Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 24
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§ 24. Memoria di P. Thenard, sulle condizioni di fertilità delle terre.
Importante mi sembra una lettera di P. Thenard, indirizzata all’Accademia delle scienze in Parigi (Institut. 2, mars 1859), sulle condizioni di fertilità delle terre, poichè da essa risulta essere stato l’autore in cognizione di quanto aveva detto il Liebig. Di questa lettera io riporterò brevemente le principali conclusioni riferendole nella stesso ordine, e facendole seguire dai necessari appunti.
Comincia Thenard col dire d’essere egli sorpreso come una sostanza minerale, anche la più insignificante dal punto di vista della composizione, eserciti un ufficio assai più considerevole di quello che gli si supporrebbe; e ch’egli è ben lontano dal ritenere essere il terreno un semplice sostegno ed una spugna. Doversi piuttosto considerare come una macchina complessa, la quale funziona tanto più bene quanto meglio è organizzata.
Con quest’ultima espressione pare che voglia l’autore asserire che un terreno funziona tanto meglio quando sia composto da un più gran numero di materiali diversi.
Il risultato delle recenti sperienze di Thenard e di quelle di Way, chimico ed agronomo inglese, eseguite sulle terre, sui concimi, sui fosfati e sui silicati, condusse alle seguenti conclusioni.
1.a Il concime si fissa in certi terreni combinandosi alla materia minerale. La calce è il materiale che preferisce.
2.a Nei terreni che mancano di calce, o che non vi sia in dose sufficiente, o dove l’allumina e l’ossido di ferro non si trovino in certe condizioni, non vi ha fissazione di concime. Allora quei terreni non possono, senza gravi perdite, essere concimati largamente, nè per lungo tempo
(forse rimaner concimati o conservare per lungo tempo la fertilità dovuta al concime).
3.a Così i terreni si potranno già dividere in quelli che fissano il concime, quali gli argillosi, siliceo-calcari, e le argille che contengono allumina e ferro in un certo stato d’idratazione; ed in quelli che non fissano il concime, quali i silicei, feldspatici, granitici, e quelli nei quali l’elemento calcare fu consumato, o che non contengono allumina e ferro in un conveniente stato d’idratazione.
4.a Le acque di drenaggio delle prime terre (che fissano il concime), sono mediocri ed anche detestabili, mentre quelle delle seconde terre, se ben coltivate sono eccellenti.
Le due prime conclusioni concordano pienamente con quanto già esposi; cioè che i materiali concimanti si fissano o si combinano coi materiali terrestri avanti d’entrare nell’organismo vegetale. Epperò, queste combinazioni saranno tanto più facili e pronte, quanto più i materiali concimanti ed i terrestri si troveranno in uno stato di maggior suddivisione, come appunto avviene coi concimi ben decomposti o liquidi, applicati su terreni ben lavorati e porosi. Come pure, saranno tanto più facili e pronte quanto più svariati o numerosi saranno i materiali terrestri, o, come s’esprime Thenard, quanto più complessa e meglio organizzata sarà la macchina.
Che la calce in molte circostanze possa servire a fissare i concimi, e specialmente l’acido fosforico, ne abbiamo già un indizio nel poter essa con quest’acido, tolto a combinazioni poco stabili o soprasature, formare un composto insolubile, qual’è il fosfato di calce. L’Institut. (2 fev. 1859) riporta che Meugy nel 1858 avendo aggiunto fosfato fossile di calce a due diversi pezzi di terreno, l’uno privo di calce, e l’altro previamente emendato con questa, ottenne un effetto assai maggiore nel primo che nel secondo. — Nel terreno già emendato colla calce questa doveva infatti impadronirsi d’una parte dell’acido fosforico, e saturarsi avanti di predisporsi ad abbandonarne alle piante, come quando si mescoli a terren fertile l’allumina e gli ossidi di ferro del sottosuolo che non abbiano mai dapprima risentita l’influenza dell’aria e delle materie concimanti.
Dargent nel far cenno dei diversi usi agricoli della Calce (Journal d’Agr. Prat. 20. Fev. 1859) parla dei vantaggi di questa sulla marna.
La marnatura dei terreni si fa ogni 15 anni in ragione di 250 a 600 ettolitri per ettaro. Nel primo anno vi ha la perdita d’un quarto del prodotto ordinario. Nel secondo nessun effetto benefico, ma nocivo, se la marna non fu ben polverizzata dal gelo. Nel 3.°, 4.° e 5.° effetti nocivi al trifoglio (pianta che a mio parere non dovrebbe anzi trar profitto, siccome abbisognevole di calce). Dal 7.° al 11. ° incluso, buoni effetti e prodotti abbondanti. Comincia a soffrire l’avena ed il pomo di terra nel 12.° e 13.° anno. Il 14.° e 15.° mostrano la necessità di una nuova marnatura, co’ suoi inconvenienti. La calce all’incontro tiene effetti più pronti, ecc., ecc.
E gl’inconvenienti della marna, e gli effetti più pronti della calce, sono dovuti, secondo me, alla composizione diversa di questi materiali. La calce è già un ossido che, appena aggiunto al terreno ed in presenza dell’aria, si converte in carbonato, ed in tale stato può essere più facilmente ridotta a bicarbonato solubile per mezzo dell’acido carbonico delle radici. La marna all’incontro contiene altresì dell’argilla che non mai risentì alcuna influenza o contatto di materie organiche, e che per conseguenza funziona per molto tempo quale agente conservatore, per saturarsi a spese delle materie utili che trova nel terreno. Invece dunque d’un solo materiale (la calce) che agisce assorbendo e trattenendo le sostanze concimanti, ve n’ha un secondo (l’argilla), il quale tiene la stessa azione in un modo più energico.
Ma ritornando alla lettera del Thénard, anche Liebig aveva già ammesso, come risulta dai fatti da me citati, una distinzione fra le diverse qualità di terreno. Cioè che, quanto più abbonda l’argilla, l’allumina, e gli ossidi di ferro, tanto meglio un terreno assorbe e trattiene i concimi; e che quanto più un terreno abbonda di silice diminuisce all’incontro in lui questa facoltà.
D’onde la conseguenza, che la pratica ha già sancito col detto volgare, che i terreni leggieri (silicei) consumano o divorano i concimi. D’onde la necessaria conclusione che a simili terreni una soverchia concimazione, superiore alla loro facoltà assorbente, riuscirà in pura perdita, ed a solo vantaggio dell’acqua che filtrerà negli strati inferiori, come l’indica l’acqua di drenaggio. Laddove una forte concimazione nei terreni argillosi, se non andrà intieramente a vantaggio della coltivazione praticata in quell’anno, servirà a rendere più abbondanti i raccolti consecutivi, per uno spazio più o meno lungo di tempo, a norma della quantità d’argilla contenuta. E finalmente avrassi per non ultima conseguenza pratica la durata più o meno lunga della rotazione, o del succedersi di coltivazioni che esigano d’essere concimate.
Pure, se i vegetali si nutrissero con materiali disciolti, dovrebbero come dissi, prosperare meglio nei terreni silicei, i quali non li assorbono e li cedono alle acque di filtrazione. — Ma il fatto ci prova assolutamente il contrario.
Proseguiamo ad enumerare le conclusioni.
5.a L’analisi permette d’estrarre dal terreno e dal concime la materia fissa (fissata?) allo stato di purezza. Qualunque poi ne sia la provenienza, essa è identica e contiene il 6 per 100 di azoto.
6.a Questa materia fissa, talvolta si trova abbondante anche nei terreni che non furono mai concimati.
Questa materia azotata ch’ei chiama per brevità di linguaggio, acido fumico, si riproduce spontaneamente.
7.a I terreni che più ne contengono sono gli argilloso-calcari, mediocremente ricchi, ed appena feldspatici.
Nei terreni che non fissano, è sempre scarsa, non vi aumenta che col tempo, e rimangono sempre poveri.
8.a Nei terreni argillosi calcari ed anche nei feldspatici, è in quantità media; ma questi terreni sono feracissimi.
Perchè un terreno sia spontaneamente fecondo deve contenere l’acido fumico, agente assimilabile. Ma la produzione o riproduzione di questo è opera del terreno o dell’aria atmotferica? A tale proposito ei non vuol emettere un giudizio, e soltanto conchiude dicendo che, per trovare l’acido fumico nel terreno, bisogna che questo contenga un elemento che lo fissi, ossia un agente conservatore dell’acido fumico. Ciononpertanto i migliori terreni essere quelli che ne contengono una quantità media.
L’acido fumico nel suolo si trova allo stato insolubile, formando fumati di calce, d’allumina e di ferro. Bisogna adunque che si renda solubile per passare nelle piante; e perchè ciò avvenga è necessario un agente che reagisca sui fumati.
9.a Dalle sperienze di laboratorio risultare che tutti i sali di potassa e di soda, ed una parte di quelli d’ammoniaca, i di cui acidi formano colla calce, coll’allumina e col ferro, sali insolubili o poco solubili, scompongono i fumati per doppio scambio, dando luogo a fumati solubili.
10.a I silicati ed i carbonati sono di questo numero.
11.a Adunque, perchè vi sia assimilazione di acido fumico, bisogna che questo venga svincolato dalle proprie combinazioni insolubili. Questo agente è il feldspato e suoi derivati, silicati e carbonati di potassa. D’onde il nome di agente assimilatore dato a quelle sostanze le quali compiono un tale ufficio.
Queste ultime sette conclusioni sono un vero giuoco di destrezza, paragonabile a quello del Risler. Questi, dopo diligenti sperienze di laboratorio, aveva trovato, nell’acido umico e negli umati solubilissimi, tutto quanto poteva desiderare per spiegare la fertilità delle terre coltivabili fornite d’humus, e la necessaria solubilità dei materiali nutritivi. P. Thénard, per altre sperienze di laboratorio, trova nell’acido fumico e nei fumati insolubili, ma resi solubili da sali alcalini, con che soddisfare anch’esso l’opinione della necessaria e previa solubilità dei materiali nutritivi. Risler aveva trovato un pronto spediente nell’acido umico; Thénard all’incontro suppone nel terreno un vero processo chimico di laboratorio. Usò quindi la parola agente e non sostanza, ammettendo egli vere azioni chimiche.
Chi dei due chimici avrà colto nel segno? Chi di questi due nel proprio laboratorio, si sarà maggiormente avvicinato a quanto succede in natura? Come conciliare opinioni tanto divergenti? — Io non intendo invalidare l’esattezza delle operazioni di laboratorio eseguite dal Risler e dal Thénard, persuaso che ambedue non riferirono se non quanto l’esperienza diede loro per risultato. Solo mi permetterò di far osservare che, quando trattasi di fenomeni naturali, riferentisi ad organismi viventi, le sperienze devono esser fatte in condizioni avvicinantesi alle condizioni naturali. E per verità, quanti processi non vi sarebbero per immaginare la possibile solubilità dell’allumina o del ferro, oltre a quella più facile di tanti altri materiali utili ed inutili alla nutrizione vegetale!
Non è dunque a stupirsi se per l’analisi chimica, non già pel semplice dilavamento, abbia il Thénard trovato una materia azotata anche nei terreni i quali non siano mai stati concimati. Quest’asserzione, a mio avviso, è alquanto spinta, poichè abbisognerebbe provare che le terre le quali, secondo Thénard, non furono mai concimate, realmente non lo siano mai stato neppure in epoche lontane, che non abbiano mai ricevuto acque cariche di qualche nitrato, che non siano mai state coltivate, nè che abbiano mai servito a vegetazione di sorta; la quale abbia potuto lasciarvi dei residui. E quand’anche tutto ciò potesse provarsi, io risponderei che, prima d’ogni concimazione, le piante trassero il loro azoto dal terreno. — Se facile è spiegare la presenza dell’azoto nei terreni coltivati, non deve negarsi la possibile presenza di questo materiale anche negli altri terreni, per mezzo d’una lentissima naturale nitrificazione dei materiali alcalini terrestri. Ed infatti ci dice che i terreni che più ne contengono sono gli argillosi-calcari.
Conclusioni assai rimarchevoli ed importanti al nostro scopo, sono le seguenti:
6.a Si prendano due bottiglie adatte a contenere acqua di Seltz, ed in ciascuna si ponga 1 o 2 grammi di fosfato calcare. Poi ad una si aggiungano da 50 a 100 grammi d’una terra argillosa qualunque; ed infine si riempiano tutt’e due simultaneamente d’acqua di Seltz, e si turino. Si conservino in tale stato per otto giorni, agitandole di quando in quando, e si vedrà che, nella bottiglia ove non è terra, l’acido carbonico scioglie il fosfato calcare. Dopo gli otto giorni, e talvolta anche prima, se si sturano le bottiglie, l’analisi (o forse lo spontaneo sviluppo dell’acido carbonico) vi renderà tutto il fosfato di calce posto in digestione nell’acqua semplicemente carbonicata, ma non ne troverete alcuna traccia nell’acqua carbonicata della bottiglia cui venne aggiunta la terra argillosa. Tutto l’acido fosforico venne fissato da questa allo stato di fosfato d’allumina o di sesquiossido di ferro.
13.a Se invece di bottiglie e d’acqua gasosa, si mescola fosfato di calce, ben suddiviso, con terra contenente molti avanzi organici, e che si lasci il tutto in vaso esposto alla pioggia, bastano alcuni mesi per riprodurre lo stesso fenomeno: e tutta l’acqua che sarà uscita dal vaso per infiltrazione, raccolta accuratamente, non mostrerà la minima traccia di fosfato.
Da queste sperienze, continua il Thénard, risulterebbe che il fosfato di calce è l’agente assimilabile, e che l’allumina ed il sesquiossido di ferro sono gli agenti conservatori. — Come dunque arriva l’acido fosforico nelle piante, se, una volta divenuto possesso degli agenti conservatori, non subisce più l’azione dissolvente dell’acqua carbonicata? — Se nelle piante si trovassero sesquiossidi in quantità proporzionali all’acido fosforico che contengono, in mancanza di meglio, si potrebbe momentaneamente credere con Liebig ad un’azione vitale delle piante, le quali, secondo lui, potrebbero assimilarsi materiali solidi allo stato solido, senza la necessità d’una previa dissoluzione. Ma non è così. Le piante non contengono che tracce di ferro, e l’allumina è indosabile, tanto è minima la di lei quantità. Bisogna adunque che l’acido fosforico sia previamente svincolato dagli agenti conservatori per poter entrare nelle piante.
14.a I silicati solubili operano questo svincolo per doppio scambio, formando fosfati solubili.
15.a Coi silicati di potassa e di soda, in terra poco calcare, dapprima si formano fumati di potassa e soda, indi silicato solubile di calce: il fosfato di calce arriva dopo.
Gli esperimenti citati ai numeri 12 e 13 provano evidentemente quanto già disse il Liebig, e quanto più volte ho mostrato, cioè il potere assorbente del terreno coltivabile, ad onta della presenza d’una quantità d’acido carbonico nell’acqua tale da disciogliere il fosfato di calce. Anzi questa possibile soluzione non farebbe che rendere più facile la combinazione de’ materiali aggiunti con quelli del terreno. Tutt’al più avrebbesi con che confutare le asserzioni del Risler il quale, coll’acido carbonico dell’umus, o coll’acido umico, crede poter far arrivare nelle piante ogni materiale utile allo stato di soluzione, poichè ogni dissoluzione, quando avvenga, sarebbe intieramente assorbita dal terreno.
Ma queste azioni chimiche, che si verificano fra gli elementi terrestri del suolo coltivabile e le soluzioni od i materiali aggiunti, sono un giuoco d’affinità, quando non vi stia di mezzo l’azione chimica dell’organismo vegetale vivente, esercitata per mezzo delle radici. E le azioni chimiche succedentisi liberamente nel terreno, senza il concorso della vegetazione, non potranno servire alla fisiologia vegetale, poichè daranno sempre luogo a combinazioni insolubili, combinandosi i materiali utili coll’uno o coll’altro de’ materiali inorganici. L’acido carbonico è quello che forma combinazioni meno stabili, ossia che si scompongono facilmente per doppio scambio; quindi nel terreno lo stato solubile d’un materiale inorganico utile alle piante, quando fosse possibile, sarà sempre transitorio e di brevissima durata.
Dunque, come mai l’acido fosforico entra nelle piante se, nel terreno, costantemente si trova allo stato di combinazione insolubile, e se l’acido carbonico terrestre non vale a svincolarnelo? — Liebig nel dubitare d’una azione propria delle radici, esercitata per mezzo dell’acido carbonico emesso dai succhiatoj, verrebbe a lasciar supporre ch’esso agisca direttamente sui materiali terrestri, ridotti previamente ad opportune combinazioni. E quest’azione, esercitata direttamente, escluderebbe ogni giuoco d’affinità coi vicini materiali terrestri, come avverebbe quando non vi fosse il concorso delle radici d’un vegetale vivente. Pertanto, le combinazioni utili, ma insolubili, potrebbero essere intaccate e scomposte sotto l’azione diretta ed immediata delle radici; e, fra i corpi risultanti da questa scomposizione, introdurrebbersi sol quelli che più facilmente possono combinarsi e disciogliersi nell’acido carbonico emmesso dai succhiatoj, e sottratto all’influenza delle affinità esercitate dai circostanti materiali terrestri. Così, gli alimenti introdotti nello stomaco animale, subiscono alterazioni ben diverse da quelle che risulterebbero allorchè fossero introdotti, ed abbandonati a sè, in un recipiente che non fosse lo stomaco d’un animale vivente.
Cessa pertanto d’aver importanza l’opposizione fatta dal Thenard al Liebig, cioè che nelle piante dovrebbesi trovare una quantità di agente conservatore proporzionale alla quantità di acido fosforico assimilato; ed acquista per conseguenza maggior probabilità l’azione supposta dal Liebig alle radici, appunto dall’osservare, nell’organismo vegetale, le piccole quantità di ferro e l’indosabile allumina; e ciò a maggior ragione quando si rifletta alla difficile solubilità del carbonato di ferro, ed alla forse impossibile, o non per anco ben conosciuta formazione d’un carbonato d’allumina (§ 12) — Liebig finalmente non attribuì alle piante un’azione vitale per la quale s’assimilassero materiali solidi allo stato solido, ma bensì materiali solidi solubili nell’acido carbonico disciolto nell’umore emmesso dalle radici.
Egli usò la parola molecola per significare una particella ridotta in uno stato di estrema divisione, quale può riscontrarsi in una soluzione. Anzi annunciò che le sostanze non assimilate da un’azione propria delle radici, ma soltanto introdotte dall’assorbimento nell’organismo allo stato di sospensione ed anche di soluzione, vengono immediatamente restituite al suolo appena che la pianta cessi d’assorbirle forzatamente (vedi § 14).
Le azioni che Thenard trovò nel proprio laboratorio fra gli agenti assimilabili, assimilatori e conservatori, senza l’intervento della vegetazione, non possono adunque servir di norma per giudicare di quanto succede nelle piante nelle condizioni naturali. Simili sperienze devonsi considerare sforzi diretti allo scopo di potere pur trovare un modo col quale far entrare nelle piante i nutrimenti allo stato di soluzione, quantunque il terreno vi si opponga, e quantuuque sia incompatibile colla scelta de’ materiali.