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— No. Io non potevo dirglielo. Cercai anzi di allontanare il suo pensiero dalla verità.

— Oh!... Egli a pensò me...

— Credo... sì... Non so bene.

— Vorrei che fosse stato vero! — esclamò Celanzi con impeto. — Ora saremmo uniti, felici...

— Felici?... — ripetè Emma sorpresa.

— Perchè no?... Io almeno sarei felice, ne sono certo.

Ella non replicò. I suoi occhi rivolsero al giovine uno sguardo pieno di tristezza e di rimprovero. Quelle parole, in quel momento, le sembravano fatue, e offensive per lei.

Egli comprese; e avrebbe voluto dirle che s’ingannava, che non intendeva di offenderla, tutt’altro...

Ma il coraggio gli mancò.

Chinò la fronte e tacque lungamente. Oh! come gli parve profonda quella sentenza che «ciascuno ce lo prepariamo da noi il nostro inferno!».

Ora andavano verso Como. Desiderosa di cambiar discorso e di conoscere altri particolari, Emma osservò:

— Non mi ha detto ancora niente della malattia del mio buon padre...

— È una allucinazione. Riconosce tutti, ragiona con perfetta intelligenza; ricorda tutto; ma si crede morto.

— ... Si crede morto?!...