Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 35
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Ritenuto che l’umor nutritivo sia l’umor ascendente, prima di passare all’esame della parte corticale, ritorniamo a considerare il primo sviluppo d’un vegetale. Una cellula, un germe, una gemma od un seme rappresentano l’organo più o meno complesso che dà origine al primo sviluppo vegetale, o di quell’individuo ancor più complesso che dicesi pianta. Pongasi d’aver ottenuto un primo stelo dall’organo il più perfetto di riproduzione, ossia da un seme; cosa saranno le diramazioni che da esso sorgeranno? A mio credere possono considerarsi pari alla moltiplicazione delle cellule prime, sia per formazione interna, sia per segmentazione. Questa produzione di cellule, capaci di far l’ufficio di germi, avrà luogo sulla superficie libera dell’ultimo o più recente alburno.
La distinzione fra seme e gemma è soltanto apparente, e dipende dalle diverse condizioni nelle quali si mostra o l’uno o l’altra. Il seme è lo stadio più perfetto del germe, e quando la pianta non è ancora atta a produr semi, già la si può riprodurre per gemme, e può chiamarsi gemmipara e scissipara, moltiplicandosi per divisioni di parti. I bulbi non sono altro che gemme le quali, nelle opportune condizioni, possono produr semi o germi perfetti, e propagarsi con quelli; ma quando manchi il calore opportuno alla formazione del seme, continuano a riprodursi per moltiplicazione di nuovi bulbi o gemme. Lo stesso dicasi dei tuberi, e di moltissime radici carnose le quali si possono considerare come un’agglomerazione di gemme, e che, se sono provenienti di un clima più caldo, producono uno stelo che non fiorisce o non matura i semi, mentre la pianta può riprodursi per tuberi ossia per gemme.
Le foglie di molte piante dette grasse, nelle opportune condizioni, mettono radici e propagano la specie, ma queste foglie si possono paragonare ad una talea o meglio ad un tubero, poichè sono munite di gemme che nel primo svilupparsi si nutrono della sostanza carnosa della foglia la quale compie l’ufficio di massa cotiledonare. Anche le piante hanno dunque diversi gradi di perfezione, e l’ultimo grado, o più perfetto, il seme, è raggiunto sol quando trovino tutte le condizioni opportune nel suolo e nell’atmosfera. Pertanto fra le piante i cui germi sono muniti di massa cotiledonare, e quelle in cui limitano allo stato di gemma, riusciranno di più facile propagazione di quelle i cui germi arrivano sino allo stato di seme. In quelle, il cui germe è ancor più semplice, perchè privo di massa cotiledonare, può dirsi che ogni lor parte rappresenti un organo capace di sostituirlo: tali sarebbero le piante acotiledoni.
Tornando alle piante cotiledoni dirò che sopra qualunque punto dell’ultimo alburno possono svilupparsi delle cellule germi, di queste alcune si rendono esterne nei germogli, e danno origine a gemme all’ascella delle foglie; altre produconsi sotto la corteccia dei rami o dei tronchi, ma non si mostrano esternamente allo stato di gemma, forando la corteccia, se non in date circostanze, quando cioè la pianta venga privata della maggior parte o di tutti gli organi esistenti che avevano l’ufficio della respirazione. Così, ove si levino i germogli recenti, come nella sfogliatura del gelso; o che si tolgano completamente o quasi completamente i rami muniti di gemme, i germi esistenti sotto la corteccia si svolgono maggiormente allo scopo di sostituire gli organi mancanti; esercitano uno sforzo sulla corteccia, mostrandosi al di fuori in modo più o meno irregolare allo stato di gemma. Facile sarà dunque il comprendere, come queste gemme più facilmente sorgano quando i rami siano scarsi in proporzione del vigore proprio od acquistato dalla pianta, e quando la corteccia non sia troppo grossa od indurita. Se la corteccia ha una soverchia grossezza, come in molte piante resinose, o che sia molto indurita, come nelle piante troppo vecchie, tali gemme non possono farsi strada verso l’esterno, e la pianta, non potendo più aver foglie, dovrà inesorabilmente perire. Queste gemme furono, dai fisiologi, dette secondarie, avventizie ed accidentali, ovuli, bulbi, bulbilli appunto per significare ch’esse non svolgonsi che in circostanze eccezionali. E, comprese le più visibili del germoglio, sono quelle che Dupétit-Thouars chiamava embrioni fissi, per distinguerli dai liberi o semi. Tali embrioni fissi dovrebbersi, a mio parere, distinguere in visibili e latenti; i visibili sarebbero le gemme esterne; latenti, quelli che stanno ancora sotto la corteccia, e che non hanno ancor presa la forma di gemma. Un’altra distinzione che, secondo me, passa tra un germe latente, ed una gemma visibile, si è che quest’ultima al suo mostrarsi è sempre munita d’una foglia, e che, in tale stato, foglia e gemma formano un tutt’assieme, vivente in istretta dipendenza; per il che, allorquando una gemma nel suo mostrarsi viene a perdere la foglia, o che nel successivo anno essendo già caduta la foglia non possa svolgersi in germoglio, questa gemma muore. Il germe latente all’incontro può dirsi un uovo in via di formazione nel seno della madre, vivente a spese e per opera di questa, e non esercitante alcuna funzione propria indipendente. La foglia adunque che accompagna la gemma d’un germoglio sembra che funzioni come una particolare nutrice di questo stadio del germe.
Gli organi cellulari, che trovandosi alquanto più sviluppati sulla corteccia, si convertono in germi, furono da taluni avvertiti e designati col nome di ghiandole o cellule sotto-epidermiche.
In seguito a ciò, si osservi cosa avvenga o possa avvenire in una pianta dicotiledone quando abbia luogo lo sviluppo d’una o più gemme. Cominciamo dall’esaminare il germe più perfetto, cioè un seme. Pongasi questo nelle condizioni opportune di germinazione e vedremo che, rotti gl’involucri ed aperta la massa cotiledonare, spingerà la radicetta nel terreno e dirigerà nell’aria la piumetta. Abbiamo già veduto al § 28 che le radici non cominciano a nutrirsi con materiali tolti al terreno se non quando la piumetta abbia spiegato nell’aria le foglie, e che queste abbiano acquistato il color verde. Abbiamo veduto che avanti quest’epoca il germe si sviluppa nutrendosi a spese della massa cotiledonare: mancando una di queste condizioni la vita cessa al mancare o consumarsi della massa cotiledonare. Fatti pratici che confermino questo principio ne abbiamo nelle semine e specialmente in quelle praticate nei terreni argillosi i quali, difficilmente polverizzandosi, lasciano dei vuoti fra zolla e zolla, o che per piogge facciano crosta alla superficie. In simili terreni molti semi periscono dopo d’aver germinato non potendo mettere le radicette in largo contatto col terreno pei vuoti soprannotati; e molti più ancora muojono quando la crosta superficiale impedisce alla piumetta di sollevarsi e mettersi in contatto coll’aria.
Se si divide longitudinalmente un germe appena germinato, possiamo paragonarlo ad una cellula ancor vuota nel centro, in via di segmentazione per una strozzatura mediana nel punto che divide la parte aerea dalla parte sotterranea, e che fu detta colletto. In seguito la cellula continuerà a segmentarsi, tanto nella parte inferiore che nella superiore, ed ogni porzione avrà le stesse proprietà della cellula primitiva, quella cioè di avere un polo che tende a portarsi verso terra e convertirsi in radici, ed altro che cerca l’aria, e che riproduce parti aeree. Le suddivisioni del tronco e le foglie rappresenteranno assai approssimativamente le diramazioni ed i succhiatoj delle radici, tanto nella distribuzione, quanto nell’ordine e modo di sviluppo. — Le condizioni nelle quali trovasi ciascuna cellula determinano lo sviluppo di parti aeree, o di parti che cercano l’oscurità ed il terreno. Il fatto è incontrastabile, ed un ramo interrato mette radici e non germogli, ed una radice sollevata sopra terra dà luogo a germoglio e non già a radici.
Pertanto tutta la superficie legnosa della parte aerea e della parte sotterranea sarà munita di organi consimili, cioè di cellule dotate dell’egual facoltà di mettere germogli e radici. La comparsa degli uni o delle altre, e la regolarità della loro comparsa sarà cosa affatto dipendente dalle condizioni nelle quali trovansi le cellule germi. Prendiamo adesso una gemma, quale in grande ce lo rappresenta il bulbo d’un giacinto, e disponiamola alla germinazione. Ogni scaglia del bulbo è munita alla base d’un germe, cui quella serve di massa cotiledonare. Ogni germe manderà il proprio prolungamento radicale, libera essendo la base d’ognuna; non così però sarà del prolungamento aereo, essendo talvolta impedito dal gonfiarsi e svilupparsi del germe vicino che gli serra contro la propria scaglia.
Vediamo ora come si comportano quei bulbi più piccoli che noi diciamo gemme. Prendiamo per es., un pezzo di tralcio di vite munito di due gemme, disponiamolo per modo che una di essa sia perfettamente interrata e l’altra in libero contatto dell’aria; facciamo insomma una talea. Tutti sanno che in tal caso la gemma interrata, invece d’aprirsi e dar luogo al germoglio mette radici dalla base, laddove quella che è in contatto dell’aria invece di metter radici apre le scaglie per dar luogo ad un germoglio: sviluppandosi quella parte che sta in armonia col mezzo. La gemma interrata si segmenta soltanto pel polo inferiore, e quella sopra terra soltanto pel polo superiore.
Ora, a vece di un pezzo di tralcio con due gemme, prendiamone uno munito d’una sol gemma, e collochiamolo in modo che possa risentire l’influenza del terreno unitamente a quella dell’aria. Quella gemma allora dalla base darà radice, e le piccole scaglie si apriranno per dar luogo al germoglio. La cellula germe si sarà segmentata; ed ambedue i poli si saranno allungati nella loro speciale direzione. Sviluppate le radici e rinverdito il germoglio, la nutrizione si farà a spese del terreno, ma, prima di quest’epoca, si fa a spese delle sottili scaglie, della gemma e del legno sottoposto.
Altri esempj pratici di questo modo di comportarsi delle gemme a norma delle diverse condizioni l’abbiamo nei così detti piantoni, o rami lisci di salice, pioppo fico, gelso, i quali, conficcati nel terreno, mettono radici in questo e germogli nell’aria. L’abbiamo nella propaggine, che mette radici su quel tratto di ramo piegato sotto terra; l’abbiamo nella margotta, cioè nelle radici che mette quella parte di ramo che fu artificialmente interrata per mezzo dell’applicazione del vaso. L’abbiamo finalmente nei rami de’ vegetali serpeggianti presso terra, quali la gramigna, le fragole, le zucche, il fico, la vite, le cui gemme presso terra mandano radici dalla base, e germogli verso l’alto, in modo che a guisa d’una tenia, si potrebbe dividere la pianta in tanti individui quante sono le gemme che toccarono terra.
Ho detto che la germinazione delle gemme in tali casi si fa anche a spese del legno sottoposto. — La germinazione che comincia coi materiali della massa cotiledonare ed il germogliamento che procede con materiali tolti al terreno, sono fenomeni che non urtano menomamente tanto coi principj ricevuti, quanto con quelli finora esposti. Ma forse una germinazione, e perfino un germogliamento a spese del legno, non sarà così facilmente ed ampiamente accettato. Eppure il fatto non solo è possibile ma vero, come lo provano i germogli che si svolgono sulle piante tagliate ancor verdi, o non morte in piedi, come dicesi ordinariamente; l’esaurimento rapido del legno nelle piante che deperiscono e muojono: e finalmente l’innesto e le piante parassite.
Non è cosa rara il veder tronchi o grossi rami di pioppo o di salice, tagliati sul finir d’autunno o sul finir del verno, i quali sul cominciar di primavera, conservando ancora gran parte della propria umidità, mandino numerosi germogli, sia dai punti ove la corteccia è meno grossa e meno dura, sia dalle estremità recise, facendosi strada fra la corteccia e l’alburno. Questi germogli, dopo d’essersi più o meno sviluppati, finiscono ordinariamente col morire, pel successivo essiccarsi del legno. Quando però il legno si trovi in condizioni tali da mantenersi in istato di sufficiente umidità, quei germogli continuano a vegetare come se la pianta avesse ancora le proprie radici nel terreno. — Ora domando da qual parte prendono nutrimento quelle gemme e quei germogli? Dal terreno no certo. Dunque elaborano i materiali della pianta istessa, finchè questa glieli può fornire.
Che in tali casi avvenga un’elaborazione dei materiali del legno lo sanno i negozianti di legname i quali scortecciano immediatamente i tronchi tagliati, acciò la superficie dell’alburno si essichi più prontamente, procurando talvolta di togliere assieme alla corteccia anche parte dell’alburno. Fanno quel che farebbe un tale che per non lasciar impoverire un terreno da una coltivazione togliesse la superficie del campo nella quale stanno i semi. La superficie seminata, nelle piante, è l’alburno.
Osserviamo una pianta deperita e morta lentamente al posto. In essa come già feci notare al § 29, il legno, a parità di volume e secchezza, pesa assai meno di quello delle piante tagliate ancor viventi; non è atto alle costruzioni, avendo perduto in tutto od in parte la coesione delle proprie fibre; e finalmente, abbrucia con difficoltà, da poca fiamma, e lascia un minor residuo di ceneri.
Tutti questi fenomeni aumentano in ragione della durata e dell’intensità del deperimento.
Quale altra causa dovremo accusare di questa consumazione del legno se non l’ultima vegetazione, quando le radici erano guaste od impossibilitate a trar nuovi alimenti dal terreno, ossia la nuova produzione compiutasi a spese della già esistente? — La diminuzione ultima di peso proviene dalla materia convertita in foglie, le quali poi si staccano dalla pianta. — Che il legno, quando per una causa qualunque nulla più riceve dal terreno, converta la propria sostanza a nutrire la nuova vegetazione possiamo riscontrarlo con molta evidenza in quelle piante, nel cui centro de’ rami o del tronco la sostanza legnosa siasi già molto decomposta. In tal caso non è raro vedere germogli che introducono le loro radici nel legno decomposto, come se fosse terreno. Veggasi anche quanto già si disse al § 29 a proposito delle piante cui si leva un largo anello di corteccia un anno prima del taglio, allo scopo di ottenere un legname che si conserva più a lungo. Solo ora aggiungo che una pianta in tal condizione io la considero come una pianta tagliata ancor vivente nella quale continui la sola facoltà assorbente dell’umidità.
Questi fatti ci mostrano come, nel primo sviluppo, le gemme ed i germogli, quando non possono trarne dal terreno il proprio alimento, lo traggono dal legno sul quale sono impiantate.