Elementi di economia pubblica/Parte seconda/Capitolo I
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Capitolo I - Degli ostacoli che si oppongono alla perversione dell'agricoltura, e dei mezzi di levarli
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Cap. I. — degli ostacoli che si oppongono alla perfezione dell’agricoltura, e dei mezzi di levarli.
4. Nelle cose tutte nelle quali l’interesse nostro è complicato, non è necessario di far niente altro che di rimovere gli ostacoli, che si oppongono allo sviluppamento di questa forza primitiva dell’animo nostro.
L’interesse comune non è che il risultato degl’interessi particolari, e questi interessi particolari non si oppongono al comune interesse, se non allorchè vi sieno cattive leggi che li rendano contraddittori tra di loro; ma nelle cose verso le quali siamo da una parte spinti dal bisogno, e dall’altra ritenuti dalla fatica e dal dolore, l’uomo divide, per così dire, le sue tendenze ed inclinazioni, cosicchè procuri di combinare la fuga del disagio colla soddisfazione del bisogno.
5. Da questo fenomeno del cuore umano egli è facile il vedere quali siano gli ostacoli che si oppongono ai progressi dell’agricoltura, la più faticosa e dispendiosa delle arti, perchè lo saranno ostacoli tutte quelle combinazioni che aumentano l’incomodità ed il disagio attuale degli alfaticanti; quelle che le impediscono o il frutto o anche solo la speranza del frutto delle fatiche medesime; quelle finalmente, che tendono a diminuire nella mente dell’uomo il timor de’ mali con cui l’inerzia è punita, ed il chiaro concepimento de’ beni con cui l’industria è ricompensata.
Da ciò noi chiaramente vedremo che tutto si riduce ad un solo principio, cioè l’avvilimento del prezzo de’ prodotti, per cui le terre vanno a poco a poco ritornare incolte, e per cui gli uomini si allontanano dispettosamente dall’avvilito aratro per gettarsi nelle più sedentarie e lucrose occupazioni delle città. Dunque gli ostacoli, che andremo ancora piuttosto accennando che minutamente annoverando, sono quasi tutti effetti necessarj e conseguenze più o meno immediate dell’avvilimento della sola e vera ricchezza delle nazioni.
6. Primo ostacolo: diminuisce i progressi della agricoltura l’imperfezione degli stromenti villerecci, quali sono quelli che più facilmente suggeriscono alla mente de’ rozzi coltivatori, non quelli che sarebbero più utili; l’abitudine li conserva con ostinata affezione, e l’inerzia dell’uomo non gli permette di scorrere verso il nuovo, difficile ed insueto, se non è balzato dagli urti dell’imperiosa necessità. Quindi i contadini riterranno eternamente le antiche foggie de’ loro aratri, le pesanti ed anguste forme de’ loro carri, e tutto il resto del rustico loro corredo, se non vengono loro suggerite e messe sotto gli occhi migliori e più comode forme d’istromenti da lavoro. Egli è su questi rispettabili monumenti dell’opulenza degli Stati, che dovrebbe meditare e tentare il sagace meccanico, il quale sappia quanto sia difficile per una parte il riunire la semplicità ed il risparmio de’ mezzi alla prontezza ed estensione delle di lei operazioni, e per l’altra quanto i vantaggi di tali ritrovati si estendano per tutta la durata de’ secoli e delle nazioni.
7. Secondo ostacolo è la poca cura che si ha della classe più laboriosa e più utile alla società, sia per la natura de’ cibi, dell’alloggio, del vestito, come per il frequente abbandono de’ soccorsi più necessarj nelle loro malattie. Un pane ruvido e nero, l’acqua sovente torbida e limacciosa, poco vino acido ed immaturo, alimenti rancidi e nauseosi formano il nutrimento dell’instancabile agricoltore. Lacere e vestite di lordi cenci, nelle angustissime case si costipano le numerose famiglie, o fra l’alito denso e corrotto degli animali si riparano dal freddo. Questo è il destino de’ nostri fratelli; a ciò li condanna una ferrea necessità per nutrire le sdegnose e frivole nostre voglie.
Ma perchè vado io rivolgendomi intorno a queste miserie, se esse sono non una conseguenza necessaria dello stato di coltivatore, ma bensì un effetto della maniera con cui l’agricoltura viene esercitata ne’ luoghi dove se ne avvilisce per ogni verso il prodotto, dove per moltiplicar le ricchezze di segno e di convenzione s’innaridiscono le sorgenti, e si esauriscono le fonti di tutti i beni e comodi della vita?
Io non pretendo di approvare il chimerico progetto di render gli uomini comodi e agiati: questa idea distrugge sè medesima. La fatica di nessuno produrrebbe il disagio di tutti. Ma solamente io pretendo di mostrare come dalla sola sopra indicata sorgente diramino tutte le cagioni che impediscono la perfezione di quest’arte primitiva. L’avvilimento del prezzo de’ prodotti diminuisce il prodotto netto nelle mani de’ proprietarj; questi, avidi delle ricchezze, ed accostumati allo splendore ed alle pretensioni del loro rango, strappano di mano al coltivatore il pane della necessità; rade volte i contadini sono in istato di procacciarsi un avanzo da un debole raccolto, per il quale avanzo non solamente potrebbero soddisfare al bisogno della vita, ma anche rifonderne sulla terra una porzione per ottenere da quella in seguito una più abbondante ricompensa. Le idee sono cangiate su questo punto ad un segno, che è invalso ne’ politici il barbaro assioma, che il contadino quanto più è miserabile ed oppresso, tanto più industriosamente ed indefessamente lavora: tanto è vero che gli uomini confondono le idee più chiare e luminose, solo che l’interesse lo consigli. Altre sono le risorse della necessità, ed altri gli effetti della proprietà. Gli uomini vogliono vivere in qualunque modo; egli è chiaro adunque che dal mezzo dell’oppressione l’industria eserciterà i maggiori suoi sforzi; ma egli è chiaro ancora che gli effetti saranno lenti e stentati, e non paragonabili con quelli che sono prodotti dal coraggio e della speranza d’una prosperità che va sempre crescendo.
Questa parte sostenitrice delle nazioni è abbandonata spesse volte alla miseria, al languore delle malattie ed all’incomodo trasporto negli spedali, lungi dalla minuta e tenera assistenza delle care famiglie, sotto la dura e negligente tutela d’uomini indifferenti ed incalliti fra le sofferenze de’ miserabili. È ciò un aiuto per la perfezione della medicina ed anche un illustre monumento della vera pubblica beneficenza, ma non il migliore soccorso contro i morbi e la mortalità. Vorrei che più davvicino ai loro alberghi, o in questi medesimi, fossero alleviati dai loro malori; io credo che dall’una parte vi guadagnerebbero i miserabili, e dall’altra l’erario pubblico, col risparmio di molti salarj e di molti disordini che nell’avvicinamento delle grandi ricchezze sono inevitabili, e col vantaggio di spandere in tutto lo Stato i monumenti e gli esempj della pubblica beneficenza.
Vorrei ancora, col voto comune de’ più illuminati politici, che quella classe rispettabile che è destinata alla sacra istruzione della religione, cioè i pastori e parrochi che vegliano per il bene comune delle anime, estendessero ancora le loro mire e i loro lumi al di là d’una teologia sempre rispettabile, ma sovente inutile fra l’uniforme e semplice maniera di vivere degl’ignoranti contadini, e che ad una spesso bizzarra e tortuosa casuistica sostituissero i lumi dell’agricoltura e della medicina. Non mancano certamente in questo venerabile ceto persone capaci di adempire così salutari oggetti; ma l’educazione ricevuta, le prevenzioni dello stato, il non esigersi tai lumi da loro come condizioni essenziali al loro ministero, ne renderanno sempre troppo scarso il numero.
8. Terzo ostacolo è la mancanza d’istruzione nelle persone medesime che vivono alla campagna. Esse non debbono ammollire le rigide membra sui sedentari studj, nè debbono correre una carriera che loro renderebbe abituale la noia, e farebbe loro disertare l’arte fondamentale della società; ma non perciò debbono essere condannati ad una totale ignoranza che non dà loro i mezzi di conoscere il proprio stato e tutte le di lui risorse, onde non sanno trovare altro rimedio, per garantirsi dai mali che li circondano, che a spese del giusto e dell’onesto. Il leggere, lo scrivere, i conti, gli elementi metodici, semplici e chiari della loro professione, una morale dolce ed insinuante, dovrebbero formare l’unica loro erudizione e tutta la loro sapienza; la quale però basterebbe a dare un ordine alle loro idee, e a renderli più docili ai progressi dell’agricoltura, e più sagaci indagatori dei proprj vantaggi, mentre che imparerebbero di più a calcolare gl’inconvenienti e i mali inevitabili, a cui le cattive azioni sono condannate, e la di cui ignoranza è forse la più frequente cagione dei delitti dell’ultima classe degli uomini.
9. Quarto ostacolo è la difficoltà de’ trasporti, i quali arenano le derrate e ne aumentano il prezzo, senza che l’aumento di questo prezzo cada in vantaggio della parte industriosa e produttrice. Le strade degli Stati sono come i canali dove scorrono i fluidi nei corpi viventi; e come non basta che questi siano sicuri e liberi da ogni intoppo, ma i minimi ed invisibili canali debbono essere aperti e facili allo scorrere del fluido animatore, così ne’ corpi politici non solamente debbono essere sode e durevoli le strade che conducono alle superbe città l’instancabile viaggiatore, ma quelle ancora che servono a tutta l’interna distribuzione delle cose contrattabili in tutte le diverse parti di una provincia. L’aver cura solamente delle così dette strade maestre, ed il negligentare le strade di traverso, le quali sono quelle che più delle altre servono al trasporto di tutte le cose per tutto l’interno, è la più grande, ma non perciò la meno frequente incoerenza politica. Quali siano i principj onde le strade siano meglio mantenute, si vedrà dove tratteremo dell’interna polizia; solo qui giova riflettere: 1° che l’esperienza e la ragione ci provano che la sola riattazione e stabile manutenzione delle strade aumenta l’agricoltura, perchè rende più facile il commercio delle derrate, meno caro rendendosi il loro trasporto. L’aumento del prezzo, se è in vantaggio del prodotto o sia del venditore di quello, aumenta il comodo dell’agricoltore; questi aumenta le arti inferiori, e così successivamente; allora un tale aumento suppone uno smercio maggiore della derrata, e perciò un maggiore alimento alle arti che la rappresentano. Ma se l’aumento del prezzo è in grazia della difficoltà del trasporto, allora crescono le spese intermedie fra il venditore e il compratore; in conseguenza di ciò il prezzo dei prodotti essendo stabilito dalla generale concorrenza, l’aumento del prezzo non è solamente dannoso al compratore, ma al venditore ancora, perchè egli deve sottrarre dalla vendita de’ prodotti queste spese che non tornano in vantaggio della riproduzione, ma solamente de’ trasportatori. Il limite dell’aumento del prezzo per cagione del maggior esito di un prodotto, è fissato dalla concorrenza generale, cioè dal prezzo de’ generi delle altre nazioni con cui si è in commercio. Il limite dell’aumento del prezzo per cagione della difficoltà del trasporto, non è fissato se non dalla perdita in grazie della coltura, cioè allora quando le spese divengano maggiori del prodotto netto. Rifletteremo, in secondo luogo, essere opinione di tutti gli scrittori di economia che i trasporti per acqua siano di gran lunga preferibili ai trasporti per terra. Calcolano essi il trasporto per acqua essere un quinto del trasporto per terra; vale a dire che se una nazione trasportasse quattro volte più lontano di un’altra per acqua quelle stesse merci che la seconda deve portare una sol volta per terra, avrebbe ciò non ostante la preferenza: noi esamineremo altrove le prove di questo calcolo. Si rifletta, in terzo luogo, che anche gli antichi Romani, sia ne’ tempi della repubblica, sia ne’ tempi della monarchia, hanno sempre mai adoperate le truppe loro vittoriose a fare ed a mantenere le strade, delle quali, per i vestigi che da tanto tempo in tanta rivoluzione di cose ancora ci restano, ne conosciamo la solidità e la durevolezza. Pretendevano essi con ciò di tenere occupati i soldati in tempo di pace, e farli vivere più sani nell’aria aperta e più robusti col continuo esercizio, e di convertire in un utile continuo, le continue spese che si fanno pel mantenimento di quelli. Siccome alcuni scrittori hanno creduto di poter applicare ai tempi presenti questo ramo della romana polizia, così ho trovato conveniente di farne qui qualche cenno.
10. Quinto ostacolo è l’essere ristrette le terre dello Stato in troppo poche mani. A misura che cresce la ricchezza nell’uomo, manca in lui lo spirito e lo stimolo necessario del dolore e del bisogno che lo porta ad agire. La torpida idea della sicurezza diminuisce l’irritamento interno della speranza d’un futuro vantaggio. Egli è vero che le terre ancora che sono troppo divise non formano un minore ostacolo all’agricoltura, perchè le terre divise in un troppo numero di persone escludono quelle grandiose spese, delle quali solamente l’agricoltura riconosce il suo maggiore ingrandimento. Le terre troppo divise non possono essere coltivate che col moltiplicare le braccia degli uomini, le quali costano al proprietario molto di più che non gli animali, onde divengono maggiori le spese in proporzione del prodotto netto. All’opposto, le terre troppo unite presso pochi proprietarj sono ordinariamente negligentate, e quella ricchezza che dovrebbe essere costantemente consecrata alla terra per conservarne la riproduzione, è dai proprietarj medesimi rivolta a soddisfare i capricci del lusso e i bisogni d’opinione, i quali crescono in proporzione della disuguaglianza de’ beni. Ma in questo proposito è rimarcabile la differenza tra quella che chiamasi grande coltura, e quella che chiamasi piccola coltura; perchè la prima essendo la coltura intrapresa dai ricchi fittabili che portano sulla terra un nuovo capitale, e tutte lo loro scorte pagando il proprietario in contanti, e disponendo del prodotto a loro beneplacito, la negligenza de’ grossi proprietarj non influisce sulla coltura medesima: mentre i grossi proprietarj delle terre messe a piccola coltura, cioè dove il proprietario appigiona piccole porzioni di terra dividendo il prodotto, e somministrando la maggior parte delle scorte necessarie al coltivatore, se mai tolgono alla terra il necessario mantenimento, la loro negligenza influisce moltissimo sulla coltura. Ma la gran coltura non può introdursi in uno Stato, se non dove il prodotto sia posto in un più libero commercio, e non salga per conseguenza ad un più alto e più costante vaolre; quindi la piccola coltura è necessariamente l’unica risorsa della coltivazione, dove i prodotti siano vincolati, e per conseguenza al di sotto del vero valore, cioè di quello che è fissato dalla generale concorrenza. Dunque, noi troveremo che il necessario compenso alla necessaria disuguale distribuzione delle terre sta nell’alto valore dei generi; dunque quest’ostacolo medesimo dipende anch’esso dalla cagione universale da noi sopra indicata. Allora il limite della divisione delle terre si porrebbe da sè stesso, perchè introducendosi la gran coltura, le terre troppo estese si dividerebbero in più ferme, perchè l’esperienza ed il calcolo, sempre facile dove il valore è costante ed uniforme, insegnerebbe a fare questa divisione; e le terre troppo divise, per esempio, in grazia della successione delle famiglie, sarebbero riunite in una ferma sola, o sarebbero vendute a chi le riunirebbe: perciò sarebbe divisa la proprietà, ma non la coltura.
Dalle cose qui sopra accennate potrà ognuno vedere quale sia l’importanza che le terre non dimorino legate perpetuamente sotto i vincoli fidecommissarj presso le immortali mani-morte, per cui si sottraggono dalla circolazione e dalla speranza dell’industrioso, se non tutte le ricchezze, almeno la sorgente di quelle; per cui alcune generazioni e classi sembrano perpetuamente privilegiate, ed altre condannate; per cui le prime acquistano senza giammai perdere, e perciò condensano in sè medesime tutta la libertà e l’indipendenza politica, seguace mai sempre nel fatto della proprietà. Quando le terre, per le circostanze varie e notabili delle famiglie, vengono ad essere coltivate in modo che vada sempre diminuendosi il prodotto netto di quelle, non v’ha dubbio che sarebbe utile che tali terre potessero essere vendute a chi fosse in grado di rifondere sopra esse un nuovo capitale di ricchezze, per ritornarle al primo stato di florida riproduzione. Dunque la libertà delle terre tiene alla prosperità della coltivazione; dunque tiene ancora a ciò che forma la base di tutta l’economia d’uno Stato; dunque l’abuso dei fedecommessi introdotto in gran pate dall’antica aristocrazia feudale, benchè l’origine si debba riconoscere dall’antica romana giurisprudenza, per quanti vantaggi possa attribuirsi (come la perpetuità del nome e del lustro d’alcune famiglie), avrà sempre un inconveniente fisico ed essenziale, il quale è quello d’opporsi ai maggiori progressi della coltura. Rispetto poi ai possedimenti grandiosi delle mani-morte, dopo tante eccellenti opere scritte sopra d’un oggetto sì delicato ed importante, è superfluo il farne qui parola.
11. Sesto ostacolo è la mancanza di circolazione interna dei prodotti dell’agricoltura. Quando le derrate sono troppo avvilite di prezzo, cioè quando cedono al disotto del livello della generale concorrenza, le fatiche non trovano il loro compenso per le spese, non ricavando il loro congruo interesse, e l’agricoltore trascura un travaglio per lui soverchio ed inutile, e sovente ancora dannoso. Se dunque da’ regolamenti soverchiamente paurosi è fissata la derrata nel luogo della sua produzione, l’abbondanza di quella nuoce a sè medesima, e divenuta di poco valore non compensa le fatiche del suo coltivatore. L’uso degli Olandesi d’abbruciare una gran parte degli aromi che esclusivamente raccolgono dall’isola di Ceylan, per non avvilire il valore di quelli, sott’altre apparenze viene imitato in molti luoghi che la natura aveva destinati ad alimentare le più lontane nazioni. Dunque la riproduzione della derrata, la di cui circolazione sia impedita, va cessando a poco a poco, e la superstizione dell’abbondanza produce la desolante sterilità. Se in altro luogo la derrata è troppo scarsa, quella incaglia i compratori, e le arti da quella dipendenti restano sospese ed immobili. È dunque necessario che nei diversi punti dello Stato le abbondanze si compensino colle scarsezze, e mettansi le une colle altre al dovuto livello. Ne’ paesi dove dello Stato, che tutto deve essere aperto alla più libera interiore comunicazione, si pretende fare un’unione di parti isolate ed indipendenti, tutto languirebbe, se l’infrazione sempre infallibile delle cattive leggi non rimediasse in parte al disordine.
12. Settimo ostacolo alla perfezione dell’agricoltura è l’ultima depressione in cui questo Stato è decaduto. L’onore che si deve alle diverse professioni è in verità dovuto, non solo in proporzione della più grande utilità delle medesime, ma ancora in proporzione dell’utilità combinata colle più o men grandi difficoltà. Saranno dunque preferite quelle professioni, le quali contengono in sè una prova di coraggio o la rara dimostrazione di sagacità e di talenti, all’agricoltura, la quale, quantunque laboriosa, non contiene alcun rischio e non esige studio e combinazione. Ciò nonostante, io non vedo perchè l’agricoltore, che un tardo compenso d’un assiduo travaglio relega nell’oscurità innocente della campagna, meriti di esser condannato in una perpetua dimenticanza, e perchè i suoi sentimenti non possano essere elevati dall’eccitamento lusinghiero della pubblica approvazione. Perchè il più laborioso fra gli agricoltori di un villaggio non potrebbe ottenere un qualche segno di distinzione, che facendolo osservare tra’ suoi eguali eccitasse in quelli l’emulazione, ed in lui la speranza d’uno stato più felice? L’ambizione serpeggia nelle più umili condizioni, quanto ella trionfa nelle più alte; l’infimo sdegna altrettanto i grandi, quanto più li grandi sdegnano gl’infimi; ma ognuno vuol grandeggiare tra’ suoi eguali, perchè questi entrano nell’atmosfera de’ suoi piaceri, e corrono sulle medesime tracce verso la felicità. Un piccolo ornamento sulle abbronzite carni dell’affaticato agricoltore, i rustici omaggi de’ suoi simili lo rendono altrettanto soddisfatto e fiero di sè stesso, con quanta pompa di piacere e di giubilo torna fra’ suoi simili onorato d’uno sguardo e d’un nastro l’assiduo cortigiano. Ma lasciando queste idee, che possono sembrare a taluni troppo strane, perchè inusitate, basterà quasi nelle occasioni per rendere l’onor dovuto a questa fondamental professione l’imparziale premura, per chi è incaricato della pubblica tutela, di sottrarre l’umile agricoltore dal calpestío del prepotente, e di munire collo scudo impenetrabile delle leggi il pane frugale, che l’ozio e l’indolenza rapir vorrebbe dall’umile dimora dell’industria alimentatrice.
13. Ottavo ostacolo ai progressi dell’agricoltura fu da quasi tutti gli economisti trovata la proibizione del commercio esterno delle derrate di prima necessità: grande, importante, delicato argomento, del quale parleremo ben presto.
14. Nono ostacolo ai progressi dell’agricoltura sarebbe l’eccesso del tributo, o il non esservene punto. L’eccesso, perchè il lavoro degli uomini non essendo giammai gratuito, quando il tributo eccedesse il totale del prodotto del travaglio della terra, o semplicemente non lasciasse in mano del proprietario alcun prodotto netto al di là delle spese della coltivazione, la terra andrebbe a poco a poco a divenire incolta. Per un’opposta ragione, senza tributi o questi essendo troppo scarsi, non vi potrebbero essere spese pubbliche, non vi sarebbe la necessaria sicurezza della proprietà, nè la facilità del commercio, nè il riattamento delle strade, nè l’utilissimo mantenimento de’ trasporti per acqua: ma di questa materia la più interessante e la più esposta ai queruli pregiudizj ne parleremo nel trattato delle finanze.