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finalmente potremo farci ragione del modo di comportarsi e degli effetti ch’esercitano sull’alburno i chiodi, le caviglie i segni, le contusioni, ecc., non che del modo di rimarginarsi delle ferite, ecc.

Comune è il dire che, con un taglio ben diretto, si possano rinvigorire le piante, concentrando gli umori nelle parti rimaste; e che, se ciò vale in ogni caso per dirigere a volontà la vigoria nelle diverse parti delle piante, divien poi indispensabile quando una pianta comincia a deperire facendo stentati germogli annuali. Or bene, nel primo caso, se l’umor nutritivo è il discendente, le parti non tagliate riceveranno sol quanto sia elaborato da proprie foglie, e non già quanto avrebbero dovuto elaborare le foglie delle parti levate. Togliere rami sarebbe togliere colle foglie parte dell’organo digerente, nè si saprebbe come col taglio si arrivi a dare maggior vigore alle parti non tagliate. Sarebbe come dire che sopprimendo od impedendo l’azione d’una porzione dell’apparato digerente ad un animale, se ne possa rinvigorire l’organismo. — Concedendo alle foglie la facoltà digerente, se noi le togliamo, deve cessare più o meno la nutrizione, in ragione della maggiore o minore quantità di foglie levate. E le foglie dei rami non tagliati non arriveranno giammai a elaborare più di quanto potevano elaborare dapprima. Se la cosa avvenisse come i fisiologi vogliono, le piante potate di frequente, o diminuite di rami, sarebbero le più robuste e voluminose, ma non è così. Osservisi per esempio due gelsi, ad uno dei quali si applichi un ben regolato taglio in primavera per disporne le diramazioni, o per aver germogli lisci e vigorosi, mentre all’altro si lasci ogni parte, ogni ramicello che valga a produr foglie, e vedrete che quest’ultimo crescerà in grossezza assai più del primo, e che la somma della quantità delle foglie, e della lunghezza dei rami, sarà sempre a vantaggio del gelso non tagliato.