Edizione completa degli scritti di Agricoltura, Arti e Commercio/Lettera II
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LETTERA II.
Chi potrebbe, illustrissimi Signori, dubitare, che Aristotele, uomo di tanta dottrina, quant’ognun sa, e che avea da Alessandro avuti ottocento talenti1 per iscrivere la storia degli animali, non avesse volulo esattamente informarsi del baco da seta, tanto mirabile, famoso, ed utile al commercio? Massime poi che poteva averlo veduto, ed avere esaminato i lavori di esso; come quegli, che fece i suoi studj, ed esercitò la farmacia; e poi aperse la sua celebrata scuola in Atene, lontana da Coo solamente 220 miglia, e s’era trattenuto in Mitilene ancor più vicina. Per la qual cosa io non saprei indurmi ad affermare, che favola o sogno sia quello, ch’egli ci lasciò nella descrizione del vermicello di Coo, perchè non si confà al nostro baco da seta; ma dirò piutosto, che quivi quell’animaletto si ritrovasse alquanto dal nostro diverso, e che da esso pure una specie di seta si traesse; stimolandomi anche il fatto a prestargli fede.
Esaminiamo però la molta diversità dei bachi, che fili producono, i quali potrebbero col nome di seta chiamarsi. Dico, che in alberi, in frondi, in corteccie d’ogni sorta, in selve, in siepi, in orti trovansi non solamente varie qualità di bruchi di tal genere, ma appiccati alle pareti, ne’ buchi della terra intanati, in certe pallottoline di loto rinvolti; quali alle muraglie e quali alle finestre, ed agli uscj delle case attaccati; e appunto de’ fili di questi, ma de’ maggiori, pare e vuole alcuno di certo, che credesse Plinio, essere stata lavorata la veste Assiria; quantunque di altra credenza sia Ottavio Ferrari nel luogo soprallegato.
Io medesimo in cotesta mia casa di Udine ritrovai tempo fa un gruppo di 25 bozzoli lavorati sull’intonaco di calce increspanta sulla muraglia, grandi, quanto è un granellino, di frumento, nella figura, a comuni bozzoli somiglianti, e nel colore ancora ch’era un lucidissimo giallo dorato: indi a pochi giorni gli vidi tutti forati e rotti; nè saprei dire quel che avvenisse degl’insetti che gli avean lavorati. Non potrebbe dirsi, che questi fossero i bozzoli de’ popoli di Liliput dallo Swift descritti?
Lasciò scritto il Redi2, che avendo egli uccisa una vipera, e quella in una scatola rinchiusa, per farne certe sue sperienze, ritrovò indi ad alquanti giorni circa 80 bachi che si pascevano di quelle carni. Continuò pel corso di altri dodici di ad alimentarli di carni viperine, ed essi crebbero fino al peso di sei a sette grani, in figura non molto dissimile da’ comuni vermicelli da seta; se non che più lucidi erano, e più trasparenti. Altri dodici giorni dopo abbandonarono il mangiare, e raggrinzatisi a poco a poco in sè medesimi, ed indurita l’esterna spoglia, divennero appunto, come dentro al bozzolo stanno i bachi da seta, ed erano di color dorato, che a poco a poco diventò bigio oscuro, poi nero, fino a tanto che dopo alquanti giorni forando il guscio comparirono fuori con grandi ale, in figura di grossi mosconi. Osserva ancora il detto Redi, che da tutti que’ bruchi, che negli orti rodono la verdura, quasi tante uova semoventi, ne nascono farfalle, grilli, ed altri bachi alati; e la tignuola medesima si fabbrica la prima veste di seta da sè filata, sopra la quale poi lavora con maraviglioso artificio quella della lana3.
Sappiamo altresì4 che la China, oltre alla seta comune, un’altra qualità nella provincia di Canton ne raccoglie, ch’è quasi una specie di selvatica seta, lavorata per le selve da’ bachi; ma questa è di grigio colore, e senza alcun lustro: onde que’ drappi che con essa si fanno, sembrano tela, e ciò che diciamo Droghetto ordinario: i quali più del raso stimati, durano gran tempo, quantunque molto battuti, e come tela si lavano; affermando alcuni, che non solamente non li guastan le macchie, ma che neppure l’olio ricevono.
Fra tutti però que’ diversi animaletti che fanno seta, dopo il vermicello, che comunemente ad uso degli uomini la produce, nessuno ha più de’ ragni avuto fama infino ad ora. Nè certamente, cred’io, vi sarà discaro, Illustrissimi Signori, ch’io v’intrattenga colla loro curiosa e piacevole istoria.
5Furono i ragni tenuti in ogni tempo, e stimati insetti pericolosi e molesti, e perciò sempre odiati e perseguitati, ma una nuova invenzione del sig. Bon Accademico della Società Reale delle Scienze di Monpelieri eccitò l’universale attenzione verso quel tanto abbominato animaletlo. Vedutone esso signor Bon molte belle e singolari prove, venne in isperanza di poterne trarre notabile utilità; ed osservando ch’essi non altrimenti filano che i vermi da seta, si lusingò di potere con questa nuova seta fare de’ nuovi e nobili lavori. Quindi presentatosi all’accademia delle scienze, le squadrò innanzi le fatte sperienze, e per prova le offerse calzette e guanti lavorati, mercè lo studio e la diligenza di lui, della novella seta tratta da’ ragnateli. Vide queste manifatture l’accademia con quel diletto, che recar sogliono i fatti curiosi ed utili, principalmente in un regno, in cui quasi tutti gli studj mirano al fine della pubblica utilità; e ricordatasi quella dotta adunanza del suo costume di vegliar sempre al bene comune in qualsivoglia occasione, non lasciò senza esame una scoperta di tale importanza, o per trarne quel maggior frutto che si potesse, o perchè noto fosse almeno, che non trascurava cosa veruna creduta vantaggiosa. Abbastanza era a lei nota la sorte de’ vermicelli da seta, i quali anche dopo conosciuti, non aveano alla Francia recato verun utile per molti secoli; e non volendo che somigliante disgrazia a’ ragnateli accadesse, giudicò essere a proposito di dar commissione a due de’ suoi accademici, de’ quali uno fu il celebratissimo sig. Reaumur, onde essi l’ingegnosa scoperta del sig. Bon prendessero ad esaminare attentamente.
Si diedero essi dunque a fare sottilissimo esame intorno al segreto di alimentare, ed allevare i ragnateli; e ritrovato questo, a bilanciare se il prezzo della novella seta sarebbe eguale a quello dell’altra, ed in caso che fosse più caro, qual altro vantaggio potesse compensar tale scapito.
Quindi fatta riflessione prima d’ogni cosa a quella caccia che fanno i ragnateli delle mosche, compresero essere per una parte difficile ritrovare il modo di prendere tante mosche, quante bastassero a nodrire quella quantità di ragnateli, che al bisogno de’ lavori occorresse; e per l’altra si avvidero, che quante mosche ha il regno di Francia appena sarebbero state sufficienti ad alimentarne tanti, da raccogliere una piccola quantità di seta. Per la qual cosa datisi a nodrirli con foglie, con frutta, e con fiori, non videro del loro pensamento altro che una vana, ed inutil riuscita.
Avendo tuttavia que’ sagaci investigatori osservato, che non le sole mosche erano la preda avidamente ricercata da’ ragnateli; ma che anche altri insetti, come millepiedi, bruchi e farfalle nelle loro reti, cogliendo saporitamente mangiavano, cercavano altri insetti, che in copia potessero somministrare a’ ragnateli alimento. Più degli altri atti al formato disegno parvero loro que’ vermicelli che ne’ giardini, e ne’ campi abbondantissimi sono; nè li ritrasse da tal pensiero il non averne mai ritrovato alcuno nelle buche, o nelle tele de’ ragni; riflettendo, che si fatti rettili per la loro forza e peso non potevano essere da quelle fragili cordicine sostenuti, né da’ ragni nelle lor buche trasportati. Il signor Reaumur instancabile, e costante nelle sue sperienze ed osservazioni, volendo pure andar oltre, mantenne in vita con tal cibo molti ragnateli in diverse scattole rinchiusi; alcuni de’ quali i loro bozzoli fabbricarono. Vedendo egli però, che più copioso cibo lor bisognava, tentò di nodricarli con altre qualità di alimenti; ma non volendo essi mai assaggiarne, argomentò, che l’indole feroce di quell’animaletto voleva essere eccitata da animali viventi.
S’immaginò per tanto un altro nodrimento più studiato e squisito, che gli parve avere analogia colla carne molle e tenera degl’insetti; e fu quella sostanza che riempie le piume de’ teneri uccelli. Osservando dunque, ch’esse piume divelte da’ teneri uccelli sono nell’estremità sanguigne; molte di queste, e di quelle de’ giovani colombi ne prese, e fattone minuti pezzetti, ritrovò, che piacevano a’ ragnateli grandemente, e che i più giovani n’erano i più ghiotti. Succedeva prosperamente ogni cosa a’ ragnateli, che avevano con tanta felicità cambiato condizione, ed erano di copioso e lauto cibo da’ pasticcieri provveduti: se non che in breve andarono perdute tutte le speranze del Reaumur, quando si trattò di accrescere la famiglia de’ ragnateli, che s’intricavano, e l’uno coll’altro sturbavansi il lavoro. Egli tuttavia con quella mirabile sua pazienza, qua e colà in varie scattole li distribuì e divise, somministrando loro con somma industria di che alimentarsi: e sarebbe la sua diligenza giunta al termine, se tutto non fosse stato renduto vano dall’insuperabile fierezza di quell’animaluccio fastidioso e collerico. Imperciocchè i più grossi e gagliardi, lasciato indietro ogni altro cibo, che loro era posto innanzi, più saporiti trovarono i men grossi, e i più deboli; a tal che mangiando i compagni, avvenne che di trecento e cinquanta, che in ogni scattola avea riposti, passato qualche tempo, uno appena, o due in ogni scattola ne rimase.
Osservando egli, che due ragni grossi insieme incontrandosi venivano a zuffa, si lusingò, allevandoli insieme, di accostumarli alla società, e ad essere buoni compagni; ma da questo pensiero gli convenne anche distogliersi, per essere a tale opera necessarie infinite cellette, e per l’incomparabile disagio di distribuire a tutti l’alimento. Oltre di che qual mezzo rimaneva per moltiplicarli? O chi poteva conoscere il tempo, in cui stimolati sono da naturale instinto a propagare la propria specie? Quella dolce fermentazione leva loro la naturale fierezza, e quel solo è il tempo, in cui si potrebbero unire senza risico.
Maravigliosa, secondo anche le osservazioni del signor Bon, è la fecondità de’ ragnateli; ma essendo anche fecondissimi i bachi da seta, certo per questo capo non poteva attendersi sentenza favorevole a’ ragnateli, potendo noi moltiplicare a nostro piacere le uova de’ bachi da seta, per modo da poterne col giro di pochi anni provvedere un nuovo mondo.
Ebbero dunque per questa parte i nostri consueti bachi la sentenza in lor favore, trovandosi una facilità grande nell’allevarli, laddove con gli altri riusciva difficilissima impresa: nè altro poteva indurre a non curare tante difficoltà fuorchè la speranza di qualche vantaggio della novella seta sopra l’antica, e la lusinga che più la seconda, che la prima valesse per la sua quantità, o forza, o bellezza: le quali cose servirono di argomento ad un secondo esame.
Non tutti i ragnateli producono seta da potersene far lavoro; e quelli che sì fatta seta ci danno, la filano solamente, per formare que’ bozzoli, ne’ quali avviluppano le uova. Di cosi fina seta sono que’ fili, onde compongono le tele, e i lacci da cogliere gl’insetti, che non hanno resistenza veruna, ed inutili sono ad ogni opera. Per la qual cosa il vigilantissimo Reaumur sottilmente esaminò le specie diverse de’ ragnateli, e quelle varie forme, in cui sono i bozzoli composti, per raccogliere, da che si potesse più utilmente cavare la seta novella. Ma non essendo questo il luogo da riferire le lunghe pruove, e le minute esaminazioni fatte da lui, potrà ricorrere il lettore, quand’egli voglia appagarsi, alla storia da me di sopra allegata; dove se altro non ritrovasse, potrebbe almeno aver occasione di ammirar l’instancabile sofferenza di cotesto grande uomo; ed apprendere, quanto possa fare uno, a cui sta a cuore il bene della patria, senza curare il proprio privato interesse. Basterà dunque, ch’io qui ricordi le sue più importanti sperienze ed osservazioni.
Hanno i ragnateli vicino all’ano diverse mammelle, che servono di trafile, e in esse quel liquore si ferma, che uscito poi da dette trafile, e condensato, seta dee diventare. Quelli che più atti a ciò sono, e più fruttiferi nel darci tal seta, hanno sei di queste poppelline: quattro, agli occhi di chi le guarda, palesi ed aperte, ed altre due, le quali senza il soccorso della lente non possono ravvisarsi. Ciascheduna delle palesi è composta di altre poppelline, o vogliam dire insensibili trafile, da ciascheduna delle quali veggonsi uscire separati essi fili, di tanta sottigliezza, che riesce impossibile il poterli numerare. Ma pure vedendosi, che sette o otto fili escono per ciascuna delle sopraddette poppelline, si comprende che più o men grosse a beneplacito loro possono i ragnatelli compor quelle fila.
Dimostrò la sperienza, che di sì fatti filamenti usciti dalle dette poppelline, per formar il filo, onde si compone il bozzolo dai ragnateli, ve n’entrano diciotto volte più, che nel filo, onde intessono le reti, o le tele, quando la quantità de’ filamenti; che quello e queste compongono, è proporzionato alla forza loro. Appiccatosi un peso di due grani ad un filo della tela, esso il sostiene senza rompersi, ma se un altro grano vi si aggiunge nol regge: laddove il filo del bozzolo sino a trentasei grani comporta, ma dovendo sostenere maggiore peso si rompe.
Niente di manco se i fili de’ bozzoli dei ragnateli superano in forza quei delle lor tele, sono però più deboli di quelli de’ bozzoli del nostro vermicello da seta; essendovi la diversità che passa da uno a cinque. Perocchè supposto, che un filo di seta del ragnatelo comporti il peso di un’oncia, quello della seta del nostro baco sarà atto a sostenerne cinque; ed ecco il primo vantaggio che ha sopra la novella seta la seta antica. Leggonsi poi nella storia medesima tutte quelle ragioni, per le quali l’antica seta, e i lavori con essa fatti, riusciranno sempre più lucidi e vistosi degli altri; posto ancora, che coll’unione de’ fili si potesse l’una e l’altra seta ridurre ad ugual forza e grossezza.
Finalmente venendo al punto più essenziale ed importante, cioè ad un confronto preciso della quantità di seta, che in ciascun anno può ciascun ragnatelo produrre, con quella che da’ consueti vermicelli si tragge, i computi del sopra lodato esaminatore son questi:
Uno de’ più forti, e sodi bozzoli del vermicello da seta pesa 4 grani, tre uno de’ più deboli, onde da 3304 bachi si tragge una libbra da oncie 16 di seta.
Non pesano i bozzoli del ragnatelo più che un grano l’uno; sicchè 4 insieme (e de’ più grossi s’intenda) saranno sufficienti ad uguagliare il peso di quello del consueto baco. Ma dovendo sì i bozzoli dell’uno, come dell’altro animale, in tal modo contrappesati, essere vuoti di dentro della bestiuolina che vi si era infoderata, ne segue, che quelli del ragnatelo hanno uno scapito, da cui vanno gli altri esenti. Imperciocchè in quelli del ragnatelo tutti i gusci delle uova formansi, che inviluppano i loro parti, prima che nascano, ed altre sozzure colla seta mescolate. Di qua avviene, che, facendo ragione di questo scapito, egli si dee battere più di due terzi d’inutilità dal buon peso; poichè il sig. Bon da tredici oncie di seta succida quattr’oncie di netta ne trasse. Per la qual cosa, se un bozzolo sporco del ragnatelo ha la quarta parte del peso di uno del baco da seta, ne consegue di necessità, che nettato sia solamente la duodecima parte, ed occorreranno 12 de’ più grossi ragni per dar tanta seta, quanta ne dà un baco solo.
Secondo il parere di que’ naturalisti, che sono stati prima del sig. Bon, distinguendosi i ragnateli in maschi ed in femmine, queste sole formano i bozzoli: e siccome ciascun vermicello da seta fa il suo, per trasformarsi in farfalla; cosi lo fa tra’ ragnateli la sola femmina, per inviluppare le sue uova. Quindi ne segue, che nutrendosi tanto i maschi, come le femmine, ventiquattro grossi ragni non daranno maggior quantità di seta che un verme; e cinquantacinque mila dugento novanta sei ragnateli abbisogneranno, de’ più grossi, per avere una sola libbra di seta; dopo di avere dovuto alimentarli separatamente per molti mesi, dubitando sempre, che le spese ascendano il valore della seta, e costi essa 24 volte più che quella de’ vermicelli. Fatto poscia un altro computo intorno a’ quei ragnateli, che comunemente si trovano pe’ giardini, e che sembrano grossi molto, ritrovò, che dodici di essi abbisognano per trarne quella quantità di seta, che da un solo bozzolo del baco si caverebbe; nè centottanta ragni darebbero quel peso, che dà un solo vermicello: per modo che seicento sessantatre mila cinquecento cinquanta due ragni appena darebbero una libbra di seta. Per tutto ciò venne dunque con pienissimi voti a darsi la sentenza a favore del consueto baco da seta; e per addolcire il rincrescimento che apportò il vedersi tolta via ogni speranza di profitto in cotanto ingegnosa scoperta, fu detto, che quantunque i bachi di oggidì cotanto abbondino ne’ paesi meridionali di Europa sono tuttavia originarj di paese lontanissimo da noi, e che non altrimenti potrebbe darsi, che si trovassero de’ ragni, i quali dessero più seta de’ nostri; non senza speranza, che ce li somministrasse l’America, dove affermavano i viaggiatori, trovarsene di molto più grossi, che i nostrali, e poter quelli ancora in Europa vivere, e propagarsi, come hanno fatto i bachi da seta della China. Che che ne sia, conchiudono gli Accademici, che la sola via di scoprire le cose curiose ed utili è l’esperienza. Riverendole ossequiosamente passo a segnarmi.