Demetrio Pianelli/Parte seconda/VII

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VII.


Anche Arabella in mezzo alle scosse della sua casa usciva quasi trasfigurata. Non più bambina oramai, perchè aveva già troppo sofferto, e non abbastanza donna perchè non aveva ancora sofferto abbastanza, la sua figura pareva diventata più grande nella malinconia, gli occhi chiari si riempivano ogni momento di pensieri, una piccola ruga guizzava spesso nell’infossatura dei sopraccigli e la meschina era sempre in sospensione, in attesa, in paura o di qualche nuova disgrazia, o di una baruffa, o di un brutto incontro.

Il piangere, senza lasciarsi scorgere, il mangiare poco e male fingendo d’averne abbastanza, il dormire affannoso, e quando non dormiva, quel continuo rotolare nel letto, quel sobbalzare improvviso a un improvviso abbaiamento.... Quante volte le pareva di udire la voce di Giovedì lamentarsi sulla scala! e insieme un’altra voce d’uomo che cerca la carità, che si raccomanda! [p. 192 modifica]

Per quanto lo zio Demetrio avesse cercato di attenuare la triste impressione del fatto, velando e negando molti particolari, pure essa non aveva più dubbio che il suo babbo si era ucciso lassù in quell’orrido solaio, tra quelle travi nere sotto il tetto, dietro quell’uscio massiccio che il vento scoteva spesso la notte, riempiendo la casa di terrore. Nel buio essa non vedeva che quell’apertura nera spalancata davanti come una tetra voragine, piena di ragnatele e di sordidezze nefande: e guai se sfinita di forze si addormentava nella lugubre immagine di quelle travi incrocicchiate! Un grido la faceva trasalire; balzava sul letto al suo stesso grido, colla fronte in sudore, col cuore in frantumi, stava a sentire, le pareva che qualcuno passeggiasse leggermente per la stanza, girando intorno al letto, rimestando nei cantucci, inquieto, bisognoso di qualche cosa, finchè una voce sommessa, o, per dir meglio, un fiato d’anima errabonda le traversava il corpicciuolo, lasciandovi i brividi della morte.

Se ella avesse potuto dare tutto il suo sangue per arrestare quell’anima in pena, per far tacere quella voce che, sibilando, le parlava di cose incomprensibili nel buco delle orecchie, non avrebbe esitato un minuto.

Aspettava con ansietà il giorno della sua prima comunione. Forse Dio in quel dì [p. 193 modifica]avrebbe avuto pietà di lei, avrebbe ascoltato i suoi voti. Se fosse stata più grande, avrebbe voluto rinunciare subito alle cose del mondo, farsi tagliare i capelli — quella bellezza di capelli — , vestirsi di nero, andare negli ospedali, nelle missioni, dovunque insomma si può fare del bene, non per sè, ma per dare un sollievo a quell’anima vagabonda, che non trovava requie. A furia di pensarci, fu essa che persuase zio Demetrio a pagare il debito verso il Martini e a rivolgersi per questo al signor Paolino delle Cascine. Col tempo avrebbe pagato col suo lavoro quel debito. E quasi subito le parve che la povera anima fosse più sollevata. Forse ella aveva indovinato ciò che andava da lungo tempo sussurrando e se ne consolò; a poco a poco imparò ad ascoltarla e le parve di capire un’altra volta che aveva bisogno di una messa. Così si abituò ad averne meno paura. Un prete le aveva detto che un atto di pentimento sincero in extremis può salvare l’anima del più feroce assassino, e che le buone opere dei vivi sono tante leve per i poveri morti. Dunque c’era speranza che l’anima del suo papà potesse salvarsi: per lui essa offriva a Dio il bene, che avrebbe potuto fare e godere quaggiù.

Una domenica, coi denari prestati dal [p. 194 modifica]signor Paolino, si presentò insieme allo zio all’uscio del Martini, che abitava una modesta casa in via Larga. Strada facendo, mentre si attaccava al braccio dello zio, non si scompagnò mai da quello spirito che l’immaginazione eccitata e quasi ossessa trascinava con sè dappertutto, anche in mezzo alla folla e in piena luce di mezzodì. Più d’una volta dovette fare un gran sforzo di volontà e di raziocinio per non voltarsi a guardarlo.

Demetrio, tutto chiuso e conturbato ne’ suoi pensieri per il difficile passo che stava per compiere, non sentì due o tre volte il braccio di Arabella guizzare sul suo e tutta la sua personcina vibrare come un filo preso dalla corrente. Quasi non vedeva due passi innanzi, come se la soggezione e la vergogna d’incontrarsi col Martini facessero una nuvola davanti agli occhi. Pensava a quel che egli avrebbe potuto dire, senza riuscir mai a mettere insieme due mezze parole in un’idea. Solamente la coscienza in fondo pareva dire brontolando: — Si fa presto ad ammazzarsi: la vergogna e la penitenza toccano a chi resta.

— C’è il signor Martini? — chiese Demetrio a una vecchietta, che venne ad aprire con in braccio una bambina di pochi mesi. Erano la madre e la figliuola del disgraziato.

— Che cosa desidera? — chiese la vecchina [p. 195 modifica]con un fare cerimonioso, invitandoli a entrare.

— Avrei del denaro da consegnargli — balbettò Demetrio.

— Vengano avanti. Vado ad avvertirlo.

Rimasti un momento soli in anticamera, Demetrio disse ad Arabella:

— Lasciami andar innanzi solo. Aspettami qui....

E a quell’uomo coraggioso tremavano le gambe.

Quando tornò la vecchia, Arabella stese le mani alla piccina, e con quel diritto, che ogni donna ha sui deboli, la tolse in braccio nel suo guancialetto e andò a sedersi presso la finestra per contemplarla bene negli occhi. Essa aveva molte cose a dire a quella piccina. Appoggiò il viso al visino e nascose così le lagrime. Demetrio intanto era passato di là. La vecchia Martini, contenta delle carezze che la ragazza dava alla sua piccina, venne a fare delle confidenze. La sua Mimi era nata sotto cattiva stella: la mamma morì nel metterla al mondo, e ora il governo mandava via il papà lontano, fino in Sardegna. Era un trasloco senza promozione, senza miglioramento di stipendio, per colpa d’un birbone che l’aveva tradito, sotto la maschera dell’amicizia....

— Ne ha passate quel povero martire in [p. 196 modifica]questi quattro mesi! — continuò la vecchietta intenerendosi, — ne ha patite più che Gesù in croce. Il governo ha riconosciuto la sua buona fede, la sua innocenza, sta bene; ma ci vuole un esempio, e il meno che possono fare è di mandarlo via per qualche tempo collo stesso soldo. Ma i denari perduti ha dovuto rimetterli: e ora non può condurre una vecchia e una bambina fino in alto mare. Dovrà fare due case; lasciar me colla piccina e colla balia, e andarsene solo colle sue malinconie.... Questo si guadagna a fare il galantuomo.

Mentre la buona donna sfogava il suo corruccio, contando per la centesima volta una storia che non poteva levarsi dal cuore, Arabella tuffava sempre più il viso nel guancialetto, a cui si stringeva colle braccia come se cercasse un appoggio per non cadere.

Demetrio passò in un salottino, sparso di roba in disordine, dove trovò il Martini tutto occupato a riempire delle casse. I due uomini s’incontravano per la prima volta.

— Ho il piacere....? — mormorò il padrone di casa per avviare una presentazione.

Aveva ragione la sua mamma: i colpi della vita avevano dimezzato il disgraziato.

Demetrio, dopo aver fissato gli occhi in un angolo in terra, come se cercasse la parola, disse parlando al muro: [p. 197 modifica]

— Io sono...., io sono il fratello di Cesarino Pianelli, vengo a pagarle un debito che....

E per finire la frase trasse il portafogli, ne levò due biglietti da cinquecento, che collocò sopra alcuni libri della scrivania, agitando la testa sotto la violenza di piccoli scatti nervosi.

Il Martini, che non si aspettava quella visita, còlto all’improvviso, assalito in mezzo alle sue dolorose preoccupazioni da una folla di più dolorose rimembranze, non seppe sul momento che cosa dire.

— La cosa.... veramente.... Io non so se devo.... — balbettò.

— Non possiamo pagare il danno morale, questo no: ma se lei può perdonare a quel poveretto, anche per la pace de’ suoi figliuoli, fa un’opera di carità.

Un urto di passione soffocò le sue parole, che finirono in un gesto lento e supplichevole.

Il Martini chinò il capo e socchiuse gli occhi. Stese la mano e strinse fortemente quella di Demetrio, parlandogli vivacemente cogli occhi negli occhi. Sapeva che anche Cesarino aveva lasciata la famiglia in gravi imbarazzi ed esitava ad accettare; ma Demetrio lo persuase a non dir di no, non tanto per la cosa in sè, quanto per la pace dei vivi e dei morti. Poi soggiunse:

— C’è qui una sua figliuola che vuol [p. 198 modifica]essere quasi perdonata per il riposo di una pover’anima. Se permette....

Andò all’uscio, fe’ un segno ad Arabella, che sulle prime non ebbe la forza di muoversi. Alzò il viso inondato dal guancialetto, e, sentendosi chiamare, si alzò, consegnò la bimba alla vecchietta, che la guardava con un senso di meraviglia, e dopo tre o quattro passi involti e legati, sul punto di varcare la soglia, si sentì come presa alla vita e vivamente trasportata dalla forza invisibile che l’accompagnava. Corse, quasi volò incontro a quel signore pallido vestito di nero, gli gettò le braccia al collo con affettuoso abbandono, si attaccò a lui con tutta la forza, rovesciando indietro la testa, socchiudendo gli occhi, sospirando: — Ci perdoni....

La vecchierella sull’uscio crollava il capo nella sua cuffietta bianca, col guancialetto dimenticato sulle braccia.

Lo zio e la nipote, senz’altre spiegazioni, uscirono da quella casa più consolati, e strada facendo l’una si attaccava al braccio dell’altro con un senso di più domestica intimità. Non si dissero una parola fino a casa: ma due persone non avevano mai parlato e non s’erano mai capite tanto.

Prima di andare a letto, quella stessa notte, Arabella si chiuse nella sua stanza e scrisse una lunga lettera a Paolino delle Cascine, [p. 199 modifica]suo benefattore. Finiva col dirgli: «Non cesserò mai di pregare il buon Dio e il mio Angelo custode, perchè possano essere esauditi tutti i voti del suo cuore. Ella ha fatto una grande carità a me, a’ miei fratellini, alla mia disgraziata mamma, al mio povero papà».

E mentre scriveva il nome del suo povero papà, le parve di udire un fruscìo nella stanza e vide la fiamma della candela piegarsi da una parte quasi mossa da un sottile alito di vento.