Delle strade ferrate e della loro futura influenza in Europa/Sezione quarta
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Sezione terza | Sezione quinta | ► |
SEZIONE QUARTA
Effetti delle strade in ferro sulla Russia e sull’Inghilterra. — Cenno storico sulla Russia. — Sua condizione attuale relativamente all’industria, al commercio, alla sua forza. — Ciò che potrebbe, diventare col sistema generale delle strade ferrate. — Cenno storico sull’Inghilterra. — Sua condizione attuale relativa al commercio, all’industria ed alla potenza. — Cosa potrebbe accaderle col sistema di strade ferrate sul continente.
§ I.
Questi sono gli effetti probabili del sistema delle strade ferrate; questa l’influenza ch’esse potranno per avventura esercitare sulla economia delle nazioni. Ma fra le medesime havvene due più delle altre sottoposte a sensibilissima variazione di fortuna e di forza, sia riguardo alla condizione interna, che all’influenza loro sulle nazioni consorelle. Intendo parlare della Russia e dell’Inghilterra.
La Russia annovera un gran numero di abitanti, ma sparsi sovra immensa superficie; essa ha gli elementi del commercio nei molti fiumi che la dividono, ma l’austerità del clima li rende gran parte dell’anno non navigabili, ed anzi i più maestosi hanno cascate d’acque non ancor vinte, e forse restìe al potere della scienza idraulica. La Russia possiede nei suoi abitanti il genio dell’industria, sopratutto quello dell’imitazione, ma è priva di molte materie prime utili alle arti. Il grande impero non è quindi nè forte, nè commerciale, nè industriale, quanto potrebbe esserlo, e quanto lo sarebbe se facili comunicazioni avvicinassero al centro le masse di popolazione e gl’ immensi confini dello stato, se le ricche nazioni dell’Asia, colle quali confina, potessero con minima spesa e minima perdita di tempo recare in Russia i tesori, di cui la natura loro fu larghissima distributrice.
§ II.
L’infanzia della russa nazione percorse lungo periodo di tempo; l’industria fu nulla per molti secoli; il commercio ridotto alla vendita degli schiavi. Il quale stato di miseria, mentre da un lato concitava i popoli all’emigrazione verso regioni più serene e più ricche, fomentava dall’altro il fuoco delle guerre intestine, che prolungavano l’imperio della barbarie, e mantenevano i popoli nell’impotenza di muovere piede verso le arti pacifiche. Se non che le colonie fondate sui lidi dell’Eusino dai Tiri e dai Greci, e quelle ivi pure stabilite più tardi dai Veneti e dai Liguri, introdussero l’industria agricola, e cominciarono a trafficare coi Russi, permutando i vini, i panni ed altri prodotti che mandavano nell’interno per via del Tanai e del Boristene, colle pelliccie ed altri prodotti naturali delle nordiche regioni.
Le guerre e le sue conseguenze, che distrussero nella Crimea le fatiche di tanti secoli, se fu grave perdita per le nazioni, che ne traevano fama e ricchezze, fu un’epoca salutare, che condusse nelle parti più interne del russo impero una gran massa di popolo, che, come l’onda benefica, fertilizzò il commercio e l’industria coltivata dai popoli fuggitivi, il cui esempio addimesticò le genti della Livonia e della Moscovia colle glebe e colle tranquille industrie.
Alcuni trafficanti Spagnuoli ed un maggior numero d’Italiani spingevano il commercio fino alle rive del Baltico, ed i popoli che l’abitavano osarono allora internarsi nelle selvaggie regioni, ed ivi permutare le industrie del mezzogiorno con quelle naturali del settentrione; sorse poi la lega Anseatica, che stabili fondachi in Novogorod ed in altre regioni, e col proprio concorso raffermò ed ampliò la sfera del commercio altrui. L’Inghilterra non fu lenta a comparir sulla scena del commercio del Nord, in pria come posseditrice di belle e numerose lane, frutto naturale del proprio paese; poi coi tessuti da loro formati colle lane medesime. Più intraprendente, perchè più ricca, osò correre i mari, toccare i porti di S. Nicola e di Arcangelo, ed aprire con essi lucroso commercio. Ivan Basiliewisch I, fondatore del russo impero, cercò di favorirlo, promuovendo ad un tempo quello dei proprii sudditi; il che fece con frutto, allorchè impossessandosi della repubblica di Novogorod, città commerciante, comunicò ai suoi popoli lumi più chiari del commercio e dell’industria.
D’allora in poi la Russia animata dall’esempio delle genti venute dai lidi della Propontide, stimolata dai lucri che loro offrivano i negozianti stranieri sbarcati sulle rive della Finlandia, cominciò a conoscere ch’essa potea, se non emulare la gloria straniera, per lo meno sciogliersi da quella potente dipendenza, che imponeva alla Russia il tributo di gran parte delle proprie ricchezze.
Il genio, che, senza distinzione di sesso, incoronò i Principi di quell’impero, sviluppò la forza militare e l’energia delle industrie, ma se la prima rallentò i progressi delle seconde, aperse non di meno la via a maggiori lumi; e così le guerre contro la Turchia e la Svezia procurarono alla Russia importantissimi centri di commercio; le recenti invasioni in Italia ed in Francia fecero acquistare alla Russia innumerevoli cognizioni industriali e commerciali.
D’allora in poi i lidi dell’Eusino riebbero quel grado di prosperità commerciale, che molti secoli prima godevano, e Archangel, Novogorod e Kroustad poste sull’opposto confine dell’impero divennero emporii di commercio attivissimi, che chiamarono dall’interno le ricchezze naturali, e rialzandone il valore, impressero nelle menti l’idea dell’utile, e mostrarono i mezzi di conseguirlo.
Le emigrazioni francesi recarono altresì le arti e le industrie; ed i Russi non tardarono a fecondare l’utile esempio colla sagace attività, e colla singolar abilità nell’imitazione del bello; talchè in oggi e per le colonie militari ed agricole fondate sovra diversi punti dell’impero, per la maggior copia di materie prime, che perciò produce, e per i numerosi e ben situati centri commerciali, la Russia prende un aspetto di civiltà e di moto, per lo passato sconosciuto1.§ III.
Questa nascente prosperità se giova alla Russia, non potrebbe pertanto nuocere alla altre industriose e commerciali nazioni d’Europa. L’Inghilterra e la Francia, signore dell’Atlantico e del mediterraneo, ricevendo in breve tempo le materie prime, essendo vicine alle grandi masse consumatrici in Europa, conserveranno mai sempre l’onore e l’utile del traffico e dell’industria; ma se per avventura la Russia formasse un sistema generale di strade di ferro, con cui toccasse i confini dell’Asia, dell’Europa e del Mar Bianco, della Turchia, dell’Austria e della Prussia, pare allora che le sorti sarebbero per mutar altamente, e molto più se questi potentati, consigliati dal proprio interesse, o dominati dall’influenza della Russia, prolungassero sul proprio territorio le linee stradali da essa intraprese.
In questo caso le preziose produzioni dell’Asia affluirebbero nel russo impero, e vedrebbesi le materie prima giungere alle manifatture libere da diritti di dogana e di transito dagli altri stati, e ricevere dal lavoro forme diverse; partire per i mercati delle nazioni mediterranee, e vendersi a preferenza delle altre. Imperciocchè la Russia essendo ricca di minerali 2 e di combustibile, e le mercedi degli operaj essendo minori, potrà ribassare il valore degli oggetti da lei manifatturati, e superare le altre nazioni nella concorrenza.
La prosperità del commercio e dell’industria sarebbe sorgente di mille utili conseguenze, facilmente prevedibili, come l’incremento dell’agricoltura che da se sola può far sorgere immense ricchezze, e quello della popolazione che segue le leggi dell’abbondanza delle produzioni. Allora le vastissime steppe o lande diverrebbero ridenti campi arricchiti dalle bellezze dei naturali prodotti; e la popolazione, fattasi numerosa in proporzione del territorio, raddoppierebbe la forza della nazione, e molto più per la facilità di riunir le armate in breve giro di tempo nei luoghi ove lo richiede il bisogno.
La facilità di guidare le grandi masse armate sui confini dell’impero aumenterebbe l’influenza politica sulle nazioni limitrofe, e singolarmente sulla Persia; che se, vincolata questa dalla potenza dell’autocrata, aprisse una rapida via alle Indie, Dio sa ciò che potrebbe accadere alle colonie inglesi e quali immense ricchezze nascerebbero a favore dei Russi dal commercio esclusivo, di cui per avventura afferrassero il possesso!
La Russia ha, sotto il rapporto dell’indole e della superficie, circostanze favorevolissime. Dal centro dell’impero ai confini della Persia essa ha un territorio quasi piano. La conca del Volga potrebbe utilmente e facilmente avere una strada in ferro che toccasse i lidi del Caspio, e costeggiando questo mare colla strada medesima, potrebbesi aprire una rapida comunicazione coll’interno dell’Asia. Le città dei governi di De-Tver, di Zaros, dì Kazan, di Sinbirsk, e di Saratof diverrebbero fiorentissime e sarebbero poste in grado di aprire raggi di comunicazioni consimili colle altre città dell’impero.
La Russia in tal modo diverrebbe non solo il più potente, ma eziandio il più ricco stato dell’universo3. mentre gli altri ne soffrirebbero, e specialmente l’Inghilterra scenderebbe forse dall’alto seggio della potenza con cui ora padroneggia il mare, e forse anche perderebbe quell’influenza che esercita sulla terra.
§ V.
L’Inghilterra torreggiante sulle acque del mare, là dove l’Europa apre il seno all’oceano, è come di avanguardia all’Europa stessa sul grande atlantico, che essa misura coll’occhio sagace del dominio. Un dì4 gridò ai popoli latostanti - La natura qui mi pose ed elesse arbitra e signora; la scienza nautica è mio retaggio, e la potenza, di cui è sorgente, mi assicurano il dominio dei mari: guai agli emuli! - Echeggiarono queste parole sul continente, e le nazioni stupirono alle ardimentose parole del Britanno, ed all’audacia delle sue imprese guerresche, commerciali ed industri.
§ V.
L’Inghilterra, turbata da non interrotte guerre intestine, posta sotto un cielo caliginoso, visse lungo tempo nella barbarie, sol permutando le lane indigene contro oggetti diversi d’industria straniera. Ma si svegliò finalmente, si rizzò, mirò e conobbe la propizia posizione, ed il genio dell’arti e l’audacia dell’animo le apersero un vasto campo di gloria.
Le lane grezze, che prima recavansi nelle provincie unite a ricevere forme più utili, rimasero nell’isola ove le discordie dei paesi vicini e la sagacità di Edoardo III avea condotto dall’Olanda e dalle Fiandre uomini periti che vi fecero germogliare l’industria. Il popolo inglese meditatore ed intraprendente superò in breve i maestri, i viaggi di Colombo, di Gama toccarono la molla dell’emulazione, l’interesse l’invigorì; allora migliaja di navi peregrinarono per mari e regioni ignote; i tesori dell’India e del nuovo mondo vennero a popolare i fondachi inglesi; in breve giro di anni il commercio britanno, ajutato da leggi di rigore, invase i porti del mediterraneo, dell’oceano e del baltico, recandovi cogli oggetti d’industria indiana quelli altresì delle inglesi manifatture.
La nazione aveva preso lo slancio, conveniva assicurarlo, e la nazione corse in traccia dei mezzi che riposavano nelle isole e nelle terre, scale ai centri di commercio. Allora molte e cospicue regioni dell’America, dell’Asia, dell’Affrica e dell’Europa, e più tardi, dell’Oceania, divennero preda dei Britanni. Per la qual cosa le nazioni europee più sbalordite che sorprese dalla rapida fortuna britannica, si adattarono poco a poco a riconoscerla signora de’ mari, ed a preferire gli oggetti di manifatture inglesi a quelle di altre contrade.
Il genio di Sully, e più tardi la perspicacia ed attività di Colbert aveva creato all’Inghilterra una pericolosa rivale. La Francia ricca di produzioni naturali, fertile d’ingegni intraprendenti e vivaci, forte per numero d’uomini e di elementi utili alle arti, al commercio, urtò più volte la potenza britannica e tentò carpirle la corona dal capo. Un Italiano, che una Francia innalzò al seggio supremo, ed a cui l’Italia diede la ferrea corona dei Longobardi, corse l’Europa, che vinse, obbligandola ad osservare le leggi da lui dettate contro la rivale Inghilterra. Le merci inglesi (1807) non ebbero più sfogo in Europa5; le industrie francesi e germaniche si animarono per un tal fatto e vi prepararono quell’indipendenza e prosperità di cui sono ora al possesso. Ciò non di meno se ancora annovera qualche rivale nell’esercizio dell’industria, si mantiene però sempre superiore nel commercio. Il che essa deve alla sua situazione, alla sua forza marittima preponderante, alle sue possessioni nei punti più utili delle cinque parti del globo. Ma, dato per effettuabile il generale sistema di strade ferrate sul continente, cessano i vantaggi della situazione e poco valgono al suo commercio gli scali ch’essa tiene sui mari a pro dei naviganti, e ciò per le seguenti ragioni:
Quando l’Europa centrale comunicherà per le vie ferrate coll’Asia, tutte le materie prime che possono desiderarsi dall’industria, giungeranno su tutti i punti commerciali ed industriali del continente con minori avarie, con minor spesa, con minori pericoli e con maggiore celerità di quella che ora richiedesi per mare. I cotoni, le lane, le sete (se non bastassero quelle d’Italia), le spezierie e mille altre produzioni saranno mandate dall’Asia. Si dirà che i prodotti dell’America potranno ancora arrivare in Europa e concorrere colle asiatiche; ma qual è la produzione americana che non nasce anche nell’Asia, ed in grande abbondanza? Il continente, ove già fiorisce l’industria ed ove le tasse proibitive hanno diminuito l’importazione delle merci inglesi, il continente, dico, ricevendo con minima spesa le materie prime, moltiplicherà le forze della propria industria. Ciò posto, due danni gravissimi sono per colpire l’Inghilterra: essa non farà più il commercio delle materie prime tra l’Asia e l’Europa, essa non esporterà più sul continente le sue merci manifatturate, e perciò importerà minor quantità di materie per l’alimento delle sue fabbriche. Il negoziante inglese che recasi nelle regioni d’oltremare porta con se nell’andata merci europee, le permuta e ritorna con generi coloniali necessarj all’Europa. Ma se queste merci e questi generi giungono in Europa per altra via più utile, lo smercio d’oltremare degli oggetti europei cessa di essere conveniente, a meno che se ne aumenti il prezzo, ciò che è improbabile in vista che le strade ferrate che facilitano lo scolo in Europa delle mercanzie asiatiche, le strade stesse faciliteranno nell’Asia quello delle europee. Il suo commercio e la sua industria proverebbero quindi un gran crollo e non avrebbe modo di salvarsi da una decadenza resa molto più sicura da un debito enorme, e dalla probabile rovina delle compagnie delle Indie a cui la miglior parte della nazione è interessata.
Tolta all’Inghilterra ogni relazione col continente, dove aprirà essa un utile commercio, dove smercierà le sue manifatture? Forse in America? Ma in quella parte del mondo sorge una potenza formidabile, una nazione attiva, ricca e industriosa, se non più dell’inglese, tutto almeno a lei uguale, e posseditrice di materie manifatturabili atte a soddisfare i bisogni degli stati americani. Non dirò già che debba cessare affatto il commercio con quella preziosa parte del mondo, bensì ripeterò che l’influenza degli Stati-Uniti scemerà assai quella che le nazioni europee potrebbero esercitarvi. Forse in Affrica? No certo, poiché la conquista francese offre alla Francia non solo un mercato onde vuotare le proprie manifatture, ma concede a lei altresì i mezzi onde aprire relazioni nuove, e di cementare le antiche. Forse nell’Asia? Ma è noto che l’Asia fu in ogni tempo industriosa e ricca di materie prime e che è più copiosa la quantità delle materie che trasmette di quella che riceve. Si dirà che l’America e l’Affrica possono per avventura provvedere all’Europa oggetti non esistenti nell’Asia, e che i generi coloniali potranno pervenire all’Europa dall’America, non bastando alla consumazione quelli che arriveranno dall’Asia. Giova pertanto osservare, non esservi in America produzioni essenziali, di cui l’Asia non si vanti, nè potersi sperare che il zuccaro, il caffè, il cacao, i cotoni di America, gravati da molto maggiori spese di trasporto, possano vincere la concorrenza di quelli asiatici che pur son giudicati di migliore qualità. D’altronde, siccome una nuova e sicura comunicazione a traverso dell’Asia passerebbe sovra territorj forse poveri perchè privi di quelle comunicazioni che arricchirono i popoli del litorale, così una nuova massa di prodottori comparirebbe sulla scena del mondo e farebbe nascere nuove combinazioni commerciali e variazioni sensibili nei prezzi delle materie.
L’Inghilterra prevede fin d’ora i danni futuri, e perciò già da molti anni sta meditando sul modo di abbreviare la via per alle Indie o coll’attraversare l’istmo di Suez, o col navigare per l’Eufrate fino all’Eritreo, e con esso a Bombay; o portarsi al Golfo Persico passando pel Mar Nero a Trebisonda, Teheran, e Bussiri; o valendosi dei fiumi della Germania che mettono nell’Eusino, e di là al Golfo Persico per le vie già indicate. Ma quand’anche riuscisse in questa impresa, siccome la più utile delle surriferite strade, ridurrebbe il viaggio a giorni 53 1/2, nell’andata, ed a 55 1/2 nel ritorno, perciò essa non potrebbe ottenere quel grado di celerità che può verificarsi colla via ferrata spinta attraverso all’Europa ed all’Asia. L’intenzione dell’Inghilterra di voler abbandonare la via dell’atlantico per riaprir quella che il Greco Nearco aveva, ai tempi di Alessandro, aperta ai popoli d’Europa, parrà assai strana, se si pon mente che gl’Inglesi cessano dal calcare una strada ad essi per tanti secoli sorgente di copiose ricchezze, per adottarne un’altra che la decadenza del traffico veneziano nell’Asia mostrò essere men utile.
Allorchè i Veneti percorrevano la via delle Indie, toccando Babilonia ed il Golfo Persico, ovvero l’altra per l’istmo di Suez e l’Eritreo, non avevano rivali e tutte le produzioni dell’Asia richieste e consumate in Europa, qui si avevano dalle loro mani. Ma scopertasi la strada dell’Oceano e sormontato il capo delle tempeste, i Portoghesi, gli Olandesi, gli Spagnuoli ed Inglesi corsero ai mercati asiatici, e provvedendo da se stessi ciò che altre volte compravano dai Veneziani, tolsero a questi l’importante occasione del traffico.
Il giunger più presto alle Indie passando per l’Eritreo od il Persico, non giovava ai Veneti, poichè il pronto arrivo, che d’altronde non era senza gravi pericoli e spese, non impediva il concorso degli altri trafficanti d’Europa, pel quale alzavasi il prezzo delle merci asiatiche e ribassava quello delle europee; il giungere più presto nell’occidente non facilitava ai Veneti lo spaccio delle merci indiane, poichè le nazioni seppero sin d’allora stabilire dazj sulle mercanzie condotte dai forestieri, e quindi togliere ai Veneziani l’occasione della vendita, ed i lucri del traffico.
Ora che il monopolio del commercio asiatico è quasi intieramente fra le mani inglesi, ora che la potenza loro tiene in rispetto la ferocia dei barbari, e può quindi camminar per la via più breve di terra alle Indie, sperano con ciò impedire o rallentare il traffico che esercitare quelle altre nazioni, a cui se è dato solcar le onde dell’atlantico, non potrebbero però seguire l’Inghilterra per la nuova via. Il quale progetto riescirà certamente agli Inglesi se non succedono variazioni nell’ordine delle comunicazioni; ma se viene stabilito il sistema di strade ferrate, forse l’intenzione loro andrebbe delusa e potrebbero per avventura cadere in quella stessa condizione, nella quale trovaronsi i Veneti allorchè l’ingegno ed il coraggio portoghese aperse una nuova via alle Indie, sormontando il Capo di Buona Speranza. L’Inghilterra sarebbe dunque ridotta all’esercizio del commercio interno, e quand’anche potesse conservare qualche traffico coll’estero, ciò forse non impedirebbe la sua decadenza; perciocchè lo slancio del commercio e dell’industria inglese è tale che ha bisogno di progredire e di non retrocedere, e qualunque minimo urto, che ne arrestasse il moto, potrebbe essere fatale alla sua prosperità come alla sua potenza.
§ VI.
Da ciò che venni esponendo, pare, che, supposta l’adozione delle strade di ferro, la russa nazione sopra ogni altra acquisterebbe portentosi vantaggi. Non perciò ne sarebbe priva la Germania e gli stati confinanti; che anzi essendo più vicini alla derivazione delle ricchezze, ne parteciperebbero anch’essi; solo perderebbero per avventura l’importanza politica, se la Francia e l’Austria non avessero interesse a conservarne l’esistenza.
La Francia grande, ricca, popolata, educata all’attività del commercio ed all’esercizio dell’industria, coglierebbe anch’essa i frutti delle strade ferrate. L’Italia e la Spagna sarebbero i mercati nei quali scolerebbero le sue manifatture. Il suo suolo ferace la provvede di molte materie prime, e la conquistata Algeria, educata da lei all’agricoltura ed alla pastorizia, aggiungerebbe le proprie alle già abbondanti produzioni francesi. Non avendo più a combattere l’influenza inglese in Europa, essa diverrebbe forse la prima fra le potenze dell’occidente, e a lei associerebbersi, per identità d’interessi vitali, tutti gli altri stati d’Europa, spaventati dalla prepotente forza della Russia. Ma la tendenza dello spirito umano verso l’unità e la concordia, l’umanità e la perspicacia dei Principi imprimono fin d’ora la convinzione, che sia per essere stabile ed eterna la pace dei popoli. Gli stati dell’Austria, ricca e potente, potranno colle strade ferrate ottenere il grande vantaggio dello scolo dei copiosi prodotti dell’Ungheria, e di altre non men ricche soggette nazioni; ed altresì riunire in breve tempo le popolazioni e le armate, ora sparse sovra vastissimo territorio; comunicando facilmente colla Turchia, potrà colà dirigere le numerose sue manifatture e rendere tributaria una nazione per indole e per costumi più dedita all’ozio che all’esercizio delle arti.
Le penisole spagnuola ed italiana per situazione e per ricchezze, e per varietà di produzioni naturali, altre volte chiamate entrambe ad aver il primate nel commercio dei mari, da cui son cinte, non potrebbero acquistare nella bilancia commerciale e politica quel peso che può mantenerle nella loro antica condizione.
L’Austria e la Francia più forti, e fin d’ora, più arricchite dall’azione dell’industria, eserciteranno per avventura sovra esse una potente influenza.
Può non pertanto giovare all’Italia un filo di strada ferrata che renda facile e pronta l’unione dei popoli, favorisca il suo commercio interno, e formando sulla punta della penisola un emporio delle sue merci, possa con minor spesa portare negli scali del levante quelle mercanzie che l’attività francese ed austriaca non avessero peranche recato.
§ VII.
Tali sono gli effetti, che per avventura potrà produrre in Europa il sistema generale delle strade a ruotaje di ferro, effetti, per cui l’umana famiglia può essere condotta ad una mutazione di costumi e di fortuna, e possono la politica e le leggi dei governi variar nelle sue basi, come nella sua influenza. Ma queste strade in ferro sono esse possibili, sono esse convenienti? Esaminiamolo.
Note
- ↑ Vedasi la nota B in fine dell’opera.
- ↑ La Russia possiede molte miniere, con cui le rimane più facile la formazione delle macchine. Essa annovera ancora miniere aurifere che si fanno ogni anno più abbondanti. Dopo la recente scoperta del Colonnello Anosof intorno al modo di separare l’oro dalle materie eterogenee, dicesi (vedi la Gazzetta di Francia del 30 ottobre 1387) che le ricche miniere dell’Altai, e dell’Oral produrranno 30 volte più del passato.
- ↑ Il classico economista Briganti nel suo Esame economico, parlando dei futuri destini della Russia, così si esprime: "La Russia potrebbe rendersi il centro di un commercio universale permutando le merci dell’oriente con quelle dell’occidente e quelle del mezzogiorno al settentrione, se il grande intervallo da un estremo all’altro delle sue sponde, e le indocili provincie del suo continente non l’obbligassero prima di tutto ad impadronirsi del traffico dell’Asia che trovasi preoccupata dall’industriosa diligenza degli Armeni".
- ↑ La potenza inglese sul mare cominciò a mostrarsi superiore a quella delle altre nazioni sotto l’impero di Elisabetta, allorché (1587) minacciata dalle forze di Filippo II di Spagna sventò in breve tempo i progetti di lui, ed indicò al mondo quali elementi di forza risiedessero nell’inglese nazione.
- ↑ Un celebre storico, Heeren, disse che il fatto della proibizione delle merci inglesi in Europa svelò a quella nazione il secreto che poteva far senza del commercio europeo, e ch’essa infatti trovò altri lidi ove commerciare utilmente. Pare pertanto che l’acerrima guerra fatta dall’Inghilterra alla Francia provasse il contrario. I tesori ch’essa gettò sul continente per fomentare e sostenere la guerra contro Napoleone, fu un sacrifizio gravissimo, che solo poteva comandare il gravissimo timore di perdere l’influenza commerciale e politica; né il timore poteva essere di altra natura, perciocchè le forze di mare inglesi, l’ardore delle sue milizie erano garanti dell’indipendenza e sicurezza della nazione. Essa avrà invece pensato che l’industria del continente avrebbe progredito nella via del perfezionamento; che la Francia confinante colla Spagna, colla Germania, coll’Italia, avrebbe trovato scolo alle sue manifatture con poca spesa, e con minori pericoli della rivale Britannia; che i lidi affricani popolati tuttora da barbari, consumano assai poco relativamente alle grandi quantità di merci manifatturate dall’Inghilterra; che l’America, ove ingigantisce una grande, intraprendente ed esperta nazione, se diede luogo a qualche commercio per lo passato, non ammetterà concorrenti per l’avvenire.