Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 30
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Ritenuto che le piante si nutrano per materiali elaborati col mezzo dell’acido carbonico emesso dalle radici, meglio potremo darci ragione d’alcune condizioni le quali esercitano un’influenza sulla nutrizione vegetale.
Prima fra queste trovasi il clima, ossia il diverso grado di temperatura e d’umidità atmosferica naturale e speciale a ciascuna regione, ed il balzo o divario eventuale od artificiale delle stesse condizioni: indi la quantità o volume, dell’alimento, per rapporto ai bisogni naturali e particolari di ciascuna pianta.
L’acido carbonico considerato da solo, agisce tanto più energicamente quanto maggiore è la temperatura e la di lui proporzione nel veicolo dell’aria e dell’acqua. — Queste proprietà sono conservate e si manifestano anche nella nutrizione vegetale, la quale non è altro che un processo chimico. Inutile è il dire che il concime il più azotato, adoperato nella maggior quantità possibile, non arriverà mai a darci la vegetazione delle passate epoche geologiche, allorchè, come tutto lo indica, molto maggiore era la quantità d’acido carbonico nell’atmosfera, e più elevata la temperatura. Basta confrontare anche attualmente la vegetazione tropicale con quella che sempre più va avvicinandosi ai poli; e quella al livello del mare con quella presa ad altezza sempre maggiore. Ad una temperatura costante di 0°, o superiore soltanto di qualche grado, la vegetazione è impossibile; quindi, se presso l’equatore la vegetazione è continua, allontanandosene e portandosi verso il polo, essa comincerà ad avere un’epoca di riposo, la quale sarà tanto più lunga, quanto maggiore sarà la distanza dall’equatore o la durata d’una temperatura insufficiente. — Nel nostro clima temperato la vegetazione incomincia coi primi tepori di primavera, prosegue e si fa vigorosa nella state, diminuisce nell’autunno, e cessa affatto nel verno.
Ma non tutte le piante, nè tutte le loro parti abbisognano d’un egual grado di calore per svilupparsi o vegetare; ed abbisognano d’una temperatura tanto maggiore quanto maggiore è la quantità d’amido di che sono costituite o che devono produrre. E noi sappiamo che alla formazione dell’amido concorre, quale elemento inorganico, un alcali, e quale elemento organico combustibile, l’acido carbonico. Pertanto non vi potrà essere abbondante assimilazione di potassa o di soda o di calce se non vi sarà un corrispondente assorbimento d’acido carbonico; e quest’acido carbonico è assorbito in quantità maggiore ed agisce tanto più energicamente quanto più elevata è la temperatura.
Quali sono in fatti le produzioni vegetali che dominano ne’ climi caldi? Le sostanze ternarie composte di ossigeno, idrogeno e carbonio, e le binarie o carburi d’idrogeno, quali l’amido, le fecule, i sughi dolci e zuccherini, le resine e le essenze. — Quali sono i semi, usati in agricoltura, che per germinare esigono una temperatura maggiore? Quelli appunto nei quali abbonda la fecula e l’amido, siccome il riso, il melgone, il miglio; minore temperatura richiedono i semi del frumento, fagiuoli, ceci, lenti, lupini, piselli; le fave possono germinare quasi alla fine del verno; e la segale, l’orzo e l’avena, germinano nel tardo autunno, e coi primissimi tepori di primavera, appena che la temperatura sia superiore a 0°. Questa non è quistione di tempo ma di calore. Si semini il riso od il melgone quando, alla fine di febbrajo o primi di marzo, si semina l’orzo o l’avena, e si vedrà che quei semi putrefano ma non germogliano. All’incontro tutti i semi impiegano tanto minor tempo, anche relativamente, quanto maggiore sia il calore, ben inteso nei giusti limiti, e che vi concorra l’umidità. Il miglio seminato in aprile impiega 15 giorni almeno a spuntar da terra: seminato in luglio mostra il germoglio in quattro giorni. Non è soltanto una somma di temperatura, ma una massima che è richiesta da ciascun seme, perchè compia regolarmente la germinazione. Così resta per legge chimica disposto che, naturalmente, la germinazione abbia luogo sol quando la futura pianta trovi tutte le necessarie condizioni perchè si nutra senza fermarsi nello sviluppo.
Infatti le piante che sono seminate o fatte nascere avanti tempo, ossia prima che trovino la temperatura loro conveniente, non solo restano stazionarie, ma soffrono e talvolta ne risentono danno per tutto il tempo della loro vita; così avviene spesso del riso, melgone, fagiuoli, pomi di terra, pomi d’oro, meloni, poponi, ecc. Per il che, val meglio differirne la semina sino all’epoca opportuna, quand’anche si tema di perdere un mese di tempo. Ecco pertanto l’utilità e la necessità dei letti caldi per quelle piante che esigono un discreto grado di calore anche nel primo loro sviluppo, e che, seminate presto nel campo, non germinerebbero o soffrirebbero dopo d’aver germinato. Col letto caldo si anticipa la semina, ed all’epoca opportuna si procede al piantamento della pianticella, già avanzata nella vegetazione e munita di 4 a 6 foglie. Così si pratica nel nostro clima col tabacco, barbabietola, ricino, meloni, pomi d’oro, e con tutte quelle piante che incominciano a germinare sol quando la media sia di 12° a 13°, che desiderano una temperatura costantemente elevata, e che vogliano compiere la loro vita ricevendo in breve tempo una forte somma di temperatura.
Questo medesimo principio vale eziandio per la susseguente vegetazione o produzione vegetale. Quanto più una pianta, per essere convenientemente costituita, deve contenere di materia amilacea o zuccherina in una o più delle sue parti, e vuole abbondante concorso d’acido carbonico ed alcali, essa esige un più forte grado di temperatura quando sta per formarle, e tanto maggiore, quanto più dall’amilaceo il prodotto passi al zuccherino. Erroneamente si disse esservi piante che maturano il loro frutto a calor decrescente, quali la vite, il melgone, il castagno, il fico, ecc. Per convincervi di tale assurdo fisiologico basta confrontare fra loro i frutti delle medesime piante, maturati gli uni a calor crescente, e gli altri a calor decrescente; cioè i frutti de’ climi caldi cogli identici de’ climi temperati; ed a parità di clima, i frutti delle annate più calde con quelli delle annate più fredde.
Come nella digestione od assimilazione animale, la temperatura ha dunque la massima influenza, sia sulla possibilità della vegetazione, sia sulla qualità chimica dei suoi prodotti. Ma non tutte le piante, nè tutti i loro prodotti, abbisognano d’una temperatura eguale. Or bene quest’influenza della temperatura sulla vegetazione, riesce meglio evidente attribuendo all’acido carbonico emesso dalle radici la facoltà solvente ed assimilatrice dei materiali terrestri.
La possibilità o l’impossibilità di acclimatizzare piante di clima più caldo è basato sopra questi principii. Le piante meno ricche di carbonio, o meno bisognose di materiali che richiedano il maggior concorso d’acido carbonico, si potranno acclimatizzare più facilmente che non quelle che in qualche loro parte abbondino od abbisognino di quelle sostanze. Se questo bisogno si limita al frutto od al seme, resisterà la parte legnosa, la pianta fiorirà, ma non porterà a maturanza nè frutti, nè semi; ma se anche la parte legnosa richiedesse un abbondante concorso di acido carbonico, allora difficile od impossibile ne sarà l’acclimatazione. Inoltre, non ricevendo queste piante l’acido carbonico nella quantità conveniente, non possono elaborare l’opportuna quantità di materiali inorganici, necessarii per dare la voluta solidità ai loro tessuti; riescono più acquose, epperò più suscettibili a soffrire per l’abbassamento jemale di temperatura.
Sotto questo medesimo punto di vista meglio rilevansi eziandio gli effetti dell’umidità sulla vegetazione. L’acido carbonico emesso dalle radici esercita una minor azione a bassa temperatura, e quando sia troppo allungato, o sciolto in troppo umor acqueo. La soverchia mancanza d’umidità, può lasciar credere ad una soluzione più concentrata d’acido carbonico, ma questa maggior concentrazione a nulla serve se manca l’opportuna quantità di veicolo solvente, avuto riguardo anche alla facilità della futura circolazione. Ma una soverchia umidità nuoce perchè, diminuisce la temperatura del suolo, e fornisce una soluzione troppo allungata; motivi entrambi di minor azione.
La clorosi e la gomma sono malattie dovute a queste due condizioni, verificandosi segnatamente in primavera ed autunno, quando improvvise susseguano alla siccità ed al caldo. La clorosi è un ingiallimento delle foglie, che si palesa dietro gli anormali e prolungati abbassamenti di temperatura, e dinota chiaramente che incagliato e diminuito è l’assorbimento d’acido carbonico, essendo quest’assorbimento accompagnato costantemente dal color verde. Il frumento ed il lino, fra le coltivazioni che si trovano in terra alla primavera, vanno più facilmente soggette alla clorosi della segale; e mentre il melgone può subire la clorosi in maggio ad una media di +12°, il frumento più non la soffre, appunto perchè non tutte le piante esigono la stessa temperatura per compiere normalmente le loro funzioni. Fra gli alberi più facilmente son presi dalla clorosi quelli che sono originarj di clima caldo, e che, per la normale loro costituzione, abbisognano di molta potassa, soda o calce, e per conseguenza di una temperatura tale che permetta e favorisca l’assorbimento e l’azione dell’acido carbonico sui materiali terrestri. Quindi, fra i primi a soffrire sono il pesco, il meliaco, il gelso e la vite.
La gomma è parimenti il prodotto d’un maggior assorbimento, per parte delle radici, d’un umor troppo diluito e poco nutritivo, eppertanto d’uno squilibrio fra l’assorbimento e la nutrizione, e fra l’assorbimento e la traspirazione, resa difficile dall’atmosfera già per sè umida e fredda. Tagliate una vite quando abbia discretamente sviluppati i germogli, e vedrete che dalla ferita, dopo un giorno o due, non uscirà umore di giorno, ma solo all’avvicinarsi del crepuscolo della sera, quando incomincia il primo raffreddamento notturno. Il gemizio durerà sino al mattino finchè il sole abbia riattivata una forte traspirazione per le foglie. Se la giornata poi si mantenesse coperta, l’umore probabilmente continuerà a gemere anche di giorno. — L’umore, in seguito al raffreddamento per piogge prolungate, è meno elaborato e meno denso, e più prontamente ed in quantità maggiore si porta all’esterno tra l’ultimo strato legnoso e la corteccia, ove esercita uno sforzo, e si fa strada all’esterno pei pori o per le fenditure già esistenti, o cagionate dallo sforzo istesso. Nel ciliegio, nel prugno, nel meliaco, e più ancora nel pesco, la produzione della gomma è facilissima e rapidissima appena che siavi un balzo di temperatura in meno od una pioggia alquanto prolungata.
La soverchia diluzione dell’umore emesso dalle radici avviene non solo a motivo delle piogge abbondanti, ma eziandio per le inondazioni o per le irrigazioni mal praticate, o praticate in una misura maggiore di quella richiesta dalla pianta coltivata.
Gli alimenti troppo diluiti anche negli animali, quantunque contengano la necessaria quantità di sostanze nutritive, riescono meno efficaci e talvolta anche indigesti. I cavalli da tiro indeboliscono, nè possono sostenere le consuete fatiche, quando si alimentino con foraggi verdi assai acquosi; le vacche alimentate con erba aumentano il latte, ma deperiscono in poco tempo o più presto d’altre che mangino foraggio secco. Anche nell’alimentazione umana succede lo stesso. Mantengasi con zuppa e pancotto un facchino, e in breve non sarà più capace di portar pesi; diasi ad un individuo sano e robusto un alimento troppo brodoso od acquoso, e in due giorni avrà tutti quei sintomi d’imbarazzo o di alterazione del sistema digerente, che indurrebbero il medico a prescrivergli un purgante. Cesserà pertanto la meraviglia del vedere che un ammalato spesso digerisce meglio il risotto e l’arrosto, che non abbondanti e sostanziosi brodi.
Insomma negli anni freddi e piovosi minore è l’assimilazione delle materie inorganiche, mentre dovrebbe esser maggiore se le piante si nutrissero con soluzioni già preparate. Nè devesi confondere vegetazione apparente, fogliacea, con normale costituzione, non solo di materie amilacee e zuccherine, ma eziandio dello stesso tessuto legnoso. I germogli possono essere più lunghi di quelli della stessa pianta cresciuta in clima o stagioni asciutte e calde, ma saranno certamente esili, deboli, ed a pari volume daranno una minor quantità di ceneri.
Considerando i succhiatoj delle radici quali altrettanti punti separati d’una superficie, od uno stomaco rovesciato la di cui superficie sia suddivisa appunto come i polmoni esterni o branchie, ed assegnando all’acido carbonico l’ufficio di sugo gastrico, una grande influenza sulla nutrizione od assimilazione sarà necessariamente esercitata dallo stato di preparazione dell’alimento. Data una tal composizione chimica del sugo gastrico, sia negli animali che nei vegetali, è certo che questo diversamente agirà sui materiali cui viene a contatto secondo la loro composizione chimica, cioè secondo le leggi di affinità. Volendo con ciò dire che non tutti i materiali nutritivi, sia negli animali che nei vegetali, subiranno identiche modificazioni per effetto dell’azione del loro speciale sugo gastrico.
Negli animali, costante sembra la composizione del sugo gastrico nello stesso individuo, diversa forse normalmente soltanto nelle diverse età o nelle diverse specie, od anormalmente in caso di malattie o di condizioni esterne anormali e prolungate per alcun tempo. Con ciò spiegasi perchè dall’istesso alimento lo stesso individuo, nelle diverse età, scelga ed assimili principj diversi; perchè diversi ne scelgano le diverse specie; e perchè le condizioni morbose interne ed esterne abbiano un’influenza sulla qualità e quantità delle sostanze assimilate. Ora, se sulla medesima sostanza alimentare diversamente agisce l’eventuale o speciale diversità del sugo gastrico, per la medesima ragione diversamente devono comportarsi le diverse sostanze sopra un sugo gastrico d’una data composizione. E non solo si comporteranno diversamente le diverse sostanze sul medesimo sugo gastrico, ma eziandio la medesima secondo la diversa sua preparazione, se questa però ne alteri o modifichi la composizione chimica. Gli animali carnivori, i quali hanno bisogno di assimilarsi materie albuminoidi, desiderano che gli alimenti, o le sostanze che le contengano, vengano loro presentati in tal condizione che quelle facilmente possano essere svincolate e disciolte dall’azione del sugo gastrico. Diciamo quindi indigesti quei cibi che, per la loro qualità o per le condizioni nelle quali trovansi, a lorchè siano introdotti nello stomaco, lo riempiono senza profitto, lasciandosi poco o di nulla intaccare dal sugo gastrico. Tali sono le sostanze di troppo semplice composizione, e quindi meno suscettibili di facile ulteriore modificazione, quali molte verdure, i funghi, certi frutti molto acquosi, certi legumi coriacei ecc.; quelle complesse, ma che, per fermentazione putrida, fossero già ridotte a più semplici combinazioni, od avessero oltrepassata quella che più facilmente viene intaccata dal sugo gastrico, quali sono le carni putrefatte; quelle le quali, sebbene non profondamente alterate in senso chimico, siano ridotte a combinazioni più stabili o fisse, quali le sostanze salate, candite, affumicate, carbonizzate, e nelle quali l’albumina sia coagulata; e finalmente quelle che, quantunque si trovino in uno stato tale d’essere facilmente elaborate dal sugo gastrico trovino nello stomaco condizioni sfavorevoli, siccome la presenza di sostanze che impediscano o rendano difficile una ulteriore modificazione, o che diminuiscano l’abituale energia del sugo gastrico senza alterarne la composizione chimica. E questo vediamo verificarsi allorchè in seguito al pasto s’ingeriscono sostanze conservatrici alcooliche, zuccherine, aromatiche, acide, gelate, bollenti, o che si diluisca di troppo il sugo gastrico per un eccesso di liquido. — Nella funzione digestiva degli animali tutto ci prova come, essendo l’assimilazione un processo chimico fra il sugo gastrico e le sostanze alimentari introdotte nello stomaco, diverso debba esserne il risultato a norma della diversa condizione o composizione chimica del primo e delle seconde. Si è quindi sempre studiata la ricerca delle sostanze che per la loro composizione meglio si prestassero all’assimilazione, nonchè la preparazione che loro meglio convenisse al medesimo intento. Scopo della chimica applicata alla nutrizione animale deve essere quello di somministrare allo stomaco sostanze che presentino alla nutrizione la maggior copia di materiali utili; e li presentino in tale stato che facilmente li concedano all’assimilazione, evitando l’intervento di materie o condizioni che contrariino questa funzione fisiologica. Concesso alle radici delle piante un sugo gastrico, che parimenti si modifichi nelle diverse specie, età, e circostanze, la chimica applicata alla nutrizione vegetale dovrà avere gli stessi intenti, cioè somministrare sostanze che presentino la maggior copia possibile di materiali utili, o sostanze in condizioni tali che favoriscano l’azione dell’umore emesso dalle radici. Epperò le sostanze migliori, o meglio assimilabili saranno quelle che, avuto riguardo alla scelta, più facilmente si lasciano alterare o formano combinazioni coll’acido carbonico stesso. Qui risiede l’arte culinaria e la gastronomia pei vegetali, cioè la norma per la preparazione del terreno e de’ concimi, nonchè per la loro opportuna applicazione, a seconda delle diverse specie di piante, non che della loro età, o condizioni nelle quali vegetano. Ma di ciò si è già parlato.
Soltanto ora aggiungo che dall’esposto rilevasi il motivo dell’efficacia dei concimi vecchi o ben fermentati e scomposti in confronto di quelli freschi o grossolani, e disinfettati, potendosi la disinfezione paragonare alla salatura od affumicatura delle carni, avendo essa per iscopo il produrre nelle sostanze, combinazioni imputrescibili o più stabili, per le quali s’impedisce o si rallenta la loro scomposizione.
Altra applicazione, e prova nell’egual tempo che i succhiatoj delle radici agiscono come altrettanti punti d’uno stomaco, è il necessario rapporto di volume nel quale deve stare l’alimento in confronto coll’apparato digerente. Il volume, o capacità di questo apparato, rappresenta una condizione necessaria d’alimentazione come si verifica negli animali. Per la nutrizione degli animali si studiò non solo l’equivalente nutritivo delle varie sostanze considerate quali alimenti, ma eziandio l’equivalente di volume, desumendosi quest’ultimo dalla capacità dello stomaco, propria a ciascuna specie. Il miglior alimento sarà per conseguenza quello il quale presenti l’opportuna quantità di materiali nutritivi in modo da riempiere, senza sforzare, la capacità dello stomaco, acciò tutta la superficie riesca attiva. Un volume inferiore o superiore a questa capacità è da considerarsi una condizione anormale. — La digestione, al pari dell’assimilazione, viene ad essere alterata anche dalla opportuna quantità giornaliera d’alimento, purchè venga mal distribuita.
Il poco per volta ma di frequente, raccomandato ai convalescenti come norma nel prender cibo, può essere pregiudizievole quanto il prender tutto in una sol volta. Il poco non soddisfa la condizione di volume; il tutt’in una volta riesce eccessivo, distendendo soverchiamente e paralizzando l’azione dello stomaco.
Spesso il volume opportuno è raggiunto anormalmente con sostanze dilutive, inutili od indigeribili, o per un fortuito sviluppo di gas; ma, se manca l’equivalente nutritivo, la nutrizione è incompleta. Le sostanze dilutive esercitano un’azione troppo passaggiera; le inutili ed indigeribili, se eccedenti, impediscono le azioni di contatto fra il sugo gastrico e le materie utili; ed i gas, per la loro azione espansiva, distendono di troppo le pareti dello stomaco, od anche si oppongono ed incagliano il normale processo chimico della digestione. — Inoltre l’equivalente nutritivo, raggiunto con eccedenza di volume, altera la digestione ed è funesto alla assimilazione, poichè obbliga gli organi digerenti a contenere, elaborare e dar passaggio ad una quantità eccedente di materie inutili, prolunga il processo assimilativo; e, se un tal regime dura a lungo, converte tutte le forze dell’individuo a sostenere la digestione, lo riduce ad una macchina digerente, finchè l’anormalità di simili condizioni non isviluppi malattie, fra le quali forse possiamo annoverare la pellagra.
Sembrandomi pertanto che il foraggio verde sia quello che soddisfa le condizioni naturali nell’apparato digerente degli animali bovini, ritengo che qualche cosa debba andar perduto di quanto va a profitto dell’animale, allorchè quel foraggio sia ridotto in fieno, ossia allo stato secco. La pratica infatti c’insegna che la stessa quantità di foraggio produce di più allo stato verde che ridotta a fieno; epperò i nostri fittabili con bergamina, fin da tempo antichissimo, si procurarono, colle marcite, di che dar cibo verde alle vacche per la maggior durata possibile dell’anno. — Il foraggio verde oltre al soddisfar meglio alle condizioni di volume, presenta agli organi digerenti le sostanze nutritive in uno stato assai suddiviso ed in combinazioni più facilmente solubili ed alterabili che non il fieno il quale, per effetto dell’essicamento, le presenta indurite e ridotte in istato meno prontamente alterabili. Perciò il fieno rende necessaria un abbondante bevanda, sia per raggiungere il volume, sia per facilitare la soluzione e la scomposizione dei materiali che lo compongono. Ma l’acqua bevuta è un ripiego passaggiero, poichè presto abbandona gli organi digerenti, e nel poco tempo che vi è rimasta non ebbe agio a rammollire e sciogliere i materiali induriti o coagulati del fieno. Ho detto coagulati poichè le sostanze albuminoidi vengono così ridotte dal calore che si sviluppa nell’ordinaria e normale fermentazione degli ammassi di fieno. — Perciò io credo essere cosa utilissima il rammollire i foraggi secchi, otto o dieci ore prima di presentarli al bestiame, sia macerandoli in appositi recipienti con acqua tiepida, sia col mezzo del vapore. Allora l’apparato digestivo si riconduce press’a poco alle condizioni come se gli si somministrasse foraggio verde, non avendo bisogno di perder tempo ed efficacia nel rammollire le sostanze, perchè facilmente abbia luogo il processo chimico della digestione. — Col rammollimento del foraggio secco soddisferebbesi ad una necessità fisiologica, nonchè ad una maggior economia, ritraendo un maggior prodotto dallo stesso peso di materia nutritiva. — L’equivalente nutritivo deve essere in relazione coll’equivalente di volume, cioè colla capacità dell’apparato digerente di ciascun animale. I polli, quando riempiono l’ingluvie e lo stomaco di terra o di sabbia, non soddisfano già ad un capriccio, nè introducono materiali duri allo scopo di meglio triturare le sostanze ingeste, ma ci danno una lezione in proposito, prendendo terra o sabbia sol quando l’alimento non raggiunga il volume opportuno a riempire il loro apparato digerente, piuttosto ampio in confronto del loro corpo.
Nè diversamente avviene ne’ vegetali. Ogni pianta ha una propria maniera di estendere le radici, propria a ciascuna specie ed in relazione alle condizioni nelle quali è obbligata a vivere. Ad una pianta che poco distende le radici, ed alla quale basta, per es., un litro di terra, se ne diano 4, 6, 10, contenenti la stessa quantità di materiali nutritivi, come avviene nei terreni estenuati o non ancor bene preparati, ed avremo esibito un cibo insufficiente, troppo allungato, e tale che non può intieramente raggiungersi dalle radici; è un irlandese che si nutre mangiando sei chilogrammi di pomi di terra. Ad altra invece che vuole alcuni metri di terra ben preparata, si concentri la parte utile soltanto in qualche litro, e morrà di stento non potendo prender cibo che per poca parte de’ propri succhiatoj, come un ammalato che si nutra con gelatine concentrate. Le dissoluzioni omiopatiche, quanto le concentrazioni delle facoltà nutrienti, sono errori ed assurdi che la fisiologia non può ammettere, e che il fatto distrugge. Voi non potreste alimentare cento persone diluendo un chilogrammo di pane in cento chilogrammi d’altra sostanza inutile; come non arrivereste mai a nutrire una persona concentrando il chilogrammo di pane in un sol decagrammo di peso. Provisi pure a dare ad un uomo i 130 grammi di materia azotata coi 310 grammi di carbonio, nonchè gli opportuni equivalenti inorganici per la riparazione delle parti solide dell’organismo, quantità indicata dalla teoria per la razione normale giornaliera, ma vi assicuro che l’individuo morrà certamente di fame. Anche le materie non nutritive, che s’introducono nell’alimentazione, non si possono dire inutili, poichè servono a dare il giusto volume all’alimento, e facilitano lo svincolo delle materie utili, presentando ai componenti un più svariato giuoco di affinità chimiche.
Nell’alimentazione animale non vi possono essere alimenti universali, perchè ogni specie, ogni età, ogni condizione, esercita una scelta particolare; nè vi sono, nè vi possono essere alimenti concentrati o binutritivi. Nell’alimentazione vegetale domina la stessa regola, essendo necessario che l’alimento sia in giusta relazione coll’ampiezza dello stomaco vegetale, cioè collo spazio occupato dalle radici. La pratica provò ai creduli che coi concimi universali si comperava qualche cosa d’inutile e qualche cosa di mancante, e che coi concimi concentrati succedeva quanto oggidì succederebbe a chi volesse satollare 5000 persone con 5 pani e 3 pesci.
Se però le piante si nutrissero con sostanze che le radici trovano previamente disciolte nel terreno, la natura avrebbe commesso un errore col dare una tanto svariata disposizione alle radici, dovrebbe sussistere il concime concentrato, e l’aumento indefinito dei raccolti (Vedi § 14).
Fra le cause che possono alterare la nutrizione vegetale, alterando gli organi servienti alla respirazione, credo di poter annoverare gli esseri parassiti, animali o vegetali, i quali scelgano per loro dimora le parti verdi.
Ogni qual volta un insetto od una muffa si collochi alla pagina inferiore d’una foglia, questa immediatamente perde il color verde nel punto affetto, come vediamo nelle escrescenze rossiccie delle foglie dell’olmo, in quelle tondeggianti delle foglie della rovere, nelle macchie rossiccie delle foglie della vite e del pesco colte in primavera dalle nebbie, ecc. Costante è l’osservazione che quando una parte non assorbe o cessa d’assorbire acido carbonico, come i petali dei fiori, i frutti maturi, e le foglie all’avvicinarsi del verno, perdono il color verde e prendono il color giallo rossiccio. — L’imbianchimento della verdura è basato appunto sull’impedire alle foglie il contatto della luce e quindi l’assorbimento dell’acido carbonico. — Alterate le parti verdi, od impedito loro il contatto dell’aria atmosferica, ed in presenza di una condizione qualunque la quale diminuisca od impedisca l’assorbimento dell’acido carbonico, viene alterata la respirazione e ne soffre la nutrizione, essendo diminuita od annullata la quantità d’acido carbonico che dovrebbe portarsi alle radici per elaborare i materiali terrestri.
In ogni fenomeno vegetativo fin qui esaminato, troviamo di che dar maggior fondamento all’opinione che l’assimilazione venga fatta per opera delle radici, paragonabili ad uno stomaco rovesciato, nel quale l’acido carbonico compia l’ufficio di sugo gastico o digestivo.