Delle strade ferrate e della loro futura influenza in Europa/Sezione quinta
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SEZIONE QUINTA
Quali ostacoli possono impedire la formazione delle strade ferrate — quali mezzi per superarli.
§ I.
Io dubito assai, se queste meschine mie carte potranno instillare in ogni lettore la mia convinzione sulla possibilità dei casi finora narrati, ovvero se essi saranno giudicati piuttosto sogni di una immaginazione bizzarra, che probabili previsioni di una mente che tien dietro ai progressi della civiltà, e medita sulla tendenza delle nazioni. So che fra la razza umana esistono individui solo inclinati a credere ciò che cade sotto i loro sensi immediati e negare tutto ciò che la previdenza legge nel lontano avvenire; ma la maggiorità degli uomini
vendica il rifiuto e cede al dominio della ragione. Che se fra di essa pur vi fosse taluno che dubitasse della possibilità di veder creato un generale sistema di strade in ferro, lo pregherò di rivolgere lo sguardo al passato, confrontandolo coll’attuale condizione dei popoli, e di considerare le loro ostinate inclinazioni. Vedrà allora come, prima per gradi, poscia per slancj, la razza umana si incammini verso la perfettibilità sociale, e quasi ammaliata dallo spirito di novità, e come nei tempi romantici, si pascoli di strepitose, stravaganti imprese; al che da gran stimolo la pubblicità delle azioni ottenuta dall’immenso numero dei fogli periodici, e la considerazione che oggi, più che in altri tempi, ottengono gli uomini dedicati al perfezionamento delle scienze, e dell’industria. L’ambizione è poi altresì la molla potente
che padroneggia lo spirito umano, lo agita, lo incoraggisce a creare nuovi e stupendi lavori, e lo innamora del bello, e gl’imprime finalmente quella costanza nei propositi che rende facili le imprese.
Il perfezionamento dell’umana civiltà ebbe altresì gran parte allo sviluppo del desiderio di azione, e delle idee più tendenti alla sociabilità. Le scienze nell’ingentilire gli uomini instillarono il buon gusto e mostrarono la gloria non risiedere soltanto nei subbuglj delle battaglie, ma molto più nello studioso esercizio delle arti pacifiche, e siccome le arti, il commercio, l’industria cessarono di esser opera esclusiva delle ultime classi, si perfezionarono perciò sotto l’influenza di uomini più dotti, ed allora comparve la scienza meccanica, che mostrando la possibilità di ottener molto con piccolo sforzo, offrì un vasto campo da coltivare, ed una sorgente inesauribile di grandi ricchezze. Brevemente, le prime scoperte nella meccanica, utilmente e gloriosamente comprovate, eccitarono il nobile sentimento dell’emulazione, nacque la figliazione delle idee e dei pensieri, che si moltiplicano all’infinito, e rapidamente si propagano, se coll’esca dell’utile si attinge altresì il possesso orgoglioso del pubblico favore.
La grande massa dei bisogni di opinione, che ogni giorno nascono dai bisogni già appagati di realtà, fomenta nel cuore umano gli avidi desiderj di un godimento senza limiti. Quindi quell’ansia, quell’azione impetuosa e famelica, che vorrebbe tutto fare per tutto ottenere, e tutto ottenere per gustare il soave sentimento di un piacere soddisfatto. Il che nell’ordine dell’umana natura è il principio conservatore delle società. Gli uomini moltiplicandosi e soccorrendosi vicendevolmente a perfezionare le arti, son giunti a segno di soddisfare con estrema facilità i loro bisogni fisici; convien dunque per continuar nella fatica, ch’essi immaginino e si creino bisogni di altre specie. Senza questi bisogni essi resterebbero in ozio, che bentosto li corromperebbe e distruggerebbe i principi della società1.
Questo istinto adunque è il germe fecondo e la tendenza irresistibile verso il miglioramento sociale, che crea ogni giorno, in ogni classe d’uomini, in ogni natura di cose nuovi oggetti di utilità, di comodo e di piacere, per cui anche gli avversi alle novità sono costretti correre di galoppo dove vorrebbero appena camminare a passo di tartaruga; ma ogni freno è inutile: quando è dato l'esempio, quando son riconosciuti i vantaggi, esperimentata l’innocuità dei trovati, e quand’essi non turbano l’ordine pubblico, una forza ch’io non saprei nominare, e che altri chiamano potenza dell’opinione, vi guida vostro malgrado nel pelago comune.
So che talvolta le politiche opinioni guastano le idee anche degli uomini dotti e dabbene, e si giudica pessima l’operazione che si dubita derivata da qualche fonte contraria al partito che si professa; ma la forza dell’incivilimento e la potente azione del tempo distruggeranno anche questa schifosa piaga delle società, e faranno in modo che il giudicio degli uomini, purgato dallo spirito di parte e fondato sulla natura reale degli affari, dichiarerà ottimo tutto ciò che sarà realmente ottimo, e cattivo ciò che sarà realmente cattivo. Dalle fin qui esposte considerazioni io inferisco, che collo scorrer degli anni l’Europa sarà solcata per ogni verso dalle strade ferrate, e me ne convinco assai più, allorquando penso che era un tempo in cui l’Europa avea sentieri sol tracciati attraverso ai terreni dal semplice bisogno del commercio e dalla necessità delle relazioni. Le nazioni più illuminate conobbero la utilità che nasce dalle facili e sicure comunicazioni fra città e città, fra nazione e nazione, ed allora si apersero più comode vie, più resistenti agl’influssi rovinosi delle stagioni, gettarono ponti sui fiumi, aprirono gallerie nei monti, resero facili le chine e le salite. Con siffatti mezzi si aumentò il commercio loro, e si diminuì quello delle altre nazioni meno previdenti. Allora queste dovettero poco a poco imitare i vicini, onde le merci proprie concorressero ai mercati colla stessa economia e colla medesima rapidità. Ora siccome le strade in ferro solcano già il territorio di alcune nazioni, si chiederà, se progredendo esse in questo intento sia necessario imitarle formando strade ferrate, come furono imitate formando strade inghiarate.
Le misure governative prendono qui norma dall’utile, e l’utile prende norma dalle località, dalla topografia dello stato, dalle relazioni commerciali, e dalle ricchezze nazionali, in ciò che riguarda le produzioni territoriali ed industriali. Le nazioni che hanno materie soprabbondanti, sia quelle che ne mancano per soddisfare all’interna consumazione, dovranno necessariamente avvedersi dell’utilità delle nuove vie; perciocchè le minori spese di trasporto aumentano alle merci che escono, e diminuiscono a quelle che entrano un valore corrispondente al risparmio che si ottiene nel nuovo trasporto, ed ancora, sono le merci stesse condotte sui mercati con economia di tempo e di spesa pari a quella di qualunque altra nazione. Questi stati adunque non tarderanno a seguire l’esempio, e ne conosceranno anzi l’urgenza se vi sarà pericolo di rimanere soli, o di vedersi superati dall’attività altrui; essendochè in tal caso si perderebbe quella parte dell’utile da conseguirsi in concorrenza degli altri, mediante la parità di mezzi ed una consonanza di azioni. Nella necessità di avere le merci altrui, o nel bisogno di mandar fuori quelle di cui abbondano, quegli stati ravviseranno sempre utile il mondar le vie dagli ostacoli, ed ove d’uopo, l’infiorarle, onde allettare il commercio e suscitare l’utile tumulto della concorrenza.
L’esempio sarà dunque seguito, nè mancano ora gli esempi2.
L’Inghilterra possiede al giorno d’oggi varie linee di strade di ferro in attività, sommanti insieme leghe3 141 3/4, e sono in costruzione leghe 171 1/2, così un totale tra finite e prossime a terminarsi di leghe 313 1/4; ma non basta; l’Inghilterra, tostochè avrà compite le linee stradali attualmente in costruzione, ne traccierà delle altre, onde compiere le ramificazioni stradali che le convengono, ed è disposta a consumarvi la esorbitante somma di lire sterline 26,000,000 pari a 650 millioni di franchi. La Francia camminò finora a passo lento nella carriera delle nuove vie, e ne formò appena due linee; la quale lentezza parve strana in una contrada ove le novità hanno un culto, ove la svegliatezza dell’ingegno sa scoprire l’utile ed afferrarlo. La prudenza consigliava per avventura di imparare alla scuola dell’esperienza inglese, onde evitare gli errori. Ma oramai pare che il governo ed il popolo, impazienti, affrettino il giorno in cui la Francia vedrà tracciate immense linee stradali4.
Il Belgio, la Germania sono anch’essi in gran moto per stabilire le strade in ferro tra l’uno e l’altro punto commerciale, e ciò non ostante l’esistenza dei fiumi navigabili sui quali scorrono fin d’ora i battelli a vapore.
Anche la Russia, conscia della sua posizione, comincia ad avere strade in ferro, embrione ed origine del generale sistema in tutte le Russie, che darà la misura degli utili che debbono derivare da opere più vaste e perfette di comunicazione.
Ne credasi già, che le menti dei Russi siano prive di quelle cognizioni che si riferiscono all’utilità delle facili comunicazioni: Pietro I seminava queste idee fin d’allora che maturava il progetto di stabilire, per mezzo del Caspio, una corrispondenza colle provincie del Nord della Persia, e di formare in Astrakan un emporio di merci, che intendeva trasportare sulle acque del Volga, riunite a quelle della Walchiowa, fin nell’interno della Russia5.
Oramai l’utilità delle comunicazioni è riconosciuta dall’universo. In America ed in Inghilterra a lato dei numerosi canali di navigazione si costruiscono strade in ferro. Dovrebbero gli uni o le altre rimanere deserti, eppure gli uni e le altre sono popolatissimi, perchè più vi è facoltà di comunicare, più le comunicazioni aumentano l’importanza ed il moto del traffico 6§ II.
Dopo aver parlato della probabilità di veder creato in Europa il sistema generale delle strade ferrate, rimarrà ancora il dubbio se esso sarà poi conveniente ed utile, sia agli interessi commerciali ed industriali, sia a quelli politici di tutti gli stati.
Chi ha meditato sugli effetti che potranno per avventura produrre le vie ferrate, saprà facilmente rispondere. Un grand’atto di stato, quantunque ispirato dal desiderio del bene, non potrà tuttavia mai soddisfare a tutti gli interessi; quindi è certo che non tutti potranno godere dall’esistenza delle strade di ferro i medesimi vantaggi, che anzi, misurati questi sull’equabile bilancia, penderà a favore più delle grandi, che delle piccole nazioni, e forse per alcune, sarà il nuovo sistema di strade fatale.
Parlando però della generalità, pare non esservi dubbio che le vie ferrate siano quanto all’interesse materiale dei popoli utilissime, e se la teoria non bastasse a dimostrarlo, convincerà facilmente la pratica, la quale c’insegna che in ogni tempo ed in ogni luogo la prima linea stradale ha commosso gli animi, e gli ha spinti a moltiplicarla. D’altronde, data per vera la formazione di vie ferrate nei territorii di grandi stati, converrà sempre anche ai piccoli stati limitrofi costrurre le proprie; perciocché il non aver simili strade, non toglie il pericolo di veder volare sulle frontiere uno sciame di nemici, che anzi il non stabilirle, fa perdere l’opportunità di condurre con pari velocità le armate nazionali e quelle che potrebbero venir in soccorso.
L’esempio dei grandi stati, ed il parere de’ grandi uomini sono pur da valutarsi nei consigli delle nazioni, quindi allorché vedesi che l’Inghilterra e gli Stati-uniti d’America, gustato l’utile della prima strada in ferro, ne formarono tosto con impetuosa avidità molte altre, conviene credere all’utilità della scoperta, o supporre in quei governi ed in quei popoli un men che retto raziocinio; così, allorché uomini illustri emettono teorie che concordano coi bisogni delle nazioni, pare prudente cosa l’accostarvisi. Il signor Roberto Peel, assai noto all’universo per la sublime perizia nelle scienze speculative, e per il partito, di cui fa pompa in Inghilterra, trovandosi all’Assemblea di Tamworth, pronunciò un discorso sulle strade in ferro, in cui brillano le seguenti parole:
"Voi siete troppo illuminati, o signori, perch’io creda necessario di dimostrarvi l’alta utilità, e, dirò ancora, l’estrema importanza delle comunicazioni rapide ed a buon mercato da un punto all’altro del regno. Io non esito a dichiararmi partigiano delle strade di ferro, ed appoggierò queste imprese in ogni occasione e con tutto il mio cuore..... Io sono, o signori, partigiano di siffatte imprese, poiché sono convinto che i nostri interessi commerciali non potrebbero essere serviti che dalle comunicazioni rapide, le quali riunendo le parti le più lontane del regno, legherebbero le grandi città di commercio ai cantoni agricoli....... Se la costruzione di una via di ferro riduce la durata di un viaggio fra Londra e Birmingham a 5 ore invece di 13, e permette al negoziante o fabbricante di Birmingham di andare a Londra, di spicciare i suoi affari, e di ritornare a casa sua nello stesso giorno, dico che il vantaggio risultante da siffatte facilità è evidentemente importante. D’altra parte è poi altresì vero che quando una rapida via di comunicazione concede al povero di trasportare il proprio lavoro, forse l’unica sua proprietà, sul più vantaggioso mercato, ove più pressanti sono le domande, vi sarà in ciò un miglioramento reale a favore dell’indigente, ed un beneficio all’intiera comunità".
Così ragionava un Inglese a favore di un’istituzione meno utile alla nazione inglese, che a quelle del continente. E dico meno utile, poichè le vie ferrate in un’isola servono puramente all’interna comunicazione, mentrecchè sul continente uniscono a tale vantaggio anche quello di avvicinare le frontiere al centro della nazione, il che è certamente cosa importante sotto l’aspetto economico, come sotto quello politico.
§ III.
È d’uopo poi ora discutere se l’interesse della somma consumata nella costruzione corrisponda all’utile che può ricavare il commercio. Imperciocché se per ottenere un discreto interesse, è d’uopo alzar i pedaggi, potrebbe forse allora essere più costoso il trasporto sulle vie di ferro, che non su quelle ordinarie, quindi non essere sotto questo aspetto le nuove strade convenienti.
Ma qui vuolsi prima d’ogni cosa determinare se esse debbansi costrurre da società private o dai governi medesimi. Supposto che più convenga il secondo mezzo (ciò che dimostrerò in appresso), dico che sarà pur sempre necessario alle nazioni di qualunque condizione entrare nel patto comune, o, per meglio dire, nel consorzio generale delle nazioni. Imperciocchè mentre importa assai nei fatti economici armonizzare cogli altri stati, onde facilitare ed accrescere ai proprii sudditi le relazioni, credo poi altresì che una strada qualunque produrrà sempre col pedaggio la somma che basta a supplire alle spese di manutenzione, e qualche altra somma a titolo d’interesse del capitale consumato nella costruzione. Nè allorquando si deve calcolare la somma ricavabile dal dritto di pedaggio devesi prendere norma dal movimento commerciale degli anni passati. Poichè è oramai provato che una via in ferro moltiplica i trasporti con proporzioni non mai immaginate.
L’ingegnere che s’inoltra nella scienza dei calcoli potrà per avventura provare, essere in molti luoghi troppo grave la spesa in confronto del prodotto del pedaggio, ma oltrecchè parmi non debba la parvità dei prodotti rallentare l’azione dei governi nella formazione delle strade, dai fatti generali poi, che tuttodì raccogliamo dalla storia di svegliate nazioni, vediamo che le società non sono mai deluse, come sopra si disse, nelle loro previsioni.
Pare perciò che sotto l’aspetto commerciale, come sotto quello politico convenga la formazione delle nuove strade. Che se gli utili non saranno pari a quelli che goder potranno più grandi nazioni, ciò non può assolvere i governi dalla necessità di costrurle, perciocchè nell’economia delle nazioni presenti si strettamente vincolate, conviene ognora mantenere la maggior possibile consonanza internazionale se si ha timore che cessando per discordanza di metodi, dall’appartenere alla società europea, si abbia a giacere nell’abbandono, sempre fatale a chi non è ricco abbastanza per prosperare senza l’altrui ajuto, né forte a sufficienza per difendersi dall’altrui prepotenza.
Allorché vedo che negli Stati-Uniti di America furono costrutte linee di strade ferrate, che dalle sponde della Carolina toccano quasi quelle del Michigam, che dalla foce della Delavara tendono alle rive del lago Eriè, e che quelle lunghissime strade attraversano paludi, valicano altissimi monti, scorrono per tratti immensi nella solitudine delle selve; che dal punto di partenza a quello dell’arrivo vastissimi tratti di superfìcie è priva di abitatori, e che il punto estremo della strada tocca un territorio abitato da pochi migliaja di coloni poveri, perché da pochi anni divenuti padroni di quelle terre, ciò vedendo, o devo credere, che le strade in ferro hanno il potere di moltiplicare all’infinito il moto del commercio, o che le società che le costrussero, certamente col fine speculativo, hanno perduto il cervello. E siccome non posso credere che una nazione, a cui si attribuisce sagacità e previdenza finissime, trascorra in errori tanto strani, così devo attenermi al primo supposto, e conchiudere che se i costruttori delle strade ferrate percorrenti contrade in molti luoghi spopolate, hanno tuttavia un utile, di qual maggior vantaggio non sarebbero agli imprenditori quelle costrutte sul continente europeo, ove ad ogni piccolo tratto s’incontra un cascinale, un borgo, una città, una capitale?
Questo ragionamento fondato sulla scuola dei fatti, fa quindi supporre che le linee stradali produrranno un frutto convenevole. Che se questo frutto non rappresentasse che una quota parte dell’interesse legale del denaro consumato nella costruzione delle strade, io non esito a dire ch’esse dovrebbonsi tuttavia formare. I dritti ricavati dai pedaggi quantunque non uguagliassero l’interesse legale, saranno però sempre una ricchezza aggiunta a quella della nazione, la quale non ne rissente verun danno, poiché il capitale impiegato nella costruzione delle opere circola nella contrada diviso in tante piccole frazioni, che correndo perciò con rapidità fra mano e mano si moltiplicano a favore di tutte le classi.§ IV.
L’opinione degli economisti circa il mezzo da preferirsi nella costruzione delle vie ferrate non è unissono; taluno crede dover esse costrursi dai governi, altri per mezzo delle società, altri finalmente dalle une e dagli altri unitamente. In Francia si discute in oggi se più convenga al governo cedere alle società il dritto delle costruzioni, ovvero intraprenderne per proprio conto la formazione. La commissione appositamente creata pare avere opinato7, che il sistema stradale debba dividersi in linee politiche, cioè quelle che dalla capitale vanno ai confini, e linee commerciali, cioè quelle che servono di comunicazione fra l’una e l’altra linea politica; che delle prime sia meglio confidarne l’esecuzione allo stato, delle seconde alle società private. Le strade ferrate americane ed inglesi sorsero quasi per incanto dal potente volere delle società. I governi le autorizzarono, e talvolta non furono avari di provvidi soccorsi.
Il mezzo più comodo ai governi egli è quello, non vi ha dubbio, delle società private. Senza bisogno di molestare l’erario, senza timore di aver a soffrire i danni d’imprevisti accidenti, senza pericolo di cader fra le mani di un ingegnere troppo confidente nelle teorie, il governo ha la gloria di creare, i governati la facoltà di godere uno fra i più sublimi monumenti dell’età nostra.
Ma le società, o perché sono male dirette, o perché servite sono da chi manca di cognizioni pratiche, o perché un ostacolo impreveduto, un’intemperie, o qualunque altro infausto accidente, aumenta esorbitantemente la somma delle spese impreviste, le società, dico, si scoraggiscono e cadrebbero spesso in rovina se i governi, che vogliono invigorire il germe delle società, non aprissero i loro tesori, ed associando il nome e le forze loro all’impresa privata, non dessero prova di rispetto all’inatteso infortunio, e di sagacità all’interesse dei popoli. Questo amalgamo di forze sociali e governative io lo chiamerei un patto lodevole fra il capo e la grande famiglia nazionale; imperciocché se la società rappresenta la nazione nel fiore de’ suoi abitanti, il governo rappresenta il padre di un’immensa famiglia, la quale tutto spera dalla calda affezione, come tutto teme dalla fredda negligenza.
Il concorso adunque dei governi parrebbe quindi il mezzo più giusto e più sicuro onde ottenere l’intento, se i governi non potessero da se soli intraprendere la formazione delle strade ferrate. Un’amministrazione che sente la sua forza, che apprezza la sua dignità, che vuole cogliere i frutti della prodigiosa potenza dell’opinione, non si abbassa a mendicar soccorsi dalle società straniere, e se permette alle società indigene l’onore di qualche impresa, ciò esso concede con animo di proteggerle colle ampie sue forze morali e finanziere; essendochè la società privata è sempre un bel ramo del grande albero nazionale più degli altri infiorato, più degli altri fruttifero.
Opinano certuni, che i governi non debbano permettere alle società le imprese di strade ferrate, se non è provato che gli sperabili benefizj corrispondono agli interessi dei capitali necessari alla speculazione a cui le società stesse si dedicano.
Tale opinione che parte da retto sentire, se è lodevole negli uomini privati, tale a mio credere non potrebbe riputarsi in chi dirige i destini di una nazione. L’amministratore stende la provvida mano sulla massa del popolo, tutela i suoi interessi, provvede agli urgenti bisogni, allontana il furore delle disgrazie.
L’azion del governo, che non può suddividersi in tante parti, quanti sono gli individui che compongono la nazione, è spesso costretta a intaccare gl’interessi dei meno per favorire quelli dei più. Né ciò potrebbe altrimenti succedere, essendochè nell’ordine stesso della natura incontrasi colla disparità degli oggetti creati la disparità delle inclinazioni e dei gusti, che appetiscono disposizioni spesso incompatibili coll’interesse di tutti.
Il sistema adunque che tenta estendere un’efficace protezione sulle parti della massa, è ineseguibile. Imperciocchè per ragione di giustizia distributiva dovrà allora prestare ajuti, dispensare incoraggiamenti, che se giovano alle parti, aggraverebbero la massa, se rendono prosperi alcuni pochi, impoverirebbero il maggior numero.
Quando un’impresa è riconosciuta utile alla massa del popolo, se il governo rifiuta l’assenso ad una società che la vuole eseguire, per timore che essa rovini sotto il peso di calcoli male fondati, egli è voler negare la prosperità a mille individui per blandire l’interesse d’un solo; egli è come coltivare un ramo dell’albero e danneggiarne il tronco. La società che assume il carico di mandar a fine un’impresa, ha un capital sociale che rappresenta una piccola parte della fortuna de’ suoi membri; se l’esito corrisponde ai calcoli, i socj acquistano una ricchezza che equivale ad un premio dovuto da coloro che traggono profitto dall’opera eseguita; se le previsioni sociali falliscono, ed i prodotti dell’impresa non corrispondono alla somma del capitale impiegato, allora,mentre lo stato acquista una nuova ricchezza coll’esistenza delle opere eseguite, la classe dei lavoratori partecipa della ricchezza che i socj hanno perduta nella fallita speculazione. Ciò che a parer mio riesce utilissimo allo stato. Infatti non è egli questo il modo di porre in circolazione una massa di numerario, che senza la fallita speculazione sarebbe forse rimasta nei cofani? Non è egli questo il mezzo di togliere ad alcuni pochi il superfluo per dare a molti altri il necessario? Non è forse questo il mezzo di ripartire le ricchezze con minor inconveniente possibile? D’altronde poi nelle opere dell’impresa stessa sono poste in pratica teorie, che, illuminando coloro che le dirigono e quelli ancora che le eseguiscono, spandono una bella luce che difficilmente tramonta.
Il governo dunque non può ragionevolmente impedire la formazione delle società senza danneggiare la massa del popolo; può bensì venir in ajuto di esse, allorchè la deficienza dei mezzi sociali impedirebbe il compimento dell’impresa, nel qual caso, se la massa della nazione soffre per causa del carico necessario a soccorrere la società, è compensata dall’utile che nasce dal pieno eseguimento delle opere. Ma sento dirmi, che l’impresa andata a male è un capitale sprecato, una perdita irreparabile, che toglie l’occasione d’intraprendere altre speculazioni, le quali poi, quando falliscono, cagionano lo scoraggiamento, ed estinguono l’utile spirito di società.
Il capitale impiegato nella formazione di un’opera che non produce frutti convenienti alla società che l’ha formata, non è nè sprecato, nè perduto; essendochè questo stesso capitale venne raccolto dalla classe più povera, che ben presto lo trasmette al proprietario che gli somministra il pane ed il vino, all’artista che lo veste e ricovera; il suo lavoro non è perduto, poichè l’opera esiste e produce alla nazione un vantaggio, il quale quand’anche fosse tenue, è nondimeno una ricchezza di più procurata allo stato.
Nè io posso credere, che la rovina di un’impresa sia per estinguere lo spirito sociale in una data contrada; perciocché un paese ove esso esiste, gli esempj passati che non si possono tutti supporre infelici, istruiscono la popolazione sui grandi vantaggi delle società; che se trattasi di una contrada in cui lo spirito di società sia tuttora nascente, l’infelice esito di una sola società non può spegnerlo affatto, essendochè, se non fosse instillato dalla stessa natura, crescerebbe nondimeno fecondato dall’esempio straordinario dato da molte nazioni d’Europa.
Una speculazione sbagliata, fa che quelle successive siano meglio calcolate, ciò che poco a poco instilla nel popolo una confidenza che lo conduce verso lo spirito di società con maggiore facilità che pel passato.
Parlando poi della sconvenienza di ammettere le società straniere, io non intendo già di concorrere nelle idee di taluno che le disapprovò sol perché temette di veder portati in paese estero i frutti dell’impresa; che anzi io credo essere sotto a tale aspetto più utili le società straniere di quelle nazionali. Infatti, supposta la formazione di una linea di strada della spesa di 100 millioni, la società straniera che deve mandarla ad esecuzione porta nel paese quel cospicuo capitale sonante; più, arricchisce la nazione con un altro capital materiale rappresentato dalla strada stessa di ferro. La società gode, è vero, il frutto del capitale sonante, ma la nazione entro la quale circolano i 100 millioni impiegati nella formazione della strada fa fruttare anch’essa quel capitale, e forse, assai più del frutto legale; poichè il commercio, previdente ed attivo, duplica in un anno i frutti de’ suoi denari; la nazione gode poi altresì un secondo frutto derivato dall’uso pratico della strada, ond’è che mentre lo straniero perceve un solo interesse, la nazione ne gode due, senza calcolare tutti quegli altri vantaggi che nascono dalla presenza di un vistoso capitale circolante, che dopo aver giovato alla classe più bisognosa, scola nelle mani del commercio, dell’industria e dell’agricoltura.
Ripigliando il filo interrotto da questa necessaria digressione, dirò che se la costruzione delle strade per via dell’azion governativa è un mezzo assai più dignitoso, egli pare altresì assai più utile; la sagace sorveglianza che esige una via ferrata, i pericoli cui è d’uopo prevedere, i danni cui è necessario impedire, esigono un’azione potentissima più adattata ai governi, che a private società; una guerra, un subbuglio popolare può esser causa della distruzione delle opere, o sia che ciò derivi dalla rabbia dei nemici, o che dipenda dalla prudenza del governo, sarebbe causa di totale rovina della società, quando questa non ottenesse dall’equità del governo i dovuti compensi: nel previsto caso la nazione sarebbe passiva del danno sofferto, più dell’indennità pagata; che se questa indennità, cadendo nelle mani di una società indigena, è un capitale tolto alla massa nazionale, è poi anche vero che il governo prende parte forzatamente all’opera stessa, di cui prima non aveva creduto, né voluto prenderne briga.
Se rivolgiamo l’occhio al passato, o se consideriamo il presente, non potremo negare, che l’attuale bisogno di possedere le strade ferrate ha un peso uguale a quello che ebbesi altre volte per la formazione delle strade ordinarie: quando alcune nazioni aprirono facili comunicazioni, le vicine dovettero imitarne l’esempio. Nè allora si presero a calcolare i capitali enormi che si sarebbero spesi senza frutto dell’erario pubblico. Il commercio disse - ho urgente bisogno che il tal monte sia spianato, che il tal fiume sia cavalcato, se nò giungerò sul mercato un mese dopo gli emuli - ed il governo si piegò alla volontà del commercio senza imporre pedaggi e ciò che è più, addobbò le opere stradali, e le conformò alle esigenze del lusso. Se il commercio dimostra oggi lo stesso bisogno, porge la stessa preghiera, quale motivo potrà consigliare una diversa risposta? Forse l’esistenza delle copiose attuali comunicazioni? Ma esse sfigurano in faccia alle nuove vie, come la pallida luce della luna rimpetto al vivido splendore del sole; forse il timore che il commercio non abbia tal moto per consigliare spese si gravi? Eh via, rassicuratevi: come l’animale misterioso che, troncato, getta ad ogni ferita mille nuovi membri, così il commercio moltiplicatisi molte volte ed in molte maniere per ogni nuova strada che gli si apre davanti. Forse la mancanza dei capitali necessarj all’impresa? Ma qual è il governo che non trova un imprestito; che nella formazione di una grand’opera non ha degli amministrati copiosi e spontanei soccorsi?
Un governo che sa far agire la molla della gloria nazionale, che mostra prendere attivissima cura dell’interesse di ogni classe, che sa dar leva alle onorate passioni; quel governo infine che ha credito di previdente e sagace, vede la massa dei popoli associarsi all’azione amministrativa, spiegare quella potente energia che anima chi dirige, che arricchisce chi è diretto.
Sono le masse degli uomini sempre animate da onorevoli passioni, che se sono lordate dalla presenza di inonesti individui, ciò non fa che le masse non conservino rispetto alla mano che governa, interesse alla nazione di cui son parte. Enrico IV, ajutato dall’illuminato Sully, Luigi XIV, diretto dal sagace Colbert, dissero ai popoli - La gloria della nazione mi obbliga alla guerra, datemi uomini e denari. - Ed i popoli corsero a gara offrendo il sacrifizio della loro vita, vuotando nel Regio Tesoro le ultime loro sostanze. Ma Sully e Colbert avevano aperte maravigliose comunicazioni snidando i fiumi dal loro letto ed arricchito il commercio, animata l’industria, e scosso l’agricoltore dall’inerte stupore, ingenerato dal minimo valor dei prodotti, e questo dalla difficoltà dello smercio.
Ora nel caso concreto, siccome è innegabile che l’azione di tutti i governi d’Europa è diretta da paterne intenzioni, così io non esito a dire che ove mancassero i fondi per la costruzione delle nuove vie, essi avrebbero dall’amore dei popoli validissimi soccorsi.
Il commercio, che più delle altre classi coglierebbe il frutto delle strade ferrate, vorrebbe essere il primo a concorrere. Per non spogliarlo ad un tratto di capitali ch’egli raggira, parmi potrebbesi invitarlo a versare nella cassa pubblica un’annua prestazione da stabilirsi in ragione della somma ch’egli ha in commercio e dell’utile ch’ei può ricavarne. Si dovrebbero quindi dividere i commercianti d’ogni stato in più classi, imponendo a ciascuna la tassa da pagarsi per un dato numero d’anni a titolo d’imprestito, restituibile fra un uguale spazio di tempo ed in ragione dei probabili risparmi da ottenersi dal governo. Quindi è che tra la somma da perceversi in tal modo, tra quelle, purché leggiere, da imporsi sulle proprietà fondiali e sull’industria, e tra quelle che il pubblico tesoro potrebbe pagare coi prodotti ordinarj, si avrebbe una massa egregia di danaro certamente bastevole all’utile impresa.§ V.
Ma qui sento dirmi che gli stati che hanno capitali in cassa, o devono impiegarli a soccorrere direttamente le arti e le industrie, od a scemare i tributi, e sopprimere certe imposte ingiuriose alla libertà del commercio; che se, privo di capitali, si obbliga ad altre gravissime spese straordinarie, allora i popoli provano il danno che deriva dalla necessità di nuovi tributi e di nuove imposte, che impoveriscono le classi con certa misura, e non lasciano ad esse che una tarda ed incerta speranza.
Utile è senza dubbio l’impiegare il denaro a favore del commercio e dell’ industria, ma l’utilità dipende dalla scelta dei mezzi. Favorirli, come consigliavano certe rancide teorie, coi premj di esportazione, colle tasse proibitive sulle merci estere, coi dritti differenziali della bandiera, coi privilegi esclusivi, sono misure queste non scevre di gravi sconvenienze, che la pratica ha fatto conoscere, e le recenti teorie hanno condannato. Blandire invece il commercio e l’industria col facilitare ed ampliare le comunicazioni tra luogo e luogo, tra città e città, tra nazione e nazione, questo è il mezzo più diretto, il meno nocivo alle altre classi per arrivare a sì splendido scopo.
I tributi prediali non sono mai gravi se l’esattezza dei cadastri fa prova di equazione nell’estimo e nelle tasse, se il possidente può con facilità e sicurezza recare i prodotti sui mercati più utili, se colle tasse e coi tributi si dà vigore agli importanti rami della ricchezza nazionale.
La diminuzione dei tributi non è mai una risorsa sensibile al possidente. Viviamo in un’epoca in cui è massima la divisione delle proprietà, e le tasse indirette, imposte dai governi e dai municipj, vengono in ajuto del tributo fondiale; perciò numerosi sono i contribuenti e non gravi i tributi sulle terre. La diminuzione, di che parlasi, rappresenterà quindi una somma grandemente suddivisa, e tale da non essere molto apprezzata. Se invece la vigorosa azione del governo ottiene al proprietario la facoltà di vendere il suo grano, il suo vino a qualche lira di più per misura, la diminuzione dei tributi non parrà necessaria, poichè il proprietario, che vede aumentata la sua ricchezza, è compensato dall’imposta che paga e può anzi vederla alzare senza ch’ei ne provi dannose conseguenze.
La diminuzione delle tasse è d'altronde nociva alle imprese di qualche entità; imperciocchè le piccolissime frazioni che rimangono a mano dei possidenti non possono generare, nè accrescere la ricchezza pubblica, nè aspirare a veruna importante speculazione; mentrecchè, riunite nella cassa comune e dirette dalla provvida perspicace mente del governo, può essere sorgente di somma prosperità.
§ VI.
Taluno poi, ripeto, dubiterà ancora che possa mancare in alcuni stati il numerario indispensabile alla confezione del nuovo sistema stradale.
Potrei qui riportare l’opinione di molti dotti che pretendono sapere la quantità delle specie metalliche circolanti, non che in Europa, nel mondo, e si vedrebbe da ciò quali enormi masse di numerario circolino per via dell’azione dell’industria e del commercio. Ma siccome so con quale diffidenza accolgansi questi lavori, perciò tralascio di riportare delle cifre, e mi attengo, come ho sinqui usato, ai fatti generali inconcussi, onde desumere da essi se esista la possibilità di intraprendere considerevoli imprese.
L’Inghilterra gravata da enorme debito getta il danaro a larghe mani nelle imprese, non solo per la formazione delle vie ferrate, ma per ben altre ancora più strane che credibili. Si dirà che l’enorme debito appunto, col far affluire nell’isola immensi capitali, creò i mezzi all’Inghilterra di distinguersi nelle grandi speculazioni. Il che se è vero, come credo anch’io, è poi vero altresì che l’Inghilterra, oltre ad un enorme tale suonante, ha altresì la moneta di carta, cioè le cedole del debito pubblico, le carte del banco, che si negoziano come quella metallica, che perciò venendo da essa moltiplicata, pose l’Inghilterra nella più prospera condizione.
Le relazioni poi stabilite tra le nazioni europee, le americane e le asiatiche, fanno sì che un numerario immenso vada dall’uno all’altro emisfero e soccorra ai bisogni di tutti. Che ciò procuri sempre all’Europa un cospicuo capitale, lo comprova il valore delle carte del debito pubblico dei varii stati, tanto ricercate, non ostante che in Francia, come in Inghilterra, e nelle altre nazioni il commercio, le opere di canalizzazione e di strade, l’industria e l’agricoltura mettano una gran mano nel tesoro dell’universo.
Queste nozioni di fatto sembrano imprimere la convinzione che l’Europa ha un capitale bastevole a supplire alle occorrenze della grande impresa, che se io m’ingannassi, non perciò declinerà l’Europa dalla tendenza verso la confezione della nuova viabilità; la scarsezza del numerario potrà bensì far progredire lentamente i lavori, ma la riproduzione continua dei capitali vincerà coll’azione del tempo la scarsezza della pecunia.
§ VII.
Un’ultima importante questione rimane a trattarsi, cioè, se convenga stabilire i pedaggi e quali debbano essere le proporzioni delle tariffe.
I pedaggi, se sono necessarj a supplire alle spese, son però sempre odiosi al ricco viaggiatore, e incomodi all’azion mercantile, amante e bisognosa di una libera circolazione. Nel caso concreto, siano le strade proprie della società, ovvero l’opera del governo, rimane in alcuni casi indispensabile lo stabilirli. Le enormi spese di manutenzione lo comanderebbero, se non l’imponesse il bisogno di ricavare un frutto, con cui sanare le piaghe fatte al pubblico erario nella formazione delle opere.
Coloro pertanto che s’addentrano in tale questione economica comprenderanno, che prima di stabilire i pedaggi e precisarne le tasse, è d’uopo conoscere le località e la condizione degli stati, ed avere altre notizie di fatto, senza le quali ogni giudizio è vano, ogni deliberazione è immatura. Un governo, cui fu concesso mandar a fine l’impresa con leggiero aggravio dei popoli, può assolvere il commercio dai triboli dei pedaggi, o tutto al più stabilirli con modiche proporzioni; quello invece che pel fatto delle strade ferrate incontrò debito, o impose al popolo tasse non lievi, quello è costretto di provvedere ai modi di reintegrare il capitale impiegato; così le tasse variano a norma delle località, imperciocchè, se non vi è pericolo nel mantenere alte le tariffe su quelle linee stradali, in cui più potente ed inalterabile è l’azion del commercio, dovrà per necessità di condizione esser piccola la tassa su quelle altre linee, in cui minore è il transito. Che se per incamminare il commercio estero sovra un dato punto e toglierlo alla vicina nazione è d’uopo infiorar le vie al commercio, allora le tasse dei pedaggi dovranno essere minime, e fors’anche affatto soppresse.
Le considerazioni, che in parte soltanto ho accennato, sembrano bastare a fissare la massima che ogni questione sovra lo stabilimento o la natura delle tariffe dei pedaggi è immatura, perciocchè le deliberazioni dei governi prendono in questa parte norma dalla condizione e dalle circostanze locali.
Note
- ↑ Briganti, Esame economico.
- ↑ Vedasi la nota C in fine del volume.
- ↑ La lega s’intende di 4000, metri.
- ↑ Vedasi la nota C in fine dell’opera.
- ↑ Dopo la pace del 1689 fra i Russi e la China, i popoli della Siberia e contrade confinanti avevano stabilito un attivo commercio col celeste impero, ove si recavano in carovane a Pekino. Il viaggio durava tre anni fra l’andata ed il ritorno. La tendenza dei popoli della Russia verso il commercio coll’Asia ha dovuto svilupparsi maggiormente."
- ↑ Vedasi la nota E in fine del volume.
- ↑ Vedasi la nota C in fine dell’opera.