Eraclidi/Primo episodio

Primo episodio

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Euripide - Eraclidi (430 a.C. / 427 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Primo episodio
Prologo Primo stasimo


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corifeo

Strofe
Ehi, ehi, qual grido mai vicino all’ara
suonò? Qual nuovo caso or si prepara?

iolao

Vedete questo debol vecchio al suolo
rovesciato? O mio duolo!

corifeo

Misero, a terra chi mai ti gittò?

· · · · · · · · · · ·

iolao

Quest’uomo, a forza, o amici, mi rimuove,
ché i tuoi Dei spregia, dall’altar di Giove.

corifeo

E da qual terra, o vecchio, alla tetràpoli1
ed al popol sei giunto? O d’altro mare,

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da Eubea, solcando col remeggio il pelago,
siete giunti a queste are?

iolao

Non è la mia dimora, amici, un’isola:
da Micene siam giunti al suol d’Atene.

corifeo

E con qual nome, o vecchio,
solea chiamarti il popol di Micene?

iolao

Iolào sapete, lo scudiere d’Ercole?
Senza fama non è questo mio nome.

corifeo

Da lungo tempo io già n’udii novella.
Ma di chi sono i pargoli
affidati alle tue cure? Favella.

iolao

Antistrofe
D’Ercole i figli sono questi, che
supplici alla città giungono, a te.

coro

Per qual bisogno v'è necessità
parlar con la città?

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iolao

Di non esser da queste are dei Superi
strappati, e ad Argo tratti esser prigioni.

copreo

Ma ciò non piace a lor che qui ti colgono,
che t’hanno in lor potere, ai tuoi padroni.

corifeo

Reverenza conviene aver dei supplici,
né profanar con mani vïolente
questi altari dei Numi: la santissima
Giustizia nol consente.

copreo

Sudditi d’Euristèo son questi: scacciali,
né vïolenta la mia man sarà.

corifeo

Le preghiere dei supplici
tenere a vile, sarebbe empietà.

copreo

Ma tener lungi il piede da ogni male
miglior prudenza usando, assai pur vale.

coro

E sia; ma pria di tanto ardir, conviene
che tu favelli al re di questa terra,

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e non strappi dai Numi a forza i supplici,
e a una libera terra abbia rispetto.

copreo

Chi della terra è re, della città?

corifeo

Di Tesèo grande il figlio, è, Demofonte.

copreo

Secolui, dunque, condurrò la disputa
di tal contrasto: tutto il resto è ciancia.

corifeo

Or vedi ch’egli stesso appunto giunge
col fratello Acamante: essi udiranno.
Giungono Demofonte e Acamante.

demofonte

Perché tu vecchio prevenisti i giovani
nel tutelare quest’ara di Giove?
Qual sorte, dimmi, tal folla adunò?

coro

Supplici seggon questi figli d’Ercole,
serti cingendo, come vedi, all’ara,
e Iolào, fido al padre lor compagno.

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demofonte

Tante grida levar quindi era d’uopo?

coro

Tentò costui dall’ara il vecchio svellere,
provocò le sue grida, al suol piombato
lo prese, sí ch’io per la pietà piansi.

demofonte

La foggia ha del vestito ellèna e l’abito
costui, ma gli atti suoi sono di barbaro.
Or tuo dovere è senza indugio dirmi
dai confin di che terra a noi qui giungi.

copreo

Se tu brami saperlo, argivo io sono.
E da chi son mandato e perché vengo,
ora ti dico: qui mi manda il re
di Micene, Euristèo, ch’io riconduca
di qui costoro. E giunto son con molti
diritti, e d’atti e di parole, o re:
ch’io sono argivo, e far prigioni voglio
questi argivi fuggiaschi. Ebbe condanna
di morte, in patria, con le nostre leggi;
e giusto è pure che i processi contro
noi stessi, noi deliberiamo. Ad altri
altari molti già si rifugiarono,
e sempre quello ch’ora dico io dissi,
e niuno il mal su te volle attirare.

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Ma qualche traccia or di follia scorgendo
in te, son qui venuti; oppur tentarono
nella distretta questo colpo, sia
che riuscisse, o no. Poiché non possono
sperar che tu, se la ragion t’assiste,
solo fra tante e tante a cui pervennero
Ellène genti, stoltamente voglia
commoverti ai lor casi. E infatti, pensa,
poni a confronto che vantaggi avrai
se nella terra tua costoro accogli,
o se consenti ch’io con me li rechi.
Ecco che cosa aver da noi potrai:
le forze immense d'Argo, e d'Euristèo
concilïare la potenza tutta
per la vostra città; ma, se, badando
di costoro alle ciance e ai piagnistei,
ti lasci intenerir, questa faccenda
sarà decisa al paragon dell’armi;
non creder tu che senza opra di ferro
questa contesa si decida. Quali
ragioni avrai di muover guerra ad Argo?
Quali furono a te campi usurpati
o messi a sacco? Di quali alleati
corri al soccorso? Ed in nome di chi
seppellirai gli estinti? Oh, mala fama
tra i cittadini avrai, se per un vecchio,
per un sepolcro, uno che nulla è piú,
per dirla schietta, se per questi pargoli,
in un pantano cacci il piede. Il meglio
che possa dire, è che speranza nutri
d’un felice avvenir; ma l’avvenire
varrà men del presente. Allor che questi
saran cresciuti, e l’armi impugneranno,

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tristi campioni contro Argo saranno,
se questa speme ti conforta l’anima;
e lungo tempo in mezzo correrà,
in cui spacciati esser potreste. Ascoltami:
nulla darmi del tuo, ma fa’ ch'io prenda
quello ch’è mio, concíliati Micene,
e non fare, com’è vostra abitudine,
che mentre guadagnar puoi l’amicizia
dei piú potenti, preferisca i deboli.

coro

Giudicar liti o bene intender causa
chi può, se pria le due parti non ode?

iolao

Concesso è a me — ché tal diritto esiste
nella tua terra, o re — ch’io parli, dopo
d’avere udito; e niun mi scaccerà,
come altrove segui, pria che tu m’oda.
Nulla c’è di comun fra questo e noi:
ché parte d’Argo piú non siamo; e questo
fu per voto deciso: esuli siamo.
E con che dritto allor, come se fossimo
di Micene, arrestarci egli potrebbe,
se Micenei non siamo, e ci bandirono?
Estranei siamo. Oppur, chi fu bandito
dal suolo d’Argo, reputate giusto
che sia bandito dai confini d’Ellade?
Ma d’Atene, no certo; e per timore
d’Argo, dal loro suolo i figli d’Ercole
non bandiranno. Qui non siamo in Tràchide,

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né in quell’achiva cittadella, donde,
contro giustizia, ma gonfiando il nome
d’Argo, come or tu fai, via questi supplici
sull’ara assisi discacciasti. Se
questo avverrà, se compimento dessero
a quanto chiedi, io non direi piú libera
Atene. Ma ben so quale il coraggio,
qual’è l’indole loro. Eleggeranno
morir, piuttosto: ché l’onore ha pregio
piú della vita, presso i galantuomini.
Basti d’Atene; ché fastidio arrecano
le troppe lodi, e so ch’io stesso tedio
da un eccesso di lodi ebbi sovente.
Or voglio dire a te, poiché sovrano
di questa terra sei, ch’è per te obbligo
salvar costoro. Ebbe Pittèo la vita
da Pèlope, Etra da Pittèo, Tesèo
tuo padre, figlio fu d’Etra. Or di questi
fanciulli, a te la discendenza espongo.
Fu di Giove e d’Alcmena Ercole figlio;
e Alcmèna da una figlia era di Pèlope
nata: tuo padre e di costoro il padre
eran dunque cugini consanguinei.
E i debiti che tu, pur se trascuri
la parentela, hai verso questi pargoli,
ora ti dico: ch’io la nave ascesi
un dí, scudiere al padre lor, con Tèseo,
per la conquista del funesto cingolo2.
E poi, dai tenebrosi antri d’Averno
Ercole il padre tuo liberò: l’Ellade
tutta mallevadrice esser ne può.
Or questi il contraccambio a te ne chiedono,
che tu non li consegni, e che non debbano,

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dall'are dei tuoi Numi a forza espulsi,
dalla tua terra andar banditi: turpe
per te, per tutta la città sarebbe,
se consanguinei tuoi, fuggiaschi, supplici,
— oh culmini di mal, guardali guardali! —
fosser di qui strappati a forza. No,
te ne scongiuro, alle ginocchia serto
delle mie man ti faccio, pel tuo volto,
non disdegnar di tendere la mano
misericorde sopra i figli d’Ercole,
sii tu parente loro, amico loro,
padre, fratello, re: tutto vai meglio
che degli Argivi in signoria cadere.

coro

Di costoro, o signore, abbi pietà,
delle loro sciagure: ora ho ben visto
che nobiltà di sangue è sopraffatta
dalle sciagure. Indegnamente soffrono
questi, che pur da sommo padre nacquero.

demofonte

Tre vie di riflessione a non respingere
quello, Iolao, che chiedi, mi costringono.
Giove onde tu sull’ara siedi, e questa
turba d’implumi, è l’argomento massimo;
poi vien la parentela, e il vecchio debito,
ch’ò di beneficar, mercè del padre,
questi fanciulli; e poi l’onore a cui
piú che ad ogni altra cosa aver riguardo
convien: ché se quest’ara io lascerò

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che con la forza un uom foresto spogli,
non si dirà che d’una terra libera
il sovrano sono io: per timor d’Argo
si dirà che traditi ho questi supplici:
meglio ad un laccio essere appeso. Deh,
fossi tu giunto con piú lieta sorte!
Ma pure, adesso non temer che alcuno
te dall’ara e i fanciulli a forza strappi.
E tu ritorna ad Argo, e tanto aggiungi
ad Euristèo, che, se cagion di piato
egli ha contro costor, ne avrà giustizia.
Ma di qui trarli via, tu non potrai.

copreo

Neppur se farlo è giusto, e te lo provo?

demofonte

Giusto fu mai far vïolenza ai supplici?

copreo

Onta per me non è, ma per te danno.

demofonte

Danno se a te di trarli via consento.

copreo

Tu bandiscili; e allor via li trarrò.

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demofonte

Stolto, che piú del Dio saper presumi.

copreo

È questo, a quanto par, l’asil dei tristi.

demofonte

Rifugio a tutti è degli Dei la casa.

copreo

D’altro parere i Micenei saranno.

demofonte

Di quanto è qui non son forse io padrone?

copreo

Certo, purché tu non danneggi gli altri.

demofonte

Purché gli Dei non leda, il danno abbiatevi.

copreo

Non voglio che tu guerra abbia con Argo.

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demofonte

E neppure io; ma non ch’io ceda i supplici.

copreo

Eppur li prenderò: ché m’appartengono.

demofonte

Facile allor non ti sarà tornare.

copreo

Subito lo saprò: veniamo ai fatti.

demofonte
minaccia con lo scettro Copreo.

Toccali solo, e avrai ragion di piangere.

copreo

No, per gli dei, non battere l'araldo!

demofonte

Se quest’araldo far senno non sa!

copreo

Vattene: e tu, non lo toccare, o re.

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copreo

Piccola guerra fa la man d’un solo.
Vado. Ma tornerò, molte recando
lance di bronzo dell’argivo esercito:
ché mille e mille guerrier m’attendono,
e lo stesso Euristèo, lor duce. D’Àlcato3
agli estremi confini attende l’esito
del mio messaggio. Un folgore parrà
come abbia udito questi oltraggi, a te,
ai cittadini, a questa terra, ai campi,
ché invano in Argo avremmo tanti giovani
se rintuzzar le offese non sapessero.
Parte.

demofonte

Quest’Argo tua non temo. Alla malora!
Non dovevi costoro, a mia vergogna,
di qui strappare: ché questa città
non è suddita d’Argo, bensí libera.

coro

Provvedere convien, pria che giunga
ai confini l’esercito argivo.
Assai crudo è l’umore belligero
dei guerrier’ di Micene, e piú fiero
or sarà, dopo quanto è seguito:
ché costume è di tutti gli araldi
riferire accresciuti del doppio
i fatti. Chi sa
che andrà raccontando ai signori!

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Che orrori sofferse, e per poco
la sua vita non fu sterminata.

iolao

Per i figli non v’ha miglior retaggio
che nati esser da un padre insigne e prode,
da nobil madre. E chi per cieca brama
s imparenta coi tristi, io non l’approvo,
ché lascia ai figli eredità d’obbrobrio
pel suo piacer: ché nobiltà di sangue
piú dell’oscurità soccorso arreca
nelle sventure. Cosí noi, piombati
nell’estremo dei mali, abbiam trovato
questi parenti, questi amici, soli
fra tanta gente che dimora in Ellade,
surti a nostra difesa. Orvia, la destra
porgete ad essi, o figli, e a questi pargoli
voi porgete le vostre, e avvicinatevi.
Dell'amicizia loro esperimento
abbiamo fatto, o figli. Ora, se a voi
mai brilli il giorno del ritorno in patria,
se la casa e gli onor’ del padre vostro
mai riavrete, salvatori e amici
reputar li dovrete, e l’armi infeste
mai non recar contro la terra loro,
ma rammentare i benefici, e Atene
piú d’ogni altra città diletta avere.
Degni che voi lei veneriate sono
costoro, che da voi l’ira stornarono
del popolo pelasgo, e d’un tal regno,
esuli pur vedendoci e pitocchi:
eppur non v’hanno consegnati, né

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banditi dalla terra. Io, sin che vivo,
e, quando poi sarò morto, da morto,
caro, t’esalterò presso a Tesèo,
e lieto lo farò, tutto narrandogli,
come tu ci accogliesti, e ai figli d’Èrcole
desti soccorso, e la paterna fama
intatta serbi fra gli Ellèni; e, nato
da nobili, qual sei, non ti dimostri
inferïore al padre tuo. Ben pochi
siete cosí. Ne trovi uno fra molti
appena, che non sia peggior del padre.

coro

Sempre soccorse nelle giuste cause
Atene agl’infelici, e mille e mille
pene, a pro’ degli amici, già sofferse;
e avvicinarsi anche or vedo il cimento.

demofonte

Bene hai parlato, o vecchio, e tali m’auguro
che siano ognor questi fanciulli: memori
del beneficio. Ora io radunerò
i cittadini, in assemblea, farò
che da gran forze accolto sia l’esercito
dei Micenei. Da prima esploratori
contro esso manderò, sí che sorprendermi
non debba alla sprovvista: assai sollecito
ogni uomo d’Argo alla battaglia corre.
Radunati i profeti, indi offrirò
sacrifizi. Ora tu l’ara abbandona
di Giove, e nella reggia entra coi pargoli.

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Anche quando io sarò lontano, c’è
chi cura avrà di te. Dunque entra, o vecchio.

iolao

L’ara lasciare non vorrei; ma, supplici
qui rimanendo, innalzeremo voti
che la città trionfi; e quando, libera,
vittorïosa sia da tal cimento,
nella reggia entreremo. E al fianco nostro
combatteranno Dei che non la cedono
a quelli, o sire, degli Argivi. Ad essi
la consorte di Giove, Era, presiede;
e Atena a noi. Ché al prospero successo,
secondo me, giova anche questo, i Numi
piú forti avere dalla propria. E Pallade
mai non sopporterà che alcun la vinca.

Note

  1. [p. 320 modifica]Alla tetrapoli; sono i quattro borghi di Maratona, Enoe, Probalinto e Tricorito.
  2. [p. 320 modifica]Del funesto cingolo. Allude all’impresa di Ercole contro le Amazzoni per conquistare la cintura cui era appesa la spada di Marte; e chiama tale cingolo funesto, perché causa di una sanguinosa battaglia in cui morí la regina delle Amazzoni, Ippolita.
  3. [p. 320 modifica]D’Alcato ecc. Cfr. Prefazione, pag. 6.