Firenze sotterranea/Capitolo II

Capitolo II

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II


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C’è di là d’Arno un quartiere dove i regolamenti municipali sono lettera morta (non dite che i primi a trasgredirli son per tutto i consiglieri e le stesse guardie municipali) un quartiere, dove la Polizia non va, a fare certe operazioni, se non a squadre di dodici o quattordici uomini; un quartiere, dove il minimo subbuglio può tirar sulle strade, accalcare insieme a un tratto centinaia d’uomini e donne furenti! Vi dico che c’è un gruppo di strade segregate, che non servono come arterie di circolazione, ma sono tutte chiuse in sè e vi pullulano i ladri, i manutengoli: vi brulica la marmaglia, la bordaglia, la schiuma, il marame della popolazione, insieme accozzato. Se vi dico che tra questa bruzzaglia ci sono pure centinaia di poverissimi mestieranti, gente che si serba incontaminata al contatto più pestilenziale; se vi conduco nel quartiere che è [p. 36 modifica]ad un limite estremo, e al limite più appartato di Firenze, alla Sacra, a Malborghetto, alle vie del Campuccio e del Leone: se vi conduco per quelle strade che non hanno sbocco, dove infuriano, si scatenano le malattie, le miserie, i delitti, voi crederete che a me talenti l’andar immaginando cose orride e colorirle con la fantasia.

Ma no, vi racconto cose che a me stesso non sarebber parse credibili, se non le avessi vedute! Vi dico che bisogna estirpare un’ulcera, la quale contamina la pura e serena bellezza di Firenze. E ci vuol ferro, ci vuol fuoco! — Date aria, date luce: in Firenze ci sono migliaia di persone, che vivono fuori delle stesse condizioni della vita, senz’aria salubre, in covigli da disgradar quelli delle bestie: ci sono torme di gente, che non ben si ravvisa se siano uomini o bestie.

Date aria, date luce! Il che vuol dire: date salute, moralità. Singolare condizione! Firenze vede trascurata, negletta, come se non esistesse, la sua questione più vitale.

Andiamo dunque oltre per le vie infami. E ponete ben mente che, come vi ho detto, una [p. 37 modifica]piccola popolazione, caduta all’imo di ogni miseria, quasi tutta malata, intristita, però non guasta, vive accanto all’altra, composta de’ più fieri ribaldi.

Le strade son tutte formicolanti di gente; stanno là mezzo nudi, stesi o seduti per terra; mangiano nella strada; li vedete brulicare, le donne con le braccia e anche le gambe (e quali braccia, quali gambe!) nude; superfluo vi dica fin dove son nudi i bambini: e il po’ del loro corpo, che è vestito, si scorge vestito di sbrendoli.

Date il caso d’un’epidemia: è sicurissima la salute di Firenze? Non è a dire come si avvantaggi la salubrità pubblica, mantenendo con negligenza esemplare i più orridi focolari d’infezione sulle due sponde dell’Arno!

Anche qui, come nel Ghetto, le facciate delle case, se può darsi tal nome a sì orribili catapecchie, sono, specialmente in certi punti, stonacate, ronchiose, incatorzolite, scabbiose, gli acquai con sgrondi rotti, tanto che ne dilaga sulla strada, appuzzolandola, un fiumiciattolo nero, e che mena in sè fecce e lordezze di ogni maniera, e lascia sedimenti e limaccio per dove passa.

Quegli stabili non appartengono ad alcuno? Un’autorità, che è perfino vessatoria verso i [p. 38 modifica]proprietari di case, dorme la grossa dove il vigilare sarebbe sì richiesto pel bene pubblico?

Ci sono case mezzo diroccate, le pareti crepolano da ogni parte, gli affissi sono andati a catafascio; piuttosto che per porte vi s’entra strisciando, per certe buche, a modo di rettili.

Nessuno passa per quelle strade, se non vi dimora, poichè essendo fuori della circolazione generale, chi vi mette il piede desta subito la maligna curiosità dei sinistri o sciatti abitanti.... — Che cosa viene a fare costui? — E vi ficcano addosso i loro occhi, quasi tutti scerpellini, tocchi da oftalmia, conseguenza dell’abitare in fosche, umide topinaie.

— Che cosa vuole costui? — Basta che una fisonomia nuova si affacci alla prima strada, incontanente va la voce: — Ci è un.... — Un che cosa? — Per loro è di sicuro una spia: un signore, a cui è stato rubato, e viene a riconoscere il mariuolo; è qualcuno insomma da badargli alle mani!

Siete subito braccato, osservato. La gente è tutta fuori, come vi ho detto, perchè non può capire negli abietti abituri.

In un attimo l’avviso è dato. Ci è per il quartiere una persona sconosciuta! Si fa un profondo silenzio, voi passate; sapete che è richiesta la [p. 39 modifica]maggior prudenza; che basta uno sguardo a far nascere un tumulto; da una scintilla può derivare un incendio.

Vi accorgete che tutti fissano gli occhi su di voi, che bisbiglian tra loro, alcuni si appiattano dietro gli usci, o nelle bottegucce per sbiluciarvi più a lor agio. — Chi sarà? —

Siete accompagnato da un ufficiale della Polizia.

Subito è squadrato, è ravvisato.

Un grido, un mormorio corre di bocca in bocca:

— C’è la corda!1

Allora nessuno può immaginare quello che accade dietro le case.

Dovete sapere che ogni casetta comunica con l’altra: da un orto si scavalla nell’altro: ci sono a ogni piè sospinto passaggi e nascondigli. Lo spazio è larghissimo: e si va per cinque o sei strade, da una parte all’altra, scorazzando nell’interno. Non basta. I tetti sono famigliari ai malviventi: vi camminano come voi pel vostro [p. 40 modifica]salotto: si vedono sempre scale preparate: ci è sempre gente che sa di dover scappare e altra che le tien di mano.

Io stesso ho veduto una scala appoggiata a un punto molto pericoloso. Probabilmente pochi secondi prima aveva servito per scappare a qualche ladro latitante.

Il camminare sui tetti è una lor prerogativa: ciò accade anche nel Ghetto, dove il risico di cascare, sfracellandosi, da quella immensa altezza [p. 41 modifica]è così grande; e pure vi corrono spesso anche di notte con una agilità e una fortuna la quale manca sovente a infelici operai, che piombano da punti elevati e muoiono miseramente.

Il quartiere, di cui parlo, è così esteso e propizio ai malviventi, per l’agio che porge loro di balzare in pochi secondi da un punto estremo all’altro, che un contumace può rimanervi incolume eziandio per settimane e di là spiccare il volo e mettersi in salvo.

La Polizia è brava, ma a Malborghetto, alla Sacra, al Campuccio, lungo le mura di San Rocco, in quel metodo d’inseguimento nulla, o poco può: a molti agenti insieme non è dato di mettersi a saltar muri, terrazzi, nè di sapere in quel laberinto di ragnaie, di serpai, di ortaglie, di corti, di capannacce, la direzione che ha preso il furfante.

Un agente solo non può arrischiarvisi, perchè i tristi sono aiutati da innumerevoli compagni, da manutengoli; e l'agente, preso in qualche cupa strozzatola, assalito magari da cinque o sei persone, o a tradimento, è esposto a lasciarvi la vita. Una povera guardia vi fu ammazzata non è già molto. Però tali fatti sono insignificanti: che cosa importa che una guardia muoia per assicurare la quiete dei cittadini? [p. 42 modifica]Essa ha adempito il suo dovere, e basta, e Dio liberi se si attentasse a resuscitare per venirci a domandare un ringraziamento!...

Hanno tali comodità i malfattori, che arrivano a scorazzare impuniti dalle mura di San Rocco, ove alcuni hanno i loro covi, sino alla Caserma di Cavalleria, che è accanto alla chiesa del Carmine.

Un famoso ladro, laggiù dimorante, notti sono inseguito dalla Polizia, arrivava allo scuro, percorrendo un lungo tratto di orti e di tetti allo stambugio di un suo amico; ma il compare, che egli non avea veduto da qualche tempo, quella notte si trovava in prigione, nè potea rispondere a’ suoi cenni, o dargli ricetto. Il ladro ricalò allora arditamente fin sul tetto delle scuderie della Caserma e dormì addopato a un abbaino, sotto una larga grondaia.

La Caserma di Cavalleria risentì un tempo i pessimi effetti di una sì turpe vicinanza.

Serie cose sarebbero accadute tra gli squadroni che vi furono sino ad ora acquartierati e la malnata genìa, se con saviezza esemplare gli ufficiali non avessero vigilato.

I bricconi spinsero un tempo l’audacia ad avvicinarsi entro la Caserma, andando a [p. 43 modifica]scavezzacollo per gli orti. Sbucavano le loro teste contraffatte, accigliate, arruffate dal muro non molto alto del piazzale; allettavano i soldati con le loro bagascie: li sviavano (poiché ci sono donne capaci di attentare anche al pudore de’granatieri!). Pare che uno o due soldati, di cervello leggero, si buttassero di là dal muro e in buona fede, sol per amor di bagordo, si raccozzassero con manutengoli e ladri, ma scoperti, la severità della disciplina credo gli avrà dissuasi dal tentar nuove scorribande!

I superiori sono stati costretti a non servirsi più di una parte del piazzale.

Così anche ai soldati, che vengono in Firenze, si danno sì buoni vicini!

La prima volta ch’io andai in quel quartiere sacro a Mercurio e ad altre Dee, fu di pieno giorno: verso le quattro. Ero accompagnato da un amico della corda. Mi guardavano sospettosi, e un po’ minacciosi: alcuni con ironia, altri con curiosità. Si accostarono due, poi tre, venti, cinquanta.... Mi guardavano alcuni lo spillo della cravatta e la catena dell’orologio con un volto, in cui era facile leggere il desiderio.... Visitai alcune case: la folla di gente sbricia, sbraculata, sbrandellata ci seguitava per tutto. [p. 44 modifica]

Qua e là sulla strada erano accosciati, accovacciolati alcuni de’ bricconi di più spolvero: famigerati per processi e gesta, che levarono un certo clamore: ambiziosi di quella specie di nomèa furfantile e autorevoli sopra gli altri.

Ci tornai nel cuor della notte, accompagnato da un’intera pattuglia, io stesso travestito, e vi dirò le strane cose osservate, vi descriverò gli abituri visitati: ciò che ho veduto alla luce del giorno e ai bagliori delle lanterne.

  1. Così chiamano, nel loro linguaggio furfantino, la Polizia.