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Era nell’aria quel non so che di solenne e indicibile che accompagna il passaggio dall’inverno alla primavera e dall’estate all’autunno: un fascino, un rimpianto, una ebbrezza.

Emma sentì che la sua vita doveva mutarsi ben presto; che i terribili avvenimenti la incalzavano.

Il breve intermezzo finiva.

Non lieto era stato quell’intermezzo di vita errante con la turba dei giocolieri: non lieto, ma calmo e monotono. A momenti, insopportabile, altra volta divertente, quella vita le appariva buona ora, sul punto di staccarsene, e la rimpiangeva.

Addio, casa errante, le cui pareti imbottite avevano tante volte smorzato il suono dei suoi lamenti! Addio, piccolo mondo rinchiuso e ignorato! Non lo sognerebbe più adesso che lo conosceva. I ricordi infantili che tutto abbelliscono, e poetizzano perfino i patimenti, non la inviterebbero più, non più la sedurrebbero: l’incanto era svanito.

Come i suoi genitori avevano abbandonato la piccina su una pubblica piazza, per non rivederla mai più, ella si staccava ora per sempre dai pallidi ricordi, dalle ostinate illusioni dell’infanzia. Quel passato moriva in lei. Un imperioso dovere la chiamava. Doveva recarsi presso all’uomo che era diventato per lei un assassino: che l’aveva tanto amata, ed ora le ispirava, malgrado l’affetto, una paurosa ripugnanza.