tronco o d’un ramo, innestati a corona od a spacco. Quando però, in una ben fatta scalvatura, i rami si tagliano ben presso la loro base, le caviglie non esistono.
E non solo i chiodi e le caviglie di legno morto, rimanendo al posto nel quale sono conficcati o sono inserite, vengono ad infossarsi ed essere ricoperte all’ingiro dal nuovo deposito di alburno, ma anche le diramazioni vegetanti, che si dipartono dal tronco o da un ramo, s’infossano ogni anno maggiormente alla loro base nei nuovi strati legnosi del tronco o del ramo cui aderiscono. Fuorchè, trattandosi in quest’ultimo caso di parti vive che vengono a contatto, non si staccano, non lasciano fori, ma aderiscono tra di loro e formano un tutto unito. Facile infatti è l’osservare nelle asse, che comprendono tutta la larghezza d’un tronco o d’un ramo vecchio, i punti dai quali si dipartivano le diramazioni, e tanto più facile quanto più la loro inserzione sarà verso l’esterno. Verso l’interno, quando siano trascorsi molti anni, le cellule si confondono nell’aumentare ed indurirsi, la direzione delle fibre si confonde, e meno riconoscibile riesce il punto d’inserzione dei detti rami. Ancora meno facile è il distinguere il punto estremo, ossia il termine in altezza d’ogni vegetazione annuale in un albero dicotiledone, e sempre più difficile è il riscontrarlo quanto più l’albero sia vecchio. Insomma tanto nel legno giovane quanto nel vecchio meglio si scorge la direzione dei raggi midollari dal centro alla periferia, e dal basso all’alto, che non quella degli strati concentrici; e sani più facile che un tronco si spacchi naturalmente per tutta la sua lunghezza, che non si divida nei suoi strati concentrici, cosa che avviene in rari casi, e solo negli strati più superficiali del tronco di quelle piante che siano deperite e morte in piedi, potendo la putrefazione facilmente rompere la loro recente aderenza.
L’infossarsi delle caviglie ed il loro scomparire, al pari delle laminette, chiodi, legni, ecc., sotto la nuova formazione legnosa condusse i fisiologi nell’errore, cioè a ritenere che le piante aumentassero soltanto per l’esterno, e per una soprapposizione di fluido condensantesi nel discendere dalle foglie.
Intanto importa distinguere il modo col quale si rimarginano le ferite della corteccia, da quello col quale si rimarginano quelle dell’alburno o del legno. Ambedue i casi rappresentano una ferita od una decorticazione dall’alburno, eppertanto ricevono spiegazione dalle sperienze di Duhamel e di Trécul. Una laminetta, un chiodo, un’incisione qualunque, la base morta d’un ramo costituiscono una lesione di continuità, un impedimento al libero trasudare e segmentarsi delle cellule più superficiali. Il trasudamento avviene soltanto all’ingiro, e comincia a formare dei bordi rialzati, i quali sormontano l’ostacolo, in maggior o minor tempo, secondo l’entità dell’ostacolo stesso. Questo sormontare avviene per un trasudamento o segmentazione di tutta la superficie dei bordi della nuova formazione. Se all’incontro questi fatti, fossero dovuti all’umor discendente, l’innicchiarsi dei chiodi, caviglie, ecc. ed il ricoprirsi delle ferite, dovrebbe succedere dall’alto al basso, ed in modo assai rapido; e se l’ostacolo da sormontare fosse rilevante, al disotto di esso vi dovrebbe restare una zona infossata, essendo il cambio nel discendere obbligato deviare. Per ciò ben si vede essere più facile il provare che, se il deposito del nuovo strato avviene all’esterno della pianta, esso per altro è frutto della nutrizione interna, di un vero aumento di parti, e non di un semplice deposito esterno. La continuità di tessuto non può spiegarsi che per l’interna nutrizione; il depositarsi od aumentare all’esterno mostra, come nelle sperienze di Duhamel, lo stesso effetto di quanto succede nelle denudazioni dell’alburno, che però siano riparate dall’aria e dal sole. Continuità di tessuto fra strato e strato non potrebbe avvenire col cambio discendente. Nei climi a stagioni, uno strato sarebbe staccato dall’altro, come i nuovi strati non aderiscono e non fanno continuità di tessuto colle caviglie o denudazioni che già perdettero la facoltà di trasudare umor plastico. Pertanto, quando i rami vengono recisi ben presso la loro inserzione nel recente alburno, la ferita presenta una piaga piana che più presto è rimarginata o ricoperta dal trasudamento circostante, che non quella nella quale sporga qualche mozzicone morto.
D’onde l’erroneità del lasciare lunghi e deformi mozziconi allorchè si scalvano le piante. Queste sporgenze difficilmente vengono ricoperte dalla produzione legnosa circostante, o dalle fibre corticali discendenti, per il che si guastano, putrefano e comunicano la putrefazione al tronco, il quale si svuota, e dà accesso all’acqua ed agli insetti, conducendo a pronta rovina la pianta. Così, è una pratica lodevole quella di rendere piane e liscie le ferite, e poi ricoprirle immediatamente, poichè in tal guisa dissecca una minor superficie d’alburno, ed il rimarginamento si compie in un tempo più breve.
Anche i fenomeni che si manifestano durante il deperimento delle piante ci confermano nell’opinione contraria a quella finora adottata dai fisiologi.
Abbiamo veduto che le denudazioni dell’alburno o d’una parte qualunque del tessuto legnoso, procurate da cause artificiali o naturali, siccome dalla grandine o dall’urto di ciottoli, ed accompagnate dalle condizioni che disseccano o disorganizzano la loro superficie, non si riuniscono più alle parti circostanti o soprastanti sebbene quest’ultime arrivino a ricoprirle. Queste cause tutte sono di tanto maggior danno alle piante quanto più le colpiscano verso la parte inferiore. Si faccia attenzione a quelle piante che, durante le arature, vengono guaste nella corteccia o nel legno; quelle nelle quali si conficcano frequentemente chiodi per affilare i ferri da prato o per fissarvi altri oggetti, e le si vedranno deperire assai più prontamente di molte altre, maggiormente guaste nella parte superiore, per fratture e contusioni prodotte da venti, grandine, ecc. — Il taglio o la completa scalvatura dovrebbero poi arrecar certa morte. Prodotto un guasto nella parte inferiore, sebbene riparata dalle piogge o da altre cause esterne, esso, per una specie di azione chimica o di fermentazione, si propaga assai più prontamente nella parte superiore, perchè l’umore costretto d’attraversare le parti corrotte o guaste si spinge in alto e non in basso, ed in breve tempo tutti i vasi che lo conducono trovansi alterati nel colore e nella composizione; ed il deperimento procede rapido in tutta la parte da loro alimentata.
Quando una pianta vien guasta in qualche punto intermedio, se l’umor plastico forse il discendente, dovrebbe rimettersi o produr nuovi rami vigorosi al disopra del guasto medesimo, ma invece questi nuovi rami, sorgono al disotto, al pari dei rami succhioni al disotto delle piegature già avvertite, indicando chiaramente che l’umor nutritivo arriva dal basso.
Il maggior ingrossamento del tronco nella parte inferiore è dai fisiologi finora spiegato dal comprendere un maggior numero di coni concentrici di cambio organizzato, nonchè dal più facile suo condensamento, in seguito all’avere già perduta molta umidità attraverso la corteccia durante il movimento di discesa. Se fosse così, il cambio, addensandosi nel discendere, dovrebbe trovare nella propria maggior densità un impedimento al corso discendente, e dovrebbe depositare uno strato più sottile in basso che in alto. — Ma questi strati non presentano una sensibile differenza nel loro spessore, considerati separatamente su qualunque punto del tronco, o ne presentano uno leggiermente più rilevato appena sopra terra. Ammesso che l’umor nutritivo sia l’ascendente e non il discendente, più facilmente s’intenderà come una pianta arborea nel suo tronco non presenti esattamente un cono, ma piuttosto un corpo cilindrico la di cui base repentinamente s’allarga per effetto del distendersi delle radici. L’umor ascendente, chiamato dalla traspirazione delle foglie, tende a portarsi in alto con un’energia maggiore di quella che lo spinga lateralmente pei raggi midollari, eppertanto maggiore è l’aumento dei materiali sull’alto della pianta che non in basso; i materiali che servono all’allungamento superano quelli che vanno a profitto dell’ingrossamento; per il che, la somma del volume dei rami, supera di molto quella del tronco. Si faccia sur una pianta in corso di vegetazione una ferita laterale ed altra orizzontale di pari ampiezza, e si vedrà chiaramente maggior quantità d’umore sgorgare dall’orizzontale che non dalla laterale.
Fu notato che le piante, specialmente ne’ climi boreali, tanto nel tronco quanto ne’ rami, dalla parte che guardano il sole, hanno gli strati concentrici più sviluppati o di maggior grossezza, mentre di solito hanno la corteccia più grossa ed indurita, dal lato di tramontana. — Anche questo fenomeno può avere una facile spiegazione ritenendo che l’umor nutritivo sia l’ascendente. Esso infatti sarà con maggior energia chiamato verso quella parte che riceve maggior calore per effetto dei raggi solari, e la formazione ed aumento o nutrizione delle cellule sarà maggiore da questo lato. Questo maggior spessore degli strati è proporzionale alla quantità di calore ricevuto da ciascun punto, e per conseguenza è regolare e non mostra un maggior ingrossamento repentino o saltuario; comincia alquanto dopo la direzione di mattino, quando il legno abbia avuto tempo di riscaldarsi, e termina proporzionalmente più avanti verso la parte di ponente, poichè questa acquista e conserva il calore più che il lato di mattina; epperò il punto più ingrossato riuscirà alquanto dopo la linea di mezzogiorno, cioè verso le ore due o tre pomeridiane, appunto quando riscontrasi la massima diurna atmosferica.
Raspail attribuisce a questo maggior ingrossamento, per effetto del sole, la volubilità di alcuni steli.
“Fate crescere una pianta, ei dice, tenendo sempre uno de’ suoi lati nell’oscurità, da questa parte si farà biancastra, e la pianta si ravvolgerà a spirale attorno del primo corpo che incontra.„
Non bisogna quindi confondere questo ingrossamento regolare del tronco con quello irregolare e longitudinale che per avventura trovasi in alcune piante, dovuto ad un maggiore e sproporzionato sviluppo di uno o più rami da una data parte.
Dissi che la corteccia all’incontro s’ingrossa maggiormente dal lato di tramontana, e ciò avviene perchè da quel lato i muschi, le muffe ed i licheni trovano più facile vita, consumano parte della corteccia a profitto della loro esistenza, eppertanto lo strato corticale è obbligato a rifarsi con nuovi materiali.