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gnor Paolino, si presentò insieme allo zio all’uscio del Martini, che abitava una modesta casa in via Larga. Strada facendo, mentre si attaccava al braccio dello zio, non si scompagnò mai da quello spirito che l’immaginazione eccitata e quasi ossessa trascinava con sè dappertutto, anche in mezzo alla folla e in piena luce di mezzodì. Più d’una volta dovette fare un gran sforzo di volontà e di raziocinio per non voltarsi a guardarlo.

Demetrio, tutto chiuso e conturbato ne’ suoi pensieri per il difficile passo che stava per compiere, non sentì due o tre volte il braccio di Arabella guizzare sul suo e tutta la sua personcina vibrare come un filo preso dalla corrente. Quasi non vedeva due passi innanzi, come se la soggezione e la vergogna d’incontrarsi col Martini facessero una nuvola davanti agli occhi. Pensava a quel che egli avrebbe potuto dire, senza riuscir mai a mettere insieme due mezze parole in un’idea. Solamente la coscienza in fondo pareva dire brontolando: — Si fa presto ad ammazzarsi: la vergogna e la penitenza toccano a chi resta.

— C’è il signor Martini? — chiese Demetrio a una vecchietta, che venne ad aprire con in braccio una bambina di pochi mesi. Erano la madre e la figliuola del disgraziato.

— Che cosa desidera? — chiese la vecchina