Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 184

Lettera 183 Lettera 185

[p. 188 modifica]A MONNA AGNESA DONNA CHE FU DI MISSERE OSSO MALAVOLTI (/l).

1. L’esorta alla virtù della pazienta, dimostrando quanto sia dannosa l’impazienza, n. dì due sorte d’impazienza,

prima dell’ impazienza comune.


III. Dell’ impazienza in-particolare dimostrando esser questa come la prima, effetto di superbia, e doversi vincere coll’anne* gazione della propria volontà, non cercando le proprie con* solazioni, ma la gloria di Dio.

IV. Che all’ umiltà di Maria Vergine in particolare fu conceduta P incarnazione del Verbo.

V. Della virtù della carità.

VI. L’anima alla perfezione, mostrandoli come Dio ve la chiamava.

184.

. % Al nome (li Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. ilarissima figliuola in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi fondala in vera pazienzia, considerando me, cli

senza la pazienzia non potiamo piacere a Dio, perocché, siccome la ini pazienzia piace mollo al (limonio ed alla propria sensualità, e non si di Iella alito che d’ ira, quando li manca quello che la sensualità vuole; così per contrario dispiace mollo a Dio; e perchè la ira ed impazienzia ò il mirollo della superbia, e però piace

[p. 189 modifica]molto al dimonio. La impazienzia perde il frutto della sua fadiga, priva 1 anima di Dio, e comincia a gustare l’arra dell inferno, e dalli poi la eterna dannazione, perocché neirinferno arde la mala e perversa volontà con ira, odio ed impazienzia: arde e non si consuma, ma sempre rinfresca, cioè, che non viene meno in loro, e però dico non consuma: ha bene consumata e diseccata la grazia neh anima loro, ma non è consumato 1’ essare, come detto è, e però dura la pena loro elernalmentc. Questo dicono i santi, che i dannati addimandano la morte e non la possono avere, perchè l’anima non muore mai: muore bene a grazia per lo peccato mortale, ma non muore allessare. Non è alcuno vizio, nè peccato, che in questa vita faccia gustare l’arra dell’inferno, quanto l’ira e la impazienzia!

egli sta in odio con Dio: egli ha in dispiacere il prossimo suo, e non vuole, nè sa portare, nè sopportare i difetti del suo prossimo, e ciò che gli è detto, ho fatto, subito va a vela fi\, e muovesi il sentimento alla ira ed alla impazienzia, come la foglia al.vento; egli diventa incomportabile a sè medesimo, perocché la perversa volontà sempre il rode ed appetisce quello che non può avere; scordisi dalla volontà di Dio e dalla ragione dell’anima sua; e tutto questo procede dall’arbore deila superbia, il quale ha tratto fuore il mirollo dell’ ira e della impazienzia,- e diventa l’uomo uno dimonio incarnalo, e molto fa peggio a combattere con questi dimonj visibili che con gli invisibili.

Bene la debba dunque fuggire ogni. creatura che ha in sè ragione.

II. Ma attendete che sono due ragioni d’impazienzia.

Questa è una impazienzia comune, cioè, de’comuni uomini del mondo, che lo’addiviene per lo disordinato amore che hanno a loro medesimi ed alle cose temporali, le quali amano fuore di Dio, che per averle, non si curano di perdare l’anima loro, e di metterla nelle mane delle dimonia: questo è senza rimedio, se ò\ Caterina. Opere, T, Vii i3 [p. 190 modifica]J9° egli non cognosce sè che Iiii offeso Dio, tagliando questo arbore col coltello della vera umilità, la quale umilità notrica la carità nell’anima, la quale è uno arbore d’amore, che è il mirollo suo, e la pazienzia, e benivolenzia del prossimo; perocché come la impazienzia dimostra più che l’anima sia pi vata di Dio, che. niun altro vizio, perocché si giudica subito, perchè c’è il mirollo, egli ci è l’arbore della superbia, così la pazienzia dimostra meglio e più perfettamente, che Dio sia,per grazia nell’anima, che veruna altra virtù; pazienzia dico fondata nell’arbore dell amore, cioè, che per amore del.suo Creatore dispregi il mondo, ed ami la irigiuria da qualunque Iato ella si viene.

Diceva che l’ira e la impazienzia era in due modi, cioè in comune ed in particulare.

III. Abbiamo detto de’ comuni, ora la dico in particulare, cioè di coloro che hanno già spregiato il mondo, e vogliono essare servi di Cristo crocifisso a loro modo; cioè in quanto trovano diletto in lui e consolazione!

questo è, perchè la propria volontà spirituale non è morta in loro, e però dimandano e chieggono a Dio, che doni le consolazioni e tribolazioni a loro modo, e non a modo di Dio, e così diventano impazienti quando hanno il contrario di quello che vuole la propria volontà spirituale; e questo è uno ramascello di superbia che esce della vera superbia, siccome 1’ arbore cli

mette 1’ arboscello da lato, che pare separato da lui, e nondimeno la sustanzia della quale egli viene, la tra je pure dal medesimo arbore.


Così è la volontà propria dell’ anima che elegge di servire a Dio a suo modo, e mancandoli quello modo, sostiene (iena, e dalla pena viene alla impazienzia, ed è incomportabile a sè medesimo, e non gli diletta di servire a Dio, nè al prossimo, anco chi venisse a lui per consiglio o per ajuto, non gli darebbe altro che ri m prò ve rio, e non saprebbe comportare il bisogno suo. Tutto questo procede dalla propria volontà sensitiva spirituale, che esce dell’arbore della superbia, [p. 191 modifica]I9I il quale è tagliato e non dibarbicato: tagliato è quando già ha levato il desiderio suo dal mondo’e postolo in Dio; ma avvelo posto imperfettamente: evvi rimasta la radice, e però ha messo il figliuolo da lato, e cosi si manifesta nelle cose spirituali, unde se gli manca la consolazione di Dio e rimanga la mente sterile ed asciutta, subito si conturba e contrista in sè medesimo e sotto colore di virtù, perchè gli pare essare privalo di Dio, diventa mormoratore e ponitore di legge a Dio, ma se egli fusse veramente umile con vero odio e cognoscimento di sè f si reputarebbe indegno della visitazione che Dio fa nell’anima, e riputarebbesi degno della pena che sostiene, quando si vede essare privato per consolazione e non per grazia di Dio: pena sostiene allora, perchè gli conviene lavorare con ferri suoi, sicché la volontà spirituale ne sente pena sotto colore di non. offendare a Dio; ma ella è la propria sensualità, e però T anima umile, che liberamente ha tratta la barba della superbia con aifettuoso amore, ed ha annegata la volontà, cercando sempre l onoie di Dio e salute dell’anime, non si cura di pene, ma con più riverenzia porta la mente inquieta, che quieta, avendo rispetto santo, cioè, che Dio gl’il dà e concede per suo bene, acciocché ella si levi dalla imperfezione e venga alla perfezione!

quella è la via da farvela venire; perocché per quella cognosce meglio il difetto suo e la grazia di Dio, la quale trova in sè per la buona volontà che Dio le ha data, dispiacendoli il peccato mortale, ed anco per considerazione che ella ba de’difetti e delle colpe antiche e presenti, ha conceputo odio conira sè medesima, ed amore alla somma elerna volontà di Dio, e però le porta con reverenzia, ed è contenta di sostenere dentro e di fuore in qualunque modo Dìo gliel concede, purché possa adempire in sè e vestirsi della dolcezza della volontà di Dio, d’ogni cosa ^ode, e quanto più si vede privare di quella cosa che araa,o consolazione da Dio, come detto è, o dalle creature, [p. 192 modifica]più si rallegra. Perocchè spesse volte addiviene, che l’anima ama spiritualmente, e se non trova quella consolazione e satisfazione da quelle creature, come vorrebbero che,le paja che ami o satisfaccia più ad altri che a lei, ne viene.in pena, in tedio di. mente, in mormorazione del prossimo, ed in falso giudicio, giudicando la mente e la intenzione- de servi di. Dio, e specialmente quella, di coloro di cui ha pena; unde diventa impaziente, e pensa quello che non die’ pensare, e con la lingua dice quello che non die* dire, e vuole allora usare per queste colali pene una stolta umilità che ha colore di umilità, ma egli è il figliuolo della superbia che esce dal.lato, dicendo in sè medesima!

io non lo’voglio fare motto, nè impacciarmi più con loro: starommi pianamente, e non voglio dare pena, nè a loro, nò a me; e sta in terra con uno perverso sdegno: ed a questo se ne die avvedere che è sdegno, cioè nel giudicare che sente nel cuore e nella mormorazione della lingua. Non die’fare dunque così, perocché per questo modo non levarebbe però via la barba, nè mozzarebbe il figliuolo da lato, cbe impedisce che l’anima non giogne alla sua perfezione, la quale ha cominciata, ma debba con libero cuore e con odio santo di sè, e con spasimato desiderio del1’ onore di Dio e della salute dell’ anime, e con affetto di virtù nell’ anima sua, ponersi in su la mensa della santissima croce a mangiare questo cibo; cercando con pena e con sudori d’acquistare la virtù, e non con proprie consolazioni, nè da Dio, nò dalle creature, seguitando le vestigio e la dottrina di Cristo crocifisso, dicendo a sè medesima con grande rimproverio.

Tu non debbi, anima mia, tu che se’membro, passare per altra via. che d capo tuo; sconvenevole cosa è, che sotto il capo spinato slieno i membri delicati; che se per propria fragilità ed inganno del dimonio, e venti de’ molli movimenti del cuore, per lo modo detto di sopra, o per altra via venissero, debba allora salire l’anima sopra da coscienzia sua, e tenersi ra[p. 193 modifica]193 gione e non lassarlo passare che non sia punito e gassato con odio e dispiacimento di sè medesima; e così divellerà la radice, e col dispiacimento di sè cacciarà il dispiacimento del prossimo suo, cioè dolendosi più del disordinato sentimento del cuore e. delle cogitazioni che della pena che ricevesse dalle creature, o per altra ingiuria o dispiacere, che per loro le fusse fatto: questo è quello dolce e santo modo, -che tengono coloro che sono tutti affocati di Cristo, perocché con esso modo hanno divelta la radice della per%’ersa superbia, ed il mirollo della impazienzia, lo quale di sopra dicemmo, che piaceva molto al dimonio, perocché è principio e cagione d’ ogni peccato; cosi per lo contrario, che come ella piace molto al dimoino, così dispiace molto a Dio: dispiaceli la superbia e piaceli 1’ umilità.

IV. Ed in tanto li piacque la virtù dell’ umilità di Maria, che fu costretto per la bontà sua di donare a lei il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo; ed ella fu quella dolce madre che il donò a noi. Sapete bene, che inhno che Maria non mostrò col suono della parola l’umilità e la volontà sua, dicendo: Ecce Ancilla Domini, sia fatto a me, secondo la parola tua, il Figliuolo di Dio non incarnò in lei; ma detta che ella l’ebbe, concepette in sè quello dolce ed immacolato Agnello, mostrando in questo a noi la prima dolce Verità, quanto.

è eccellente questa virtù piccola e quanto riceve l’anima, che con umilità offera e dona la volontà sua al Creatore. Così dunque nel tempo delle fadighe e delle persecuzioni, ingiurie, strazj e villanie, ricevendole dal prossimo suo, e battaglie di mente, e privazione di consolazioni spirituali e temporali, dal Creatore e dalla creatura; dai Creatore per dolcezza, quando ritrae a sè il sentimento della mente., che non pare allora che Dio sia nell’ anima, tante sono le battaglie e le pene che ha; e dalle creature per conversione, e recreazione, parendole più amare che ella non è amata. In tutte queste cose dico, che l’anima perfetta [p. 194 modifica]t94 con la umilila dice: Signore mio, ecco l’ancilla tua, sia fallo in me secondo la tua volontà, e non secondo quello che voglio io sensitivamente; e così gitta l’odore della pazienzia verso del Creatore e della creatura, e di sè medesima; gusta.la pace e la quiete della mente, e nella guerra ha trovata la pace, perocché ha tolto di sè la.propria volontà fondata nella superbia, ed ha concepulo nell’anima sua la divina grazia; e porta nel petto della mente sua Cristo crocifisso, e dilettasi nelle piaghe di Cristo crocifìsso, e non cerca di sapere altro che Cristo crocifisso, ed il suo Ietto, è la croce di Cristo crocifisso, ine annega la sua volontà, e diventa umile ed obbediente.

V. Perocché non è obbedienzia senza umilità, e 11011 è umilità senza„ carità, e questo trova nel Verbo; perocché con 1’ obbedienzia del padre e con 1’ umilità corre all’obbrobriosa morte della croce; conficcandosi o legandosi col chiovo e col legame della carità, e sostenendo con tanta pazienzia, che non è udito il grido suo per mormorazione; perocché non erano sufficienti i chiovi a sostenere Dio ed uomo confitto e chiavellato in.croce, se l’amore non l’avcsse tenuto.

Or questo dico che gusta l’anima, e però non si vuole dilettare altro che con Cristo crocifisso; che se gli fusse possibile acquistare le virtù, fuggire 1 inferno ed .* avere vita eterna senza pena, ed avere le consolazioni nel mondo.spirituali e temporali, non le vorrebbe!

ma più tosto vuole con pena, sostenendo infiuo alla morte, che per altro affetto avere vita eterna, pure che si possa conformare con Cristo crocifisso, e vestirsi degli obbrobrj e delle pene sue: ella ha trovata la mensa dello immacolato Agnello. O gloriosa virtù!

chi non volesse darsi mille volte alla morte e sostenere ogni pena, per volerla acquistare: tu sei regina che possiedi tutto quanto il mondo: tu abili nella vita durabile, perocché, essendo ancora l’anima, che di te è vestita, mortale, tu la fai abitare prr alletto d amore con quelli cli

sono immortali. Poi dunque che

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  • 95 tanto è eccellente e piacevole a Dio, ed ulile a noi, e salute del prossimo questa virtù, levatevi, carissima figliuola, dal sonno della negligenzia e della ignorarizia, gittando a terra la debilezza e la fragilità del cuore, acciocché non senta pena, nè impazienzia di neuna cosa che Dio permetta a noi, sicché noi non cadiamo nella impazienzia comune, nè nella particulare, siccome detto è di sopra; ma virilmente con libertà di cuore, e con perfetta e vera pazienzia servire il nostro dolce Salvatore: facendo altremeuli, nella prima impazienzia perdaremo la grazia, e nella seconda impediremo Io stato perfetto, e non giognareate a quello che Dio v* ha chiamata.

VI. Dio pare che vi chiami alia grande perfezione, ed a questo me ne avveggo, perocché egli vi lolle osui legame, il quale ve la potesse impedii e; perocché, secondo che io intendo, pare che abbi chiamata a sè la vostra figliuola, che era l’ultimo legame di fuore i C), della quale cosa sono molto contenta, con una santa compassione che Dio abbi sciolta voi e tratta lei di fadiga. Ora voglio dunque che al tutto voi tagliate la propria volontà, acciocché ella non stia attaccata altro che a Cristo crocifisso; e per questo modo adempirete la volontà sua ed il desiderio mio; e però vi dissi, non cognoscendo altra via, perchè voi la adempiste, che io desideravo di vedervi fondata in vera e salita pazienzia, perocché senza essa non potremo tornare al nostro dolce fine. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di D o. Jesù dolce, Jesù amore. [p. 196 modifica]i()G .. j. « i é ■ *.*—. —’i ■ An not ti zio ari alici Lettera 1&4L.

(A) Questa lettera era già fuori d’ordine, e Ira quelle scritte a donne secolari; onde" nell’antica impressione è la 33o, ed ora sè posta coll’ altre ad essa indirizzate.

(li)’Subito va a vela. Cioè monta1 in superbia, onde nasce lo sdegno e I’ impazienza. Come il legno che dal vento è portato a ?ele gonfie, non ha vernn ritegno, così l’animo che lasciasi portare dall’ira a graude stento, può essere rallentilo. Il lesto a penna di *. Pantaleo,’ già altre volle addotto in luogo di quesle parole va a vela, ha questa n’avvelena. Quale di essi siasi il legittimo non so indovinare; nell’uno però e nell’altro si ravvisa un buon senso, e che bene si affa all’ ira di cui ella la-velia.

(C) Che era l’ùltimo legarne di fuore. Il figliuolo di questa signora per nome Antonio, era.stalo decapitato l’anno 1372, per aver tolta una la nei 111 la insieme con Deo, di Veri Malevoli!, quantunque ella ne fosse stata d! accordo.

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