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Parte terza - I Parte terza - III
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II.

opo una lunga peregrinazione nelle grandi e piccole città del Veneto e di Romagna, la famiglia von Roth ritornava in Lombardia.

Il signor Gioachino che precedeva di alcuni giorni la sua piccola carovana era giunto a Como il mercoledì mattina e aveva fissato un bel posto, per la giostra e per un piccolo bersaglio a fantocci, sulla piazza presso al viale.

Fioriva di nuovo l’aprile, tornava la mistica Pasqua. I comaschi si preparavano allegramente alla tradizionale fiera del Crocifisso, in piazza Vittoria nel borgo di San Bartolomeo. Sotto la sorveglianza del signor [p. 292 modifica]Gioachino, quattro uomini alti e robusti piantavano la giostra, silenziosi e rapidi, con dei movimenti misurati, quasi automatici. Ed egli stesso dava qua e là una mano, sempre svelto, sempre forte, col suo eterno berretto di pelle a visiera sporgente; gli occhietti vivi, il grosso naso troneggiarne su i folti baffoni. Sempre orso, ma quasi completamente orso bianco; sempre grande e grosso, ma le guance alcun poco floscie, e pronto ad impicciolirsi, come un vecchio cannocchiale che rientra alla menoma scossa. Il destino gli aveva dato un fiero colpo. Il marito di Nini, quel famoso attachè d’ambassede ne aveva fatte d’ogni colore, e la sua vera condizione d’impiegato subalterno era venuta a galla. Ah! che colpo per la signora Marta!

Ad evitare un processo, che avrebbe tirata nell’ingranaggio anche la bella Nini, troppo smaniosa di tener testa alle ricche borghesi, i poveri vecchi avevano dovuto pagare di borsa propria. Un vero disanguamento, com’essi dicevano. Così la giostra era passata in mano di una società di ricchi speculatori: «per un pezzo di pane» gemeva la buona Marta, con le lagrime agli occhi. Gioachino von Roth non era più che un direttore salariato e ben vigilato dai soci proprietari.

— Pazienza — diceva il buon diavolaccio — pazienza, se almeno avesse fatto giudizio quel pezzo d’asino! [p. 293 modifica]

Tutto era pronto allorchè verso sera arrivò il carrozzone, con Marta, Nini e Emma Walder.

— Contenta eh, di ritornare da queste parti? — domandò Gioachino a quest’ultima.

Ella rispose con un languido sorriso:

— Non lo so neppure io!

Ma lui, ottimista, malgrado i cataclismi, replicò trionfalmente:

— Tutto andrà bene, vedrà, tutto andrà bene.

— Si lavora stasera? — domandò Nini con la sua voce strascicata di persona stanca.

— Sì. Il bersaglio è pronto.

— Allora mi vesto.

Aprì un baule, poi una valigia e ne cavò fuori tanta roba, abiti, scialli, biancherie, che tutto il vagone fu ingombro, e in pochi minuti parve come imbandierato. Nulla aveva potuto mutarla. Era di quelle che possono traversare tutte le condizioni sociali, subire cento naufragi e restare sempre a galla, sempre le stesse, fino alla più tarda vecchiaia. Alta, snella, di belle forme, con una enorme quantità di capelli di un magnifico color castagno chiaro e un visetto da bambola di porcellana, ella faceva impazzire gli uomini.

— Potrei essere milionaria — diceva qualche volta con un adorabile cinismo. — Ho avuto le più belle offerte, anche ultimamente a Verona... Mah! Alberto non vuole: non mi lascierebbe campare tre giorni... [p. 294 modifica] me lo scrive anche nell’ultima lettera: «Ninì! se hai caro il collo!...»

E con una smorfia deliziosa di bimba, toccandosi la gola soggiungeva:

— Mi preme troppo!

Il bersaglio se l’era comperato da sè vendendo un finimento di brillanti sottratto ai creditori.

Faceva denari a palate adesso.

Da per tutto dove arrivava, appena l’avevano vista, i giovanotti appassionati, i ricchi oziosi e i vecchi assetati d’illusione, correvano al suo bersaglio, a bruciarsi vivi al fuoco dei suoi occhi superbi.

Spendeva un subisso, e quello che non spendeva glielo portava via il suo gelosissimo Alberto, quando capitava a trovarla senza preavviso.

Già pronta tornò a guardarsi nello specchio con attenzione e compiacenza; si accomodò ancora una volta le pieghe dell’abito di broccatello celeste; poi baciò la madre, salutò Emma e se ne andò in fretta accompagnata dal signor Gioachino, il quale a sua volta la teneva d’occhio.

Lei non aveva che un’idea: essere bella: che un sogno: farsi rapire. Ma il rapitore doveva essere molto ricco e condurla molto lontano, perchè Alberto non potesse raggiungerla.

Nel carrozzone la signora Marta si diede subito, con molta pazienza, a mettere in ordine gli abiti e i molti gingilli che Ninì aveva messi in mezzo per abbigliarsi. [p. 295 modifica]

Emma pure si vestiva, ma assai semplicemente.

— Signora Marta, la giostra funziona di già. Vado.

Marta, le mani piene di trine, di nastri, di biancheria da riporre, o da mettere in bucato, si fermò un momento per salutare la sua giovine amica.

— Sei molto pallida, Emma, sei molto stanca; faresti meglio a riposarti.

Emma crollò il capo.

— Non è niente. Ho questa faccia perchè sono qui così vicino a casa. Spero e temo d’incontrare qualcuno. Pensi, Marta, cinque mesi che non so nulla di nessuno!

— Povera figliuola, capisco. Ma il signor Mandelli ti ha scritto una volta?

— Un’unica volta in principio. Povero babbo, ho paura che sia ammalato! Era così triste quella sua lettera. Si ricorda, Marta? Per poco non mi fece tornare a casa!

— Sarebbe stato meglio! — si lasciò sfuggire la viennese. Poi soggiunse, ripigliandosi: — Questa vitaccia non è per te.

— Oh! non dica questo! — sospirò Emma.

— Lasciami dire, anzi. Non l’ho mai amata neppure per me questa vita. La tolleravo quando si guadagnava molto denaro, per Ninì. Adesso non ne posso più. E vedere la mia creatura... oh! nessuno sa quello che soffro. Con Gioachino non ne parlo neppure. Non capisce niente. [p. 296 modifica]

— È buono però — insinuò Emma.

L’altra annuì con un sorriso di compiacenza. Egli era buono sì, ma la vita era dura. E continuava a narrare de’ suoi fastidi. Poi ripigliava il discorso dove l’aveva lasciato, dicendo che Emma doveva approfittare di quei giorni di fermata a Como, per avere notizie di casa; perchè, insomma, doveva ben maritarsi una volta e non poteva sposare un ciarlatano, nè un saltimbanco.

Emma sorrideva a fior di labbro. Quanto a maritarsi, non ci pensava davvero... S’interruppe, ascoltando di fuori.

Il cassiere la reclamava.

— A rivederci, Marta, il cassiere aspetta.

— Buona sera, Emma.

Sempre con le braccia e le mani cariche, Marta s’affacciò al finestrino, e guardò la giostra e il bersaglio dove Nini troneggiava in mezzo a una folla di uomini. Guardò anche le altre, baracche dove pure i curiosi si affollavano. La giostra a vapore e Nini ottenevano indubbiamente il maggiore successo, erano, senza contrasto, le due meraviglie della fiera.

Pensò che avrebbero fatto dei buoni incassi; e tuttavia il suo volto non si rasserenò.

Con un gesto scorato ritornò all’ingrato mestiere di ravviare quella casuccia che la sua figliuola arruffava continuamente.

Sulla giostra, Emma aiutava il cassiere e lo [p. 297 modifica] serivano a tenere i registri; o prendeva le ciotole piene di soldi dalle mani dei riscuotitori. Era questa l’unica occupazione possibile, che lei aveva trovato in quello strano mondo. Nelle baracche non aveva potuto resistere.

Le maniere e le abitudini di quegli uomini, le famigliarità, la urtavano, la ferivano. Dalla Metempsicosi aveva dovuto fuggire. Era spostata ben altrimenti che nella famiglia signorile dei Mandelli! E si domandava se era la sua condanna, di essere spostata da per tutto. Un intenso bisogno di solitudine la vinceva. Un giorno o l’altro pensava di staccarsi dai suoi amici e di rimanere in una grande città, per mettersi a lavorare da sarta o da modista.

Ma un senso di pessimismo, che la persuadeva a momenti, le suggeriva tristamente che tutto era inutile, che la sua vita spezzata non poteva più scorrere tranquilla in nessun angolo di mondo. Allora ogni energia l’abbandonava.

— Perchè mutar condizioni, perchè affrontare nuove, imprevedibili difficoltà, se tutto deve condurmi allo stesso risultato? — pensava nel suo scoramento.

Invidiava quasi Ninì, quella splendida bambola di porcellana, dall’anima di gutaperca, paga di essere bella e di sentirselo a dire.

Lei era una refrattaria, povera Emma, e non poteva trasformarsi, non sapeva dimenticare.

Oh! come sarebbe morta! [p. 298 modifica]

Morire: non pensare più!

Desiderava la morte con l’ardore dei giovani che hanno amato e non sperano.

Quella sera però si sentiva diversa. L’aria di Lombardia la rimescolava. Un alito di speranza ringagliardiva il suo dolore, come l’ossigeno il fuoco. Alla tristezza mesta che mena all’incurabile inerzia, subentrava l’inquietudine passionale, l’acuto turbamento del vicino risveglio.

Pensava al paesello dove credeva che tuttavia vivessero le sole persone a cui fosse in qualche modo legata, e una inesprimibile tenerezza s’impadroniva dell’anima sua, e un vivo desiderio la pungeva di rivedere la casa dove la più lunga parte della sua vita era trascorsa; e i visi amati, o soltanto famigliari, e le note strade e il piccolo fiume.

Il suono monotono e nasale dell’orchestrion le dava terribilmente ai nervi. Ah! se avesse potuto sentire l’organo della Chiesa dei Servi suonato dal suo caro babbo!

Perchè non le scriveva?

Che cosa faceva?... Dov’era?

Più di una volta aveva cercato dei giornali milanesi con la vaga speranza di trovarvi qualche notizia; ma una mano amica non aveva permesso che ella potesse averne nei giorni in cui tutti parlavano del fatto di Melegnano. Così ella non sapeva nulla. Ma quel silenzio ostinato le dava l’allarme; e aspettava [p. 299 modifica] un avviso e volgeva intorno lo sguardo ansioso, in cerca di un amico, di un conoscente, di un rivelatore.

Sempre con questo pensiero, la mattina del dì seguente, che era il giovedì santo, ella uscì dal carrozzone per andare alla messa. Fece un giro per la città e entrò nel bellissimo Duomo. La sua mente viaggiava, ritornava all’anno addietro, a Melegnano, a quella bella mattina d’aprile, in cui, quasi alla stess’ora, andava in piazza Castello, in compagnia di Annetta che smaniava di vedere il Brussieri.

Strano effetto del tempo e degli avvenimenti, quella mattinata le pareva lontanissima e pur tanto vicina! Le case, il paesaggio, l’aria, la luce, il suo stato d’animo e quello di Annetta, il contegno di Paolo, tutto risorgeva nella sua memoria, e prendeva forma sotto ai suoi occhi, con una evidenza, una realtà viva e saliente, che la faceva fremere di commozione.

Ma appena il suo pensiero si arrestava in una riflessione cercando di riannodare al presente, quel passato così vicino, la prodigiosa visione precipitava in una profonda oscurità. Tutta una vita era chiusa per lei fra quei due aprili, nel volgere di quell’annata: tutta la sua vita infranta. Invano tentava di avvicinare quelle due estremità: un abisso la separava.

Quanti anni, quanti anni! Avrebbe dovuta essere vecchia, avere i capelli bianchi, il corpo disfatto...

Appena uscita dalla chiesa si avviò verso il borgo; [p. 300 modifica] ma presto avvertì un passo che la seguiva. Ancora un uomo impertinente!

E se fosse un amico?

— Signorina, signorina Walder! — diceva una voce premurosa alle sue spalle. Le parve di riconoscere quella voce. Si arrestò, poi, bruscamente si voltò.

— Oh! lei... signor Celanzi!

— Finalmente la ritrovo!

Ella arrossì sotto allo sguardo indagatore del giovine.

— Sono qui con la «fiera...»

— Oh! so, so... È con quella famiglia tedesca, quel von Roth, che hanno una giostra a vapore, vero?

— Appunto. Lei, mi cercava forse?

— Sì. Marco mi ha mandato qui con l’incarico di parlarle. L’ho cercata ieri tutta la sera. Non volli domandare. Il povero Mandelli ha subito detto che doveva essere con questa gente! È stata sempre con loro?

— Sempre... Ma ella ha detto il povero?!... Per carità, si spieghi, non mi lasci in questa pena!

Celanzi la rassicurò: Mandelli viveva. Dei dispiaceri soltanto... delle disgrazie... Si stupiva che lei non sapesse...

— Nulla! — Esclamò Emma mutandosi in volto.

— Non so nulla! [p. 301 modifica]

— La sua fuga — cominciò Celanzi — gli fece una profonda impressione. — Se ne accorò molto.

Tacque un momento vedendola impallidire e tremare. Poi riprese con voce commossa: — Signorina... Le cose che vuol sapere, e che io non credo poterle nascondere, sono gravi. La faranno soffrire... Qui la gente ci osserva. Allontaniamoci; andiamo verso la campagna. Le parlerò più liberamente.

Ella fece un piccolo cenno E si lasciò condurre.

— Sarebbe meglio prendere una carrozza... permette?...

— No... no! Mi piace camminare.

Egli non osò insistere.

Andarono un pezzo avanti così, uno accanto all’altra, senza parlare; salendo una viottola piena di sole e di verdura, sulla costa del monte.

Erano già fuori dell’abitato, allorchè Emma, riscuotendosi, domandò.

— Dov’è ora il mio babbo?... Dov’è? — ripetè non ricevendo alcuna risposta.

— È a Milano — disse finalmente Andrea senza guardarla — in un istituto sanitario...

— In un istituto sanitario?!... Pazzo!... Oh! mio Dio!...

Il giovine le prese una mano e cercò di calmarla.

Leopoldo non era pazzo: ella non doveva tormentarsi con questo pensiero. Egli era oppresso di tristezza, e i suoi nervi stanchi, la fibra indebolita, [p. 302 modifica]richiedevano cure speciali; perciò solamente lo avevano messo in quell’istituto.

— Ma Annetta, ma Cleofe... non potevano curarlo in casa?

— Prima di tutto, pare che certe malattie si curino meglio nelle case di salute; poi, Annetta pure è stata male e i medici le hanno ordinato di cambiare aria. Adesso è a Napoli, e sua madre, naturalmente è con lei.

— Lo hanno abbandonato! Povero babbo mio, tutti lo hanno abbandonato!

Celanzi tacque.

La fanciulla si ricordò allora che Paolo stesso avrebbe dovuto essere a Napoli con la sposa. Soffocando un senso di vergogna e di angoscia più pungente ancora, ella domandò:

— Annetta però si sarà sposata? Sarà a Napoli anche lo sposo...

— No... Pare che si sposerà questo autunno, col barone Cabruso... di Palermo...

Emma si arrestò, pallida come una morta, gli occhi stranamente aperti.

Quasi senza voce e come fuori di sè, mormorò:

— Ma è un sogno...

— No, signorina, purtroppo: è la realtà.

— Dunque — riprese lei dopo un momento di riflessione — il matrimonio con...

Le mancò la forza, non potè pronunciare il nome. [p. 303 modifica]

— Con Brussieri — disse Celanzi tremando egli pure — è andato in fumo...

Esitò ancora, e finalmente disse:

— Paolo Brussieri è morto.

Emma vacillò, allungò una mano come per aggrapparsi a qualche cosa. Sarebbe caduta se Andrea non la sosteneva.

Fu un lampo. Chiamando a soccorso tutta la sua forza di volontà potè rimettersi.

— Mio Dio! — susurrò — Annetta avrà sofferto molto.

E tacque incapace di continuare.

Andrea, che pensava con raccapriccio a ciò che doveva narrarle ancora, disse sbadatamente:

— Oh, certo. Lo spavento... Adesso però non ci pensa più. Sa bene, è un’indole superficiale, capricciosa...

Emma non contradisse. Conosceva bene quell’indole e quel cuore. Un’altra parola inavvertita al primo momento, la faceva riflettere, la empiva di stupore. Lo spavento, egli aveva detto; lo spavento... Perchè? Dove era morto... il promesso sposo di Annetta? Come era morto?

Le balenò al pensiero che Paolo si fosse suicidato... che il rimorso lo avesse assalito, dopo la scomparsa di lei...

L’avrebbe amata, allora! Un lampo di gioia accompagnò la tragica visione. Poi tornò la tenebra. Non era possibile. S’illudeva. [p. 304 modifica]

— Signor Celanzi, mi parli franco, la prego. Leggo nel suo volto una grave preoccupazione. Cosa deve dirmi ancora? Parli. È qualche cosa di terribile... si riferisce alla... morte di... Brussieri?...

— Sì. È una cosa penosissima. Si appoggi al mio braccio. Vorrei risparmiarle questo colpo... Senta. Paolo Brussieri era veramente un villano... un cattivo soggetto; ma la punizione è stata tremenda...

Emma si agitò tutta. Celanzi riprese dopo breve sosta:

— Un giorno che egli era a pranzo in casa Mandelli, non so come accadde che i due uomini rimasero soli. Altercarono... Brussieri fu, come il suo carattere voleva, insolente... e Leopoldo, acciecato dalla collera, afferrò un coltello...

— Ah!... lo ha ucciso....

Come pazza, ella si staccò dal braccio a cui si appoggiava e andò barcollando verso l’orlo della strada dove cadde su un mucchio di ghiaia. Il suo viso scomposto tradiva il disordine dei sentimenti.

Celanzi la sollevò con delicatezza, la fece sedere su una sporgenza della costa, coperta di erba, poi si allontanò di alcuni passi, preso da un senso di rispetto e di soggezione che gli impediva di pronunciare vane parole consolatrici. Intendeva quanto ella doveva soffrire. Tuttavia non si pentiva di averle rivelata la verità. Una volta doveva conoscerla.

Altri forse l’avrebbe fatto con maggiore finezza, [p. 305 modifica] non con maggiore simpatia; poichè egli sentiva in quel momento una particolare simpatia, una vera amicizia per quella sventurata. Era attirato verso di lei; la trovava più bella che mai, e gli pareva che una misteriosa affinità avvicinasse i loro caratteri, i loro destini. Una strana contraddizione dell’animo retto con le vertigini della fantasia e gl’impeti della passione, era in tutti e due, certo. Nè che ella avesse un animo retto, nobile e altero, Celanzi poteva dubitare. Senza di ciò non avrebbe rifiutato di sposarlo, lui, ricco, lui, che, per le circostanze eccezionali in cui si trovava di fronte ai Mandelli, non le avrebbe mosso rimprovero di nulla. L’ultima àncora di salvezza, essa l’aveva rifiutata; e per non recare danno ad alcuno con la sua presenza, se ne era andata, fuggendo da una casa signorile, il cui padrone quasi l’adorava ed era pronto a tutto per lei. E si era ridotta a fare la povera, la zingara; ad essere disprezzata dalla grande maggioranza che stima le persone secondo il posto che occupano, non per il valore che hanno.

La paragonava alle altre donne che egli aveva conosciute: a Cleofe specialmente; all’Annetta. Che cosa erano di fronte a lei? Vane pupattole, volgari, senz’anima. Ella aveva l’ingegno, il cuore di una creatura distinta. Eppure, tale essendo, aveva amato un Brussieri, e gli si era abbandonata, e lo amava ancora!

Strano. Incredibile. Quale vertigine l’aveva [p. 306 modifica] trascinata? Quale follia, quale accecamento dello spirito e della carne?... Ella doveva avere amato Brussieri, come egli stesso, aveva amato Cleofe. Oh! perchè non si erano amati loro due invece?... Giovani, liberi e tanto più affini, perchè non si erano intesi fin dal primo sguardo?...

Perchè?

Vana domanda, a cui l’anima non può rispondere, se non con una vana parola: fatalità!

Mille e mille navi solcano l’immenso oceano, solitarie, incolumi; due s’incontrano, si urtano, si spezzano, trascinate nel medesimo istante, sulla medesima via, da una irresistibile, misteriosa attrazione. Fatalità: tenebre.

Mezzo nascosto da un vecchio cipresso, Andrea guardava Emma, senza essere scorto da lei.

Ella non piangeva. La fronte appoggiata alla mano sinistra, il suo profilo spiccava netto e gentile sul fondo azzurro dell’aria. Pareva assorta. Il suo sguardo si spingeva lontano, traverso agli alberi folti della costa fuggente sotto ai suoi piedi, là dove un lembo di lago appariva, profondamente incassato nel suo bacino, tra i monti alti e vicinissimi.

La superficie dell’acqua, azzurra e lucente, era appena mossa da una leggerissima brezza. Una roccia nuda, sporgente, metteva una macchia scura nel fondo. In alto, sulla vetta del monte da cui la roccia si staccava, scintillavano al sole i brillanti e i topazzi di un [p. 307 modifica]gigantesco diadema di ghiaccio e di neve; mentre poco più in là, ma quasi al livello dell’acqua, sopra un declivio smagliante di verde, riparato dai frutteto sfoggiava le sue ghirlande bianche e rosate.

Un battello, carico di passeggieri, veniva da Bellagio; piccole vele bianche lambivano l’acqua, come ali spiegate di uccelli fantastici. [p. 308 modifica]

Era nell’aria quel non so che di solenne e indicibile che accompagna il passaggio dall’inverno alla primavera e dall’estate all’autunno: un fascino, un rimpianto, una ebbrezza.

Emma sentì che la sua vita doveva mutarsi ben presto; che i terribili avvenimenti la incalzavano.

Il breve intermezzo finiva.

Non lieto era stato quell’intermezzo di vita errante con la turba dei giocolieri: non lieto, ma calmo e monotono. A momenti, insopportabile, altra volta divertente, quella vita le appariva buona ora, sul punto di staccarsene, e la rimpiangeva.

Addio, casa errante, le cui pareti imbottite avevano tante volte smorzato il suono dei suoi lamenti! Addio, piccolo mondo rinchiuso e ignorato! Non lo sognerebbe più adesso che lo conosceva. I ricordi infantili che tutto abbelliscono, e poetizzano perfino i patimenti, non la inviterebbero più, non più la sedurrebbero: l’incanto era svanito.

Come i suoi genitori avevano abbandonato la piccina su una pubblica piazza, per non rivederla mai più, ella si staccava ora per sempre dai pallidi ricordi, dalle ostinate illusioni dell’infanzia. Quel passato moriva in lei. Un imperioso dovere la chiamava. Doveva recarsi presso all’uomo che era diventato per lei un assassino: che l’aveva tanto amata, ed ora le ispirava, malgrado l’affetto, una paurosa ripugnanza. [p. 309 modifica]

Doveva mettersi al suo fianco, assisterlo, confortarlo, non lasciarlo mai più.

Era il suo dovere.

Pure ella tremava all’idea di compierlo quel dovere, perchè Paolo, morto, non le pareva più nè vile, nè colpevole, e l’idea di accostarsi a chi lo aveva ucciso, la faceva fremere.

La vita a cui andava incontro, con un malato di mente, con un...

Non voleva dirla l’orrenda parola. Povero babbo suo, abbandonato dalla moglie e dalla figlia, non doveva ella accoglierlo come egli aveva accolto lei, povera e sola e abbandonata dai suoi?

Limpide come il giorno le tornarono alla memoria le parole di Marco Fabbi a proposito della malattia di Annetta e de’ suoi capricci, de’ suoi puntigli: — Comode quelle malattie di nervi! Comodo, imporsi a tutti e liberarsi da ogni dovere, con la scusa d’un male che va e viene, secondo il nostro piacere! Capriccio, puntiglio, egoismo... — Lei non aveva di quelle malattie: era sana e cosciente e non poteva sottrarsi al dovere.

Si alzò di sbalzo; vide Andrea che la guardava, e arrossì lievemente.

Egli accorse a lei.

— Vuol ritornare in città?

— A momenti. Prima vorrei che ella mi raccontasse più in disteso tutta la tragedia e quello che è accaduto poi. [p. 310 modifica]

— Soffrirà troppo...

— Ora sono forte.

Si rimisero in cammino.

Andrea le narrò tutti i particolari a lui noti, nel modo più succinto. Essa lo interrompeva a tratti con qualche domanda, o qualche esclamazione di dolore o di sdegno.

A un dato punto, egli pure osò interrogarla su quanto vi era di vero nelle dicerìe che si erano sparse nel borgo, e che Brussieri aveva pagate con la vita.

Aveva ella veramente amato quell’uomo?

Emma confessò, con un sospiro, la crudele verità: lo aveva amato, lo amava ancora.

— Ancora?...

— Sì. Mi pareva di non amarlo più, ma dacchè so la sua morte crudele, sento che l’amo, come una volta. È più forte di me. Cominciai ad amarlo senza sapere. L’amore mi spingeva a lui con tutte le astuzie. Io non capivo. Egli mi ha ingannata, tirata in un tranello, violentata, tradita. Gli perdonai. Lo amavo. Ho creduto di morire quando l’ho visto ritornare da Annetta, amarla. Poi, un giorno, lo disprezzai. Ma quel disprezzo risaliva fino a me. Mi sentivo indegna di vivere e volli morire. Il mio babbo mi ha trattenuta. Dovetti giurargli che non avrei più cercata la morte. E mantenni la promessa.

— Dunque Leopoldo non capì subito per chi ella voleva morire? [p. 311 modifica]

— No. Io non potevo dirglielo. Cercai anzi di allontanare il suo pensiero dalla verità.

— Oh!... Egli a pensò me...

— Credo... sì... Non so bene.

— Vorrei che fosse stato vero! — esclamò Celanzi con impeto. — Ora saremmo uniti, felici...

— Felici?... — ripetè Emma sorpresa.

— Perchè no?... Io almeno sarei felice, ne sono certo.

Ella non replicò. I suoi occhi rivolsero al giovine uno sguardo pieno di tristezza e di rimprovero. Quelle parole, in quel momento, le sembravano fatue, e offensive per lei.

Egli comprese; e avrebbe voluto dirle che s’ingannava, che non intendeva di offenderla, tutt’altro...

Ma il coraggio gli mancò.

Chinò la fronte e tacque lungamente. Oh! come gli parve profonda quella sentenza che «ciascuno ce lo prepariamo da noi il nostro inferno!».

Ora andavano verso Como. Desiderosa di cambiar discorso e di conoscere altri particolari, Emma osservò:

— Non mi ha detto ancora niente della malattia del mio buon padre...

— È una allucinazione. Riconosce tutti, ragiona con perfetta intelligenza; ricorda tutto; ma si crede morto.

— ... Si crede morto?!... [p. 312 modifica]

— Crede di essere un fantasma ritornato nel mondo per soffrire ancora, finchè avrà espiato le proprie colpe. Da principio non voleva mangiare. «Come volete che mangi?» diceva. «Non vedete che sono un fantasma?» Con molta pazienza, il direttore dello stabilimento lo ha fatto persuaso che gli stessi fantasmi hanno bisogno di mangiare in date circostanze per una artificiale rinnovazione delle molecole che devono produrre il fosforo dello spirito. Al primo momento non se ne fece nulla. Ma poco a poco, udendo ripetere la stessa cosa tutti i giorni, con tanta serietà e convinzione, da uno scienziato così autorevole, il nostro povero amico se ne impressionò, subì la suggestione e cominciò a mangiare.

— E adesso come sta?

— Bene in apparenza. Parla come noi, solo ad intervalli esce a dire: Quand’ero vivo...

— Quale miseria!... Lo lascieranno uscire se io mi faccio garante di assisterlo?

— Altro! Purchè egli voglia. Ma lei, signorina, vuol vivere con un pazzo?

— Non è il mio dovere?... Non sono io la causa della sua disgrazia?

Andrea sentì uno schianto al cuore, e non osò replicare.

Camminarono un pezzo in silenzio.

— E il processo? — domandò Emma rammentandosi che un processo doveva pure esserci stato. [p. 313 modifica]

— Andrà alla Corte d’Assise dopo Pasqua. Tutto è pronto; e speriamo il miglior esito per Leopoldo. Si è tardato per vedere se egli si rimetteva. Poi, l’istruttoria fu lunga.

— Potrebbero condannarlo?..

— Non credo che lo condannino. Tutte le circostanze provano che Mandelli era eccitatissimo quei giorni, che ha ceduto a un impulso irresistibile.

— Poveretto! Se io non fossi fuggita non succedeva nulla! Tutta mia la colpa. Andrò in tribunale: dirò tutto.

— Sarà forse chiamata in udienza dal giudice; ma spero che venga esonerata dal comparire ai dibattimenti.

— E lui, il babbo, dovrà andarci?

— Eh, certo!

— Io l’accampagnerò.

Un fremito agitò le sue labbra. Pensò a tutto quello che le chiederebbero i giudici; alle accuse che dovrebbe pronunciare contro il morto, per salvare il suo uccisore.

— È orribile! — esclamò — È orribile.

— Non si presenti — insinuò Celanzi.

Lei protestò. Abbandonare il suo benefattore, il suo padre adottivo?... Non era così abbietta. E poi egli meritava di essere difeso. Era, in fondo, innocente.

— È questa la voce pubblica — affermò Celanzi. — [p. 314 modifica] Nessuno ha compianto il Brussieri. Tutti quelli che lo conoscevano hanno detto che se l’è cercata.

— Oh, non lo dica! Se sapesse il male che mi fa!

Ma Celanzi voleva dire.

Invidiava e odiava quel morto, che, con tutti i suoi torti, era ancora amato da lei.

— Mi perdoni la mia brutalità; ma, se uno è vigliacco da vivo, noi non possiamo, non dobbiamo cambiar opinione su lui per il solo fatto che è morto. E tanto meno, se la morte non fu volontaria.

— Il morto non può difendersi — disse Emma severa.

— Non può difendersi, sta bene. Sappiamo però che se potesse mentirebbe e inventerebbe calunnie, come ha fatto da vivo.

Incapace di parlare per la violenta commozione che l’agitava, Emma lo interrogò con lo sguardo.

Egli rispose senza esitare:

— È la verità: era non soltanto un voluttuoso senz’anima, un cacciatore di doti, ma ben anche un calunniatore. Ha detto che lei era andata ad offrirsi...

Appena pronunciate queste ultime parole, con voce rauca e tremante, egli si pentì di averle dette. Emma sembrava impietrita.

— Perdono, signorina!... Non avrei mai dovuto dirle questo: è troppo! L’amore che ella sente ancora per quell’uomo ha offuscato la mia ragione. Vuol perdonarmi, Emma? [p. 315 modifica]

— Le perdono. Ella mi è amico, lo sento.

— Grazie... oh! grazie.

In piazza del Duomo Emma si fermò per lasciar Celanzi dove lo aveva incontrato. Egli le chiese il permesso di accompagnarla fino in piazza Garibaldi.

— Dunque, lei vuole vedere il Mandelli?

— Certo. Voglio andare a Milano domani e restarci. Lei è pure a Milano?

— Io sto a Milano o in campagna; fino alla fine del processo non mi muoverò. C’è anche Marco Fabbi. Saremo ad aspettarla domani al suo arrivo. Prepareremo il povero Mandelli a rivederla, e le troveremo un alloggio.

— Grazie. Siamo intesi. E mi accompagneranno subito dal babbo?

Celanzi affermò. Appunto intendeva partire subito per tutti questi preparativi.

— E Annetta e sua madre, non verranno per il processo?

— Non credo. Possono esimersi.

Emma non chiese altro. Sentiva che il giovine parlava con ripugnanza delle due donne.

— Lasciamoci qui — disse prima di arrivare in piazza. — A domani. Sarò a Milano con la corsa di mezzogiorno.

Egli s’inchinò, implorando con lo sguardo una stretta di mano, che Emma gli accordò con la maggiore semplicità. [p. 316 modifica]

Guardandola allontanarsi del suo passo leggiero, Andrea pensava involontariamente alla felicità di chi potesse darle il braccio, accompagnarla da per tutto, non lasciarla mai.

Quella felicità non era per lui!

Tornò su i suoi passi, più malinconico di prima.