Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 192 — |
Per quanto lo zio Demetrio avesse cercato di attenuare la triste impressione del fatto, velando e negando molti particolari, pure essa non aveva più dubbio che il suo babbo si era ucciso lassù in quell’orrido solaio, tra quelle travi nere sotto il tetto, dietro quell’uscio massiccio che il vento scoteva spesso la notte, riempiendo la casa di terrore. Nel buio essa non vedeva che quell’apertura nera spalancata davanti come una tetra voragine, piena di ragnatele e di sordidezze nefande: e guai se sfinita di forze si addormentava nella lugubre immagine di quelle travi incrocicchiate! Un grido la faceva trasalire; balzava sul letto al suo stesso grido, colla fronte in sudore, col cuore in frantumi, stava a sentire, le pareva che qualcuno passeggiasse leggermente per la stanza, girando intorno al letto, rimestando nei cantucci, inquieto, bisognoso di qualche cosa, finchè una voce sommessa, o, per dir meglio, un fiato d’anima errabonda le traversava il corpicciuolo, lasciandovi i brividi della morte.
Se ella avesse potuto dare tutto il suo sangue per arrestare quell’anima in pena, per far tacere quella voce che, sibilando, le parlava di cose incomprensibili nel buco delle orecchie, non avrebbe esitato un minuto.
Aspettava con ansietà il giorno della sua prima comunione. Forse Dio in quel dì avreb-