Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 14

§ 14 - Supposta la solubilità d’ogni materiale nel terreno, numerosi fatti provano che le soluzioni non nutrono

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§ 14 - Supposta la solubilità d’ogni materiale nel terreno, numerosi fatti provano che le soluzioni non nutrono
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§ 14. — Supposta la solubilità d’ogni materiale nel terreno, numerosi fatti provano che le soluzioni non nutrono.


Ciononpertanto voglio concedere che tutti i materiali inorganici, proprj del suolo od artificialmente aggiunti per mezzo della concimazione, possano in qualche modo e idursi allo stato di soluzione, e così disciolti venir assorbiti dai succhiatoj che guerniscono le estremità delle radici. In tal caso resterebbe ancora a provare come le soluzioni, assorbite in tal guisa, riescano profittevoli alla nutrizione. Supponiamo pure che tutte le piante si nutrano degli identici materiali, o con qualunque materiale possa fornire il terreno: anzi voglio concedere che le piante siano affatto estranee a questo primo atto della loro nutrizione, cioè che prendano, digeriscano ed assimilino ogni cosa che il terreno loro presenti in istato di soluzione.

Mi si citi un solo esempio di pianta la quale abbia compiuta ogni fase della propria vita allorchè sia stata mantenuta costantemente in soluzioni, fossero pure di materiali ritenuti i migliori od i più opportuni. Ditemi se un tubero, un bulbo, una radice carnosa abbia portato semi vegetando in una qualsiasi soluzione, o se abbia vissuto dopo d’aver consumata la propria sostanza? Ditemi se un seme qualunque, fatto germogliare in una soluzione, abbia continuato a vegetare dopo d’aver consumata la propria sostanza cotiledonare? Se un vegetale insomma abbia potuto crescere e fruttificare senza il soccorso del terreno? — Tutte queste cose sono facili a sperimentarsi, e furono sperimentate sempre senza successo. I semi, i tuberi, le radici carnose, che si trovino nell’acqua con soluzioni, cessano dal vegetare [p. 40 modifica]appena che abbiano consumata la propria sostanza. I bulbi dei giacinti, delle cipolle, dell’aglio, ecc., si possono far vegetare fuori terra, ma non portano semi, e v’accorgerete che hanno vissuto non già colle soluzioni assorbite, ma colla sostanza delle proprie scaglie. Nelle piante a radice carnosa (rape, carote, barbabietole), le quali portano semi soltanto nel secondo anno di vegetazione1, possiamo considerare la radice carnosa vegetante in quell’anno, quasi come una massa cotiledonare che serva a somministrare in gran parte, ed in concorso col terreno, quei materiali che sono necessarj alla formazione dei semi. Infatti, la sostanza che costituisce le radici carnose de’ tuberi è, fatta astrazione della proporzione di acqua, assai analoga a quella della massa cotiledonare dei semi.

Se poi le piante nel terreno potessero vivere colle soluzioni, esse vegeterebbero eziandio quando i materiali utili fossero lontani dalle radici, ma che, per mezzo delle acque, venissero trasportati in contatto de’ succhiatoj allo stato di soluzione. Ma il fatto non conferma quest’asserzione, anzi la contraddice. Provate a mettere una pianticella in un vaso, per modo che le sue radici stiano in sabbia pura, e che questa sia tutt’all’ingiro circondata dalla miglior qualità di terra, e la vedrete prontamente deperire, quantunque, per l’inaffiamento, l’acqua che penetra nella sabbia passi per la buona terra, e che vi dovrebbe portare le necessarie soluzioni, quando queste avessero luogo. Provate ancora ad inaffiare colle migliori soluzioni una pianta posta in vaso, quando, dopo un certo tempo, comincia a deperire perchè l’abbia riempiuto di radici, od esaurito, come si direbbe, ogni sostanza utile della terra, e vedrete ch’essa ne trae poco [p. 41 modifica]o nessun profitto, se fors’anche non deperisce più prontamente. Rinnovate invece la terra, e l’avrete salvata e ritornata vegeta. Nei campi, le piante che incontrano un sottosuolo inerte o sabbioso, od una zona di terra inerte ai lati, deperiscono, per quanto dalla parte superiore, o da qualche altra parte arrivi ai suoi succhiatoj l’acqua che passò pel terreno migliore. Domanderò inoltre, perchè le piante tendono ad allungare le proprie radici, quando potrebbero, stando sempre nel medesimo posto, ricevere le sostanze in istato di soluzione? Si dirà forse che le allungano allo scopo di moltiplicare le proprie spugnette o succhiatoj, in ragione del proprio aumento. Ma io rispondo che i succhiatoj delle radici, al pari delle foglie, quando la pianta ha raggiunto un certo incremento, riescono press’a poco in numero costante; le foglie si rinnovano, non aumentono, ma si sostituiscono in numero maggiore o minore, a norma dell’aumentato o diminuito vigore di vegetazione della pianta che le porta. Così ne’ succhiatoj delle radici: mano mano che si obbliteranno i primi, altri ne sorgono sulle estreme e più recenti diramazioni. E questo sostituirsi di succhiatoj sui nuovi prolungamenti delle radici non deve essere cosa accidentale, ma piuttosto l’espressione di un bisogno speciale, quello cioè d’andare in traccia di nuovo alimento, quando i materiali, che dapprima lo fornirono, siano di già esauriti. Ed infatti si riscontra che, quando pure la pianta abbia un aumento lentissimo di estensione e rimanga quasi stazionaria in ogni sua parte fuori terra, le radici sono sempre egualmente obbligate ad estendersi in una proporzione maggiore.

Persino le piante bulbose, tuberose ed a radice carnosa, le quali, come ho detto, per alcun tempo possono vegetare nell’acqua, allungano istintivamente le proprie radici, quasi dovessero andar in traccia di nuovi [p. 42 modifica]alimenti, sebbene il liquido glieli possa somministrare senza bisogno d’un continuo allungamento.

Finalmente, nessuna pianta può vegetare convenientemente fuori di terra, sebbene posta entro soluzioni contenenti tutte le necessarie sostanze, mentre all’incontro può vivere, come abbiamo veduto al § 13, fra i crepacci delle rocce, delle muraglie, fra i ciottoli e sui tetti, cui è tenacemente abbarbicata colle estreme radici, e dove qualunque soluzione è impossibile o ben difficile. Anzi, nelle condizioni nelle quali le soluzioni ed il loro assorbimento riescono più facili ed abbondanti, come negli anni piovosi o quando s’irrighi fortemente, i prodotti scemano di quantità e di qualità, ed invece di migliorare o di aumentare, non hassi che uno sviluppo di steli e foglie, il tutto esile, allungato, abbondantissimo d’acqua e scarsissimo di materiali inorganici (vedi anche § 25).

Non è forse vero che, se le soluzioni bastassero alla nutrizione delle piante, coll’applicazione dei concimi liquidi, potrebbesi in qualunque terreno aumentare all’infinito la produzione. Perchè dunque questa produzione ha piuttosto un limite nella diversa qualità minerale del terreno? La semina fitta, se le soluzioni bastassero, non sarebbe un errore, ma piuttosto un motivo di maggiormente abbondare in concimi ben scomposti o liquidi: eppure questo rimedio sarebbe peggiore del male, perchè i concimi liquidi meglio favoriscono la produzione erbacea, che non quella dell’amido, detto zucchero, ecc. Perchè l’applicazione smodata dei concimi liquidi obbliga dopo un certo tempo ad una abbondante concimazione con materiali solidi? Non è forse un proverbio di lunga esperienza il detto che il concime liquido snerva il terreno? In Lombardia questo fatto è notissimo, antichissimo essendo l’uso de’ concimi liquidi raccolti in apposite vasche presso le stalle; ed estesissima essendo l’irrigazione fatta colle [p. 43 modifica]acque della Vettabbia, la quale esce dalle mura di Milano carica di materie organiche azotate. I coltivatori usano questa sorta di concime soltanto pel prato; ma i prati irrigati dalla Vettabbia, di prodigiosa produzione, devono di quando in quando essere scoticati, perchè uno strato altissimo spungoso di radici e steli s’interpone fra la terra e le nuove radici dell’erbe pratensi. L’acqua carica delle soluzioni organiche viene egualmente assorbita, ma la produzione languisce finchè, levata la cotica superficiale, e tolto ed ammucchiato lo strato, quasi torboso formato da vecchie radici e vecchi steli, si rimette nuovamente la cotica sul terreno; mostrando con ciò assai chiaramente che le soluzioni da sole non bastano, e che agiscono soltanto in concorso dei materiali inorganici del suolo.

Ma queste sono induzioni. Passiamo ora ad osservare sperienze anteriori al dubbio del Liebig, o che furono istituite per intenti molto diversi, ma che abbiano una relazione con quanto vogliamo provare. Simili sperienze mi sembrano importanti perchè non possono essere tacciate di idee preconcette.

Biot (Compt. Rend. de l’Acad. des Sciences. 1.er sem. 1831, pag. 12) dice:

“Quando si bagni un giacinto bianco col sugo della phytolacca decandra vedesi, nel termine di due ore, che i fiori prendono un color rosso; ciò non ostante, alla luce solare, questa tinta scompare in due o tre giorni. Evidentemente il sugo rosso passò per tutte le parti della pianta, senza alterare chimicamente e senza nuocere: nè si potrebbe certamente sostenere che questo sugo sia stato necessario alla pianta.” In questo caso la materia colorante rossa sarebbe stata assorbita, ma non assimilata.

Liebig (Chimie appliq. à la physiol. végét. pag. 104, 2.ª edition. Paris 1844) dice: [p. 44 modifica]

“Si conosce dalle belle esperienze di Macaire Princep che le piante, le cui radici sono mantenute dapprima in una soluzione allungata di acetato di piombo, e dopo nell’acqua distillata, cedono a quest’ultima l’acetato di piombo; ciò che prova rendere le radici al suolo ciò che non è necessario alla loro esistenza.”

Od in altri termini, assorbire non è assimilare; cioè che la facoltà di assorbire può, in certi casi di forza maggiore, introdurre nell’organismo vegetale materie inutili, senza che queste vengano assimilate.

A tale proposito credo opportuno citare il seguente brano di memoria del Dottor Alfonso Cossa sull’assorbimento delle radici2.

“Fra i primi che abbiamo istituite ricerche estese sul passaggio delle materie coloranti nelle radici dei vegetabili si deve citare Sarrabat de la Baisse3. Questo autore immerse le radici di diverse piante nella tintura acquosa della phytolacca decandra e nella dissezione che egli fece due o tre giorni dopo delle radici immerse trovò sempre la corteccia impregnata di una materia rossa sparsa in tutta la sua sostanza ma molto più intensamente verso l’inserzione dello radici laterali. — Venti anni dopo Bonnet4 ripetè e variò le esperienze di De la Baisse e trovò che molte piante messe in soluzioni colorate soffrivano nelle radici, e che in molte altre era veramente passata attraverso il tessuto del fusto e delle foglie la sostanza colorante. — Reichel professore di botanica a Lipsia5 osservò che i liquidi colorati entravano solamente per le tracchee e non per il tessuto cellulare. — Bischoff6 in una sua Memoria [p. 45 modifica]sulla struttura e sull’ufficio dei vasi spirali insegna che i liquidi colorati vengono assorbiti non decomposti o modificati dalle radici sane e che quando l’assorbimento delle radici e più copioso, cioè nel principio dell’estate, il colore del liquido può essere visibile nella pianta — De Candolle mette tra le proprietà delle spongiuole radicali quella di assorbire le molecole coloranti dei liquidi7 e nella sua Fisiologia vegetale si oppone alla opinione di Link, che sosteneva il contrario, dicendo d’aver egli stesso veduto l’assorbimento di un’acqua colorata eseguito da radici certamente intatte perchè appartenenti a piante nate e cresciute nella stessa infusione colorata8. Secondo Link9 “.... I liquidi colorati non entrano nelle trachee a meno che queste non siano recise in una estremità o distrutte in qualche luogo per putrefazione. Se si inaffia della terra, nella quale vegeta una pianta, con dell’acqua colorata, le trachee non prendono giammai il benchè minimo colore. Lo stesso succede se si mette un bulbo a radici intatte nell’acqua colorata. È l’azione capillare che fa penetrare i liquidi nelle trachee, oppure uno stato di malattia prodotto dall’irritazione esercitata dai liquidi, oppure sono queste due cause insieme combinate.”

Anche Towers10 si convinse con proprie esperienze che le materie coloranti non penetrano nel sistema vascolare e cellulare delle piante sane. Saussure11 nelle sue ricerche sulla nutrizione delle piante ammise, dietro proprie e numerose esperienze, che le materie coloranti vengono assorbite dalle radici sane facendo però questa distinzione, che quelle materie coloranti che per la loro composizione convengono alla nutrizione delle piante, nel loro assorbimento cangiano di colore e si confondono col tessuto vegetabile stesso, mentre quelle materie che non sono atte a nutrire penetrando nelle piante non subiscono alcuna alterazione. [p. 46 modifica]

Il Trinchinetti12 ripetè le esperienze sulle quali il Saussure basava la teoria sopraenunciata avendo cura principalmente di esaminare lo stato delle radici anche prima dell’esperimento. Queste sue ricerche fatte colle soluzioni acquose di cocciniglia e di fitolacca ebbero per risultato il nessun coloramento delle piante cresciute nella sabbia granitica irrorate con queste soluzioni. Però osservando l’autore che il liquido residuo nella sabbia dopo l’esperimento era scolorato, ammise che porzione della materia colorante era scomparsa per l’azione delle radici e da ciò ne trae congettura che la piante non abbiano, come ammetteva il Saussure, assorbito, decomposto ed assimilato nel proprio tessuto le materie coloranti tali e quali vennero somministrate perchè in tal caso si avrebbe dovuto trovare nella parte inferiore delle radici qualche traccia di coloramento, il che non avvenne. Ritiene invece il Trinchetti che le pianto abbiano colle loro radici decomposto nella sabbia la materia colorante loro presentata appropriandosi alcuni dei suoi principj e probabilmente quelli più acconci a nutrirle.


Io non sono poi del parere di Raspail, il quale pensa che (§ 1301, opera succitata) dalle radici integre non possa entrare alcun liquido colorante, e che, quando ciò avvenga, egli è per la rottura o guasto delle stesse che il liquido s’introduce. Ciò non pertanto sono con esso d’accordo nel ritenere che l’assorbimento di sostanze coloranti disciolte non rappresenta menomamente il modo col quale i succhiatoj introducono il liquido nutritivo nella pianta, e che quell’introduzione avviene solo per leggi fisiche d’assorbimento, per le quali può introdursi non solo una soluzione di qualunque materiale, ma eziandio sostanze indisciolte ed al semplice stato di sospensione. Pertanto, appena che venga a cessare la condizione, che obbliga le piante a quest’assorbimento, esse restituiscono, al liquido od al terreno, i materiali [p. 47 modifica]inutili che forzatamente assorbirono. Noi senza guastare le radici possiamo colorare in bleu i fiori delle ortensie anche nel terreno, aggiungendo a questo, polvere di scorie di ferro; ma pure in tal caso, appena che le radici abbiano abbandonato il terreno siffattamente mescolato a sostanze ferruginose, tosto la pianta rigetta quelle materie inutili alla propria nutrizione, ed i fiori ritornano al primitivo loro color roseo.

Le accennate sperienze non riguardano che un effetto temporario, e le soluzioni possono per alcun tempo, anche in piante levate dal suolo, aver mantenuta un’apparenza di vegetazione, che non è da confondersi colla nutrizione, poichè nessuna pianta può continuare le proprie funzioni quando venga costantemente mantenuta nelle soluzioni.


Note

  1. Queste piante se portano semi nel primo anno, ossia in quello stesso nel quale vennero sommate, non ingrossano la radice. Vedi anche § 28.
  2. Sull’assorbimento delle radici, considerazioni e ricerche del Dottor Alfonso Cossa, Pisa. 1859.
  3. Dissertation sur la circulation de le séve dans les plantes — Recuil des mèm. cour. de l’Acad. de Bordeaux 1733 t. 4.
  4. Recherches sur l’usage des feuilles dans les plantes, et sur quelques autres sujets relatifs à l’histoire de la végétation. - Leide 1754 pag. 242 et seg.
  5. Dissertatio de vasis plantarum spiralibus. Lipsiae 1758 in 4.
  6. De vera vasorum spiralium plantarum structura et indole. — Dissert. inaug. Bonnae 1829.
  7. Organographie végétale.
  8. Physiologie végétale. — T. 1 pag. 85.
  9. Mémoire sur les trachées des plantes par M. F. Link. — Ann. des sc. nat. t. 23, pag. 144. Paris 1831.
  10. Sur la faculté que possedent les plantes d’absorber les infusions colorées par leurs racines.Ann. des sc. nat. 2. sèr t. 6 pag. 288. Extr. des transact. of the horticult. Society of London.
  11. Biblioth. uniq. de Génère Décembre 1841.
  12. Memoria premiata sull’assorbimento delle radici — Milano 1843.