Della architettura della pittura e della statua/Della pittura/Libro secondo

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DELLA PITTURA

di

leon batista alberti

libro secondo.


M
A perche questo studio de lo imparare potrà forse parere troppo faticoso a giovani, perciò mi par da mostrar in questo luogo quanto la Pittura sia non indegna da potervi mettere ogni nostro studio et ogni nostra diligentia. Conciossia che ella ha in se una certa forza divina tal che non solo ella fa quel che dicono, che fa la amicitia, che ci rapresenta in essere le persone che sono lontane, ma ella ci mette inanzi a gli occhi ancora coloro, che gia molti et molti anni sono, son morti, talche si veggono con grandissima maraviglia del Pittore, et dilettatione di chi li riguarda. Racconta Plutarco che Cassandro uno de Capitani di Alessandro, nel vedere la effigie del gia morto Alessandro, conoscendo in essa quella maiestà regale cominciò con tutto il corpo a tremare. Dicono ancora che Agesilao Lacedemoniese sapendo di essere bruttissimo, non volle che la sua effigie fusse veduta da descendenti, et perciò non li piacque mai esser ne dipinto, ne scolpito da nessuno. Si che i volti de morti vivono in un certo modo una lunga vita, mediante la Pittura. Et che la Pittura ci habbi espresso gli Dii, che sono reveriti da le genti, è da pensare che ciò sia stato un grandissimo dono concesso a mortali. Conciosia che la Pittura ha giovato troppo grandemente alla religione, mediante la quale noi siamo principalmente congiunti a gli Dii, et al perseverare gli animi con una certa intera religione. Dicono che Fidia fece in Elide un Giove, la bellezza del quale aggiunse assai alla gia conceputa religione. Ma quanto la Pittura giovi alli honoratissimi piaceri de lo animo, et quanto ornamento ella arrechi alle cose, si puo d’altronde et da questo principalmente vedere che tu non troverai quasi per lo più cosa alcuna benche preciosa, che per la accompagnatura de la Pittura non diventi molto più cara, et molto più pregiata. Lo avorio, le gemme, et le cosi fatte cose pregiate, diventano, mediante la mano del Pittore, più preciose. Lo oro stesso ancora adornato da la Pittura, è stimato molto più che lo oro. Anzi non che altro il piombo più di tutti gli altri metalli vilissimo, se Fidia o Prassitele ne havesse con le lor mani fatto una statua, sarà per aventura tenuta più in pregio, che non sarebbe altretanto argento rozzo et non lavorato. Zeusi Pittore haveva incominciato a donare le sue cose, perche come ei diceva, elle non si potevano pagare con qual si voglia prezzo. Conciosia che egli giudicava che non si potesse trovar prezzo alcuno, che potesse satisfare a colui che nel dipignere, o scolpire gli animali, fusse quasi che uno altro Dio infra i mortali. Ha queste lodi adunque la Pittura che coloro che ne sono maestri, non solamente si maravigliano de le opere loro, ma si accorgono essere similissimi agli Dii. Che dirò io che la Pittura è o la maestra di tutte le arti, o almanco il principale ornamento? Imperoche lo Architettore se io non mi inganno, ha preso dal Pittor solo le cimase, i capitelli, le base, le colonne, le cornici, et tutte le altre cosi fatte lodi degli edifizii. Imperoche il Pittore mediante la regola et la arte sua ha insegnato, et dato modo a gli, scarpellini, a gli scultori, et a tutte le botteghe de fabbri, de legnaiuoli, et di tutti coloro che lavorano di fabriche manuali, talche non si ritroverà finalmente arte alcuna, benche abiettissima, che non habbi riguardo [p. 300 modifica]alla Pittura: onde io ardirò di dire che tutto quel che è di ornamento nelle cose, sia cavato da la Pittura. Ma principalmente fu da gli antichi honorata la Pittura di questo honore, che essendo stati chiamati quasi la maggior parte de gli altri artefici, Fabri appresso de latini, il Pittor solo non fu annoverato infra i Fabbri. Le quali cose essendo cosi, io son solito di dire infra gli amici miei che lo inventore de la Pittura fu, secondo la sententia de Poeti, quel Narciso che si convertì in fiore. Percioche essendo la Pittura il fiore di tutte le arti, ben parrà che tutta la favola di Narciso sia benissimo accommodata ad essa cosa. Imperoche, che altra cosa è il dipingere, che abbracciare et pigliare con la arte quella superficie del fonte? Pensava Quintiliano che i Pittori antichi fussero soliti a disegnare le ombre, secondo che il Sole le porgeva, et che poi l’arte sia di mano in mano con aggiugnimenti accresciuta. Sono alcuni che raccontano che un certo Filocle Egittio, et un Cleante, ne so io quale, fossino i primi inventori di questa arte. Gli Egittii affermano che appresso di loro era stata in uso la Pittura sei milla anni prima che ella fusse transportata in Grecia, et i nostri dicono che ella venne di Grecia in Italia dopo che Marcello hebbe le vittorie di Sicilia. Ma non importa molto il sapere i primi Pittori, o gli inventori de la Pittura. Conciosia che noi non vogliamo raccontare la historia de la Pittura come Plinio, ma nuovamente trattare de la arte. De la quale sino a questa età non ce ne è memoria alcuna lasciataci che io habbi vista da gli scrittori antichi: Ancor che ei dicono che Eufranore Hischimio scrisse non so che de le misure et de colori: Et che Antigono et Xenocrate scrissono alcune cose de le Pitture, et che Apelle ancora messe de la Pittura alcune cose insieme, et le mandò a Perseo. Racconta Laertio Diogene che Demetrio Filosofo ancora scrisse alcuni commenti de la Pittura. Oltra di questo io stimo ancora che essendo da nostri passati state messe in scritto tutte le buone arti, che la Pittura ancora non fusse stata lasciata in dietro da nostri scrittori Italiani. Imperoche furono in Italia antichissimi gli Etrusci, valorosissimi più di tutti gli altri nella arte de la Pittura. Crede Trismegisto antichissimo scrittore che la Pittura et la Scoltura nascessero insieme con la religione, imperoche egli disse cosi ad Asclepio: La humanità ricordevole de la natura et dell’origine sua, figurò gli Dii da la similitudine del volto suo. Et chi sia quello che nieghi, che la Pittura non si sia attribuita a se stessa in tutte le cose, cosi publiche, come private, cosi secolari, come religiose, tutte le più honorate parti? tal che non troverò artificio alcuno appresso de mortali che da ciascuno ne sia fatto conto maggiore. Raccontanfi pregi quasi incredibili de le tavole dipinte. Aristide Thebano vendè una Pittura sola, cento talenti, cioè, sessanta mila fiorini. Raccontano che la tavola di Protogene fu cagione che Rodi non fusse abbruciato dal Re Demetrio, perche non voleva che detta tavola ardesse. Possiamo adunque affermare, che Rodi fu riscattato da li inimici per una sola Pittura. Sonsi messe insieme, oltre a queste, molte altre cose simili, per le quali potrai comodamente intendere, che i buoni Pittori sono stati sempre grandemente lodati, et havuti in pregio da ciascuno, talche i nobilissimi, et prestantissimi Cittadini, et i Filosofi, et i Re si son dilettati non solo de le cose dipinte, ma del dipignere ancora. Lucio Manilio Cittadino Romano, et Fabio in Roma huomo nobilissimo furno Pittori. Turpilio Cavaliere Romano dipinse in Verona. Sitedio Pretore, et Proconsule si acquistò nome con il dipignere. Pacuvio Poeta Tragico, nipote di Ennio Poeta, nato de la figliuola, dipinse nella piazza, Hercole. Socrate, Platone, Metrodoro, et Pirro Filosofi, furono eccellenti nella Pittura. Nerone, Valentiniano, et Alessandro Severo Imperatori, furono studiosissimi del dipignere. Saria cosa lunga raccontare quanti Principi, et quanti Re sono stati inclinati a questa nobilissima arte. Et non è ancora ragionevole stare a raccontare tutta la infinita moltitudine de Pittori antichi, la quale quanto sia stata grande, si può vedere da questo; che in manco di [p. 301 modifica]quattrocento giorni furono del tutto finite a Demetrio Valerio figliuolo di Fanostrate, trecento sessanta statue, parte sopra i lor cavalli, parte sopra i carri, et parte sopra i cocchi. Et se in quella Città fu tanto il gran numero de li Scultori, staremo noi in dubbio che non vi fossino Pittori infiniti? Sono veramente la Pittura et la Scoltura arti congiunte insieme di parentado, et nutrite da un medesimo ingegno. Ma io anteporrò sempre lo ingegno del Pittore, come quello che si affatica in cosa molto più difficile. Ma torniamo a proposito. Infinita fu la moltitudine de Pittori, et de li Scultori in quei tempi, conciosia che i Principi, et i plebei, i dotti, et gli ignoranti si dilettavano de la Pittura. Et costumandosi infra le prime prede che essi conducevano de le provincie, a metter in publico nel Teatro le tavole, et le statue, la cosa andò tanto innanzi, che Paulo Emilio, et alcuni altri non pochi Cittadini Romani, feciono insegnare a i figliuoli per bene, et beatamente vivere insieme con le buone arti, la Pittura. Il quale ottimo costume appresso de Greci si osservava grandissimamente, che i giovanetti nobili et liberi bene allevati, imparavano insieme con le lettere la geometria, et la musica, et l’arte ancora del dipignere. Anzi ls facultà del dipignere fu ancora cosa honorata alle donne: Et celebrata da gli Scrittori Martia figliuola di Varrone, perche ella seppe dipignere. Et fu certamente in tanto pregio, et degna di tante lode la Pittura appresso de Greci, che ei vietarono per publica deliberatione, che non fusse lecito a servi imparare la Pittura; ne questo veramente senza ragione, imperoche la arte del dipignere è veramente degnissima de gli animi liberali et nobilissimi: et quanto a me è paruto sempre uno inditio di ottimo et eccellente ingegno quello di colui che io ho saputo che si diletti grandemente de la Pittura. Et è questa arte sola quella che parimente diletta grandemente et a dotti et a gli ignoranti, la qual cosa non occorre mai in alcuna altra arte, che quella cosa che diletta a quei che sanno, commuova ancora gli ignoranti. Et non troverai nessuno che facilmente non desiderasse grandemente di haver fatto profitto nella Pittura. Et è manifesto che essa natura si diletta nel dipignere. Conciosia che noi veggiamo che la natura figura ne marmi, i centauri, et i volti de Re con le barbe. Anzi dicono che in una gioia di Pirro, vi fur dipinte da la natura stessa le nove Muse con le loro insegne. Aggiugni a queste cose che ei non è quasi arte nessuna, nella quale gli huomini che sanno et quei che non sanno, nello impararla et nello esercitarla si affatichino con tanto diletto tutto il tempo de la vita loro, più che in questa. Siami lecito di dire quel che interviene a me: se mai accade che per mio piacere et per mio diletto io mi metta a dipignere, il che io fo molto spesso, quando mi avanza tempo da le altre faccende, io sto fisso con tanto mio piacere a far quella opera che a gran pena posso credere che io vi sia stato tanto che sieno gia passate tre o quattro hore: si che questa arte apporta seco diletto, mentre che tu la honorerai, et lodi, et ricchezze, et fama perpetua mentre che tu la farai eccellentissimamente. La qual cosa essendo cosi, poi che la Pittura è uno ottimo et antichissimo ornamento de le cose, degna di huomini liberi, grata a dotti et agli indotti, conforto quanto maggiormente posso gli studiosi giovani, che per quanto ei possino, diano grandemente opera alla Pittura. Dipoi avertisco coloro che sono studiosissimi de la Pittura, che vadino dietro ad imparare essa perfetta arte del dipignere, non perdonando ne a fatica, ne a diligentia alcuna. Siavi a cura, voi che cercate esser eccellenti nella Pittura, la prima cosa, il considerare che nomi et che fama si acquistarono gli antichi. Et vi gioverà di ricordarvi che sempre la avaritia è stata inimica alla lode et alla virtù. Conciosia che lo animo intento al guadagno, rare volte acquisterà il frutto de la posterità. Io ho veduti alcuni quasi in su ’l bello de lo imparare, subito essersi dati al guadagno, et perciò non hanno poi acquistatosi ne ricchezze ne fama alcuna, i quali se havessino con lo studio avezato lo ingegno, sarebbon facilmente diventati [p. 302 modifica]famosi, la onde ne harebbon cavato ricchezze et diletto: per tanto sia di loro insino a qui detto a bastanza. Hor torniamo a proposito. Noi dividiamo la pittura in tre parti, la qual divisione habbiamo cavata da essa natura. Imperoche ingegnandosi la Pittura di rapresentarci le cose vedute, consideriamo in che modo esse cose venghino alla veduta nostra. Principalmente quando noi squadriamo qualche cosa, noi veggiamo quella cosa esser un certo che, che occupa luogo. E il Pittore circonscriverà lo spazio di questo luogo; et questo modo del tirare i d’intorni con vocabolo conveniente chiamerà circonscrittione. Dopo questo nel guardare noi consideriamo in che modo si congiunghino insieme le diverse superficie, del veduto corpo, infra di loro, et disegnando il Pittore questi congiugnimenti de le superficie a lor luoghi, potrà et bene chiamarlo il componimento. Ultimamente nel guardare noi discerniamo più distintamente i colori de le superficie, et perche il rapresentamento di questa cosa nella Pittura, riceve quasi sempre tutte le sue differentie da i lumi, commodamente noi potremo ciò chiamare il ricevimento de lumi. I d’intorni adunque, il componimento, et il ricevimento de lumi fanno perfetta la Pittura. Restaci adunque a trattare di quelle cose brevissimamente, et prima de d’intorni, ò vero de la circonscrittione, la quale è quel tirare che si fa con le linee a torno a torno de d’intorni, da moderni detto disegno. In questo dicono che Parrasio Pittore, quello che Senofonte introduce a parlare con Socrate, fu eccellentissimo: Percioche ei dicono ch’egli considerò sottilissimamente le linee. Et in questo disegno penso che principalmente si abbia a procurare, ch’egli si faccia con linee sottilissime, et che al tutto non si discernino da l’occhio, si come dicon che soleva fare Apelle Pittore nello esercitarsi, et combattere a chi più sottili le faceva, con Protogene. Imperoche il disegno non è altro, che il tirare de d’intorni, il che se si farà con linee che apparischino troppo, non parranno margini de le superficie in essa Pittura, ma parranno alcune fessure. Dipoi io desidererei che nel disegno non si andasse dietro ad altro che al circuito de d’intorni. Nel qual disegno io affermo che ei bisogni esercitarvisi vehementemente. Conciosia che nessuno componimento, nessuno ricevimento di lumi mai sarà lodato se non vi sarà disegno. Anzi il disegno solo, il più de le volte, è gratissimo. Diasi adunque opera al disegno, et ad imparar benissimo questo non credo che si possa trovar cosa alcuna più accomodata, che quel velo che io infra gli amici miei soglio chiamare il taglio, il modo del usare il quale sono stato io il primo che lo habbi trovato, et è cosi fatto. Io tolgo un velo di fila sottilissime, tessuto rado, et sia di qual si voglia colore, questo divido io di poi con fila alquanto più grosse, facendone quadri quanti mi piace sopra un telaio tutti uguali, et lo metto infra lo occhio et la cosa da vedersi, accio che la piramide visiva penetrando passi per le rarità del velo. Ha veramente questo taglio del velo in se non poche comodità: la prima cosa, egli ti rapresenta sempre le medesime superficie immobili, conciosia che postivi una volta i termini, troverai subito la primiera punta de la piramide, con la quale tu incominciasti; il che senza questo taglio del velo è cosa veramente difficilissima. Et sai quanto sia impossibile nel dipignere, mutarsi rettamente alcuna cosa, perche non mantiene perpetuamente a chi dipigne il medesimo aspetto et veduta: et da questo aviene che più facilmente si assomigliano quelle cose che si ritraggono da le cose dipinte, che quelle che si ritraggono da le sculture. Sai ancora oltra di questo, quanto essa cosa veduta, paia alterata, mediante il mutamento de lo intervallo, ò de la positura del centro. Per tanto il velo o la rete ti arrecherà questa non piccola utilità che la cosa sempre ti si apresentetà alla vista la medesima. L’altra utilità, è che tu potrai collocare facilmente nel dipignere la tua tavola, in luoghi certissimi, i siti de dintorni, et i termini de le superficie. Imperoche vedendo tu in quella maglia de la rete la fronte, et in quella che li è a canto, il naso, et nella più vicina poi le gote, in [p. 303 modifica]in quella disotto il mento, et tutte le altre cose cosi fatte, disposte a loro luoghi: potrai medesimamente collocarle benissimo su la tua tavola o nel muro scompartiti ancor essi con una rete uguale a quella. Ultimamente questa rete o velo porge grandissima comodità et aiuto a dar perfezione alla Pittura; percioche tu vedrai essa cosa rilevata et gonfiata disegnata, et dipinta in quella pianura de la rete. Mediante le quali cose, possiamo facilmente et per il giuditio et per la esperientia conoscere, quanta utilità ne presti essa rete, a bene et perfettamente dipignere. Ne mi piacciono coloro che dicono che ei non è bene che i Pittori si assuefaccino a queste cose, le quali se bene arecano grandissimo aiuto al dipignere, sono nondimeno tali, che senza esse, un Pittore a gran pena potrà mai far da se stesso cosa alcuna. Conciosia che noi non ricerchiamo che il Pittore, se io non mi inganno, habbi a durare una fatica infinita; ma lodiamo quella Pittura che ha gran rilievo, et che ci paia molto simile a corpi che ella ha a rapresentare. La qual cosa certamente non so io vedere in che modo possa riuscire ad alcuno pur mediocremente senza lo aiuto de la rete. Servinsi adunque di questo taglio, cioè di questa rete coloro che li arrancano di far profitto. Che se pure saranno alcuni che senza rete si dilettin di sperimentare lo ingegno, procaccinsi con la vista questa stessa regola de le maglie, tal che sempre quivi si imaginino esser tagliata una linea a traverso, da una altra fatta a piombo, la dove essi statuiranno il termine guardato nella Pittura. Ma perche il più de le volte a Pittori non pratichi appariscon dubii et incerti i d’intorni de le superficie: come interviene ne volti, ne quali non discernono tal volta in qual luogo principalmente sieno terminate le tempie da la fronte, perciò bisogna insegnar loro, in che modo e’ possino imparare a conoscere questa cosa. La natura veramente ce lo insegna benissimo. Percioche, si come noi veggiamo nelle superficie piane, che son belle quando elle hanno i loro propri lumi et le loro proprie ombre, cosi nelle superficie sferiche et concave ci pare che elle stieno bene quando che elle quasi divise in più superficie hanno diverse macchie di ombre et di lumi. Tutte le parti adunque ciascuna da per se che hanno differenti lumi et differenti ombre, si hanno a considerare come altretante superficie, che se una veduta superficie continoverà da la sua ombra mancando a poco a poco sino al suo maggior lume, si debbe allhora segnare con una linea il mezo che è infra l’uno spatio et l’altro, accio che si habbi manco dubbio de la regola che tu harai a tenere nel colorire lo spatio. Restaci a trattare ancora qualche cosa del disegno, il che si aspetta non poco veramente al componimento: però è ben sapere, che cosa sia il componimento nella Pittura. Et veramente il componimento quel modo o regola nel dipignere, mediante la quale tutte le parti si compongono insieme nell’opera de la Pittura. Grandissima opera del Pittore è la historia: le parti de la historia sono i corpi: le parti del corpo sono le membra: le parti de le membra, sono le superficie. Et essendo il disegno, quella regola o modo del dipignere, mediante il quale disegnano i d’intorni a ciascuna de le superficie, et de le superficie essendone alcune piccole, come quelle de gli animali, et alcune grandissime come quelle de colossi et de gli edificii; del disegnare le superficie piccole, bastino quegli ammaestramenti che si son detti sino a qui. Conciosia che ei si è dimostro come elle si disegnano bene con la rete. Ma nel disegnare le superficie maggiori ci bisogna trovare altra regola. Per il che ci bisogna ridurre alla memoria tutte quelle cose che si sono insegnate di sopra de le superficie, de razzi, de la piramide, del taglio. Finalmente tu ti ricordi di quel che io dissi de le linee parallele, de lo spazo o pavimento, et del punto centrico, et de la linea. Sopra del pavimento adunque disegnato con le linee parallele, si hanno a rizzare le alie de muri, et qual altre cose simili si vogliano, che noi chiamiamo superficie ritte. Dirò adunque brevemente quel che io fo nel rizzare queste cose. La prima cosa io mi incomincio da essi [p. 304 modifica]fondamenti, et disegno del pavimento la larghezza et la lunghezza de le mura; nel disegnare la qual cosa io ho imparato da la natura, che da una veduta sola non si può vedere più che due superficie congiunte insieme ritte dal piano di qual si voglia corpo quadrato fatto ad angoli a squadra. Nel disegnare adunque i fondamenti de le mura, io osservo quello di tirare solamente quelle faccie o lati, che mi si apresentano alla veduta. Et la prima cosa io comincio da le superficie che mi sono più vicine, et da quelle massimo che sono parimente lontane dal taglio. Per tanto io disegno queste inanzi alle altre, et delibero mediante esse linee parallele disegnate nel pavimento, quanto io voglio che esse mura sieno lunghe et larghe. Imperoche io piglio tante parallele quanto io voglio che elle siano braccia, et piglio il mezo de le parallele da la scambievole intersegatione di ciascun diametro di esse parallele. Si che per questa misura de le parallele, io disegno benissimo: la larghezza et la lunghezza di esse mura che si rilevano di sul piano. Di poi conseguisco da questo non difficilmente ancora la altezza de le superficie. Imperoche quella misura che è infra la linea centrica et quel luogo del pavimento donde incomincia a rilevarsi la quantità de lo edificio, tutta quella quantità osserverà la medesima misura. Et se tu vorrai che cotesta quantità che è dal pavimento alla cima, sia per quattro tante quanto la lunghezza del huomo dipinto, et la linea centrica sarà posta alla altezza de l’huomo, saranno veramente allhora da la più bassa parte de la quantità insino alla linea centrica tre braccia. Ma tu che vuoi che questa quantità cresca sino alle dodici braccia, tira allo in su per tre volte quella quantità che è dal da basso sino alla linea centrica. Possiamo adunque mediante le regole addotte del dipignere, disegnare bene tutte le superficie angolari Fig. 5. Restaci a trattare del disegnare con i loro d’intorni le superficie circulari. Le superficie in cerchio veramente si cavano da le angolari, il che io fo in questo modo. Io disegno dentro ad un quadrangolo di lati uguali, et di angoli a squadra un cerchio, et divido i lati di questo Quadrangolo in altretante parti, in quante fu divisa la linea di sotto del quadrangolo in la Pittura, et tirando le linee de le divisioni da ciascuno punto di esse all’altro a lui opposto, riempio quello spatio di piccoli quadrangoli, et sopra vi disegno un cerchio quanto io lo voglio grande, di maniera che esso, cerchio et le parallele scambievolmente si interseghino insieme, et noto i luoghi di tutti i punti de le intersegationi, i quai luoghi segno ancora in esse parallele del pavimento disegnato in Pittura, o Proepettiva. Ma perche sarebbe una fatica estrema intersegare con spessissime, et quasi infinite parallele tutto il cerchio, sino a tanto, che con un numeroso segnamento di punti si continoverebbe il d’intorno del cerchio: Et però io noto solo con otto, o con quante più mi piaceranno intersegationi, et dipoi tiro mediante lo ingegno la circunferentia o ambito del cerchio alli già segnati termini. Forse sarebbe strada più breve, disegnar questo d’intorno all’ombra di lucerna, pur che il corpo, che causasse l’ombra, ricevesse il lume con regola certa, et fusse posto al suo luogo. Fig. 6. Si che noi habbiam detto, come mediante gli aiuti de le parallele si disegnino le superficie maggiori angolari, et circolari. Finito di trattare adunque di ogni sorte di disegno, ci resta a trattare del componimento. E veramente il componimento quella regola del dipignere, mediante la quale le parti si compongono insieme nel lavoro de la Pittura. La maggior opera che faccia il Pittore, non è una statua grande quanto un colosso; ma è una historia. Conciosia che si truova maggior lode d’ingegno in una historia, che in un Colosso. Le parti de la historia sono i corpi, le parti de corpi sono le membra, et le parti de le membra sono le superficie, perche di queste si fanno le membra, de le membra i corpi, de corpi la historia, de la quale si fa quella ultima, veramente et perfettamente fina opera del Pittore. Dal componimento de le superficie, ne nasce quella leggiadria et [p. 305 modifica]quella gratia, che costoro chiamano bellezza. Conciosia che quel viso che harà alcune superficie grandi et alcune piccole, che in un luogo eschino troppo infuori, et nell’altro si nascondin troppo adentro, come si vede ne visi de le vecchie, sarà questo a vedersi certamente cosa brutta. Ma in quella faccia, nella quale le superficie saranno di maniera congiunte insieme, che i dolci lumi si convertino a poco a poco in ombre soavi, et non vi saranno alcune asprezze di angoli, questa chiameremo noi a ragione faccia bella, et che ha venustà. Adunque in questo componimento de le superficie bisogna andar investigando grandemente la gratia et la bellezza. Ma in che modo noi possiamo ottener questo, io non ho trovata via più certa, che andar a considerare la natura stessa: et però guardiamo diligentissimamente et per lunghissimo tempo, in che modo la natura maravigliosa artefice de le cose, habbi composte le superficie nelle bellissime membra. Ne lo imitare la quale bisogna esercitarsi con tutti i pensieri et diligentie nostre, et dilettarsi grandemente, come dicemmo de la rete. Et quando noi haremo poi cavate le superficie da bellissimi corpi, et le haremo a mettere in opera, delibereremo sempre la prima cosa i termini, mediante i quali noi possiamo tirare le linee a luoghi loro destinati. Basti haver detto insino a qui del componimento de le superficie. Fig. 7. Resta che noi diciamo del componimento de membri. Nel componimento de membri la prima cosa bisogna procurare che tutte le membra fra loro sieno proportionate. Dicesi che elle sono bene proportionate, quando esse corrispondono et quanto alla grandezza, et quanto allo officio, et quanto alla specie, et quanto a colori, et alle altre cose simili, se alcune più ce ne sono, alla bellezza et alla maiestà. Che se in alcuna figura sarà un capo grandissimo, uno petto piccolo, una mano molto grande, un piè enfiato, un corpo gonfiato, questo componimento in vero sarà brutto a riguardarlo. Bisogna adunque, quanto alla grandezza, tenere una certa regola nel misurare, la quale giova molto nel dipignere gli animali: andar la prima cosa esaminando con lo ingegno, quali sieno l’ossa, che essi hanno, imperoche queste, perche elle non si piegano, occupano sempre una sede et luogo certo: Dipoi bisogna porre a luoghi proprii i nervi, et i muscoli loro: et ultimamente vestire di carne, et di pelle le ossa, et i muscoli. Ma in questo luogo ci saranno forse di quelli che mi riprenderanno, perche io ho detto di sopra, che al Pittore non si aspetta alcuna di quelle cose, che non si veggono. Diranno veramente costoro bene; Ma come nel vestire bisogna disegnar prima sotto lo ignudo, il qual poi noi vogliamo involger a torno di vestimenti, cosi nel dipignere uno ignudo, bisogna prima disporre et collocare a luoghi loro le ossa et i muscoli, quali tu habbi poi per ordine a coprire di carne et di pelle talmente, che non difficilmente si habbi a conoscere in qual luogo sieno situati essi muscoli: Ma perche havendo essa natura esplicate tutte queste misure et postecele inanzi a gli occhi, lo studioso Pittore troverà non piccola utilità in riconoscere quelle medesime con la fatica sua da essa natura. Et però gli studiosi piglino questa fatica, accioche tutto quel che di studio et di opera essi haranno posto in riconoscere la proportione de le membra, ei conoschino havergli giovato a tenere ferme nella memoria quelle cose che essi haranno imparate. Avertiscoli nondimeno la prima cosa di questo, che nel misurare lo animale ei si pigli qualcuno de’ membri di esso stesso animale, per il quale si misurino tutte le altre membra. Vitruvio Architettore misura la lunghezza del huomo con i piedi. Ma io penso che sia cosa più degna, se le altre membra si rapporteranno alla quantità del capo. Ancor che io ho considerato che per lo più è quasi comune ne gli huomini, che tanta è la misura del piede, quanto è dal mento a tutta la testa: Si che preso uno di questi membri, tutte le altre si hanno ad accomodare a questo; talmente che non sia membro alcuno in tutto lo animale, che per lunghezza, o larghezza non corrisponda a gli altri. Oltra di questo si ha ad haver cura, che tutte le membra [p. 306 modifica]faccino li officii loro, per quel che elle son fatte. E’ conveniente ad un che corre, gittar le mani non meno che i piedi, ma un Filosofo che facci una oratione, vorrei o che in ogni suo membro fusse più modesto, che un giuocatore di braccia. Demon Pittore, espresse Hoplicite in un combattimento talmente che tu diresti che egli sudasse, et uno altro che posava talmente le armi, che tu diresti, ei ripiglia a pena il fiato. Fu ancora chi dipinse Ulisse di maniera, che tu riconosceresti in lui non la vera, ma la finta, et simulata pazzia. Lodasi, appresso de Romani, la historia nella quale Meleagro è portato via morto, et coloro che lo portano, paiono che si dolghino, et con tutte le membra si affatichino, et in colui che è morto, non vi è membro alcuno, che non appaia più che morto, cioè ogni cosa casca, le mani, le dita, il capo, ogni cosa languida ciondola. Finalmente tutte le cose convengono insieme ad esprimere la morte del corpo; il che è la più difficile di tutte le cose. Imperoche il rassimigliare le membra ociose in ogni parte in un corpo, è cosa di eccellentissimo maestro, si come è il far che tutte le membra vive faccino qualche cosa. Adunque in ogni Pittura si debbe osservare questo, che qualunque si sieno membra faccino di maniera lo officio per il che esse fon fatte, che nessuna arteria, ben che minima, manchi de lo officio suo, talmente che le membra de morti paino a capello tutte morte, et quelle de vivi tutte vive. Allhora si dice che un corpo vive, quando da sua posta ei faccia qualche moto. Et la morte dicono che è quando le membra non posson più esercitare gli officii de la vita, cioè il moto et il senso. Adunque quelle immagini de corpi che il Pittore vorrà che apparischino vive, farà che in queste tutti i membri mettino in atto i loro moti, ma in ogni moto bisogna andar dietro alla bellezza et alla gratia. Et sono grandemente vivaci et gratissimi quei moti de corpi, che alzandosi vanno verso l’aria. Oltra di questo dicemmo che nel comporre le membra bisognava haver riguardo alla specie. Imperoche saria cosa molto disconveniente, se le mani di Elena o di Ifigenia apparissino mani di vecchie o di contadine. O se a Nestore si facesse un petto da giovane, o una testa dilicata. O se a Ganimede si facesse una fronte piena di crespe, o le gambe da un giucatore di braccia, o se a Milone robustissimo più di tutti gli altri si facessero i fianchi smilzi et sottili. Oltra di questo ancora in quella immagine che harà il volto pieno et grassotto come si dice, sarà cosa brutta far che se li vegga le braccia et le mani strutte et consumate da la fame. Et per il contrario chi dipingesse Achemenide in quel modo et con quella faccia che Virgilio dice esser stato trovato da Enea nella Isola, se le altre membra non corrispondessero a quella magrezza, sarebbe certo tal Pittore ridicolo et pazzo. Oltra di questo vorrei che si corrispondessero fra loro ancor di colore. Imperoche quelle immagini che hanno i volti a guisa di rose, bellissimi, et rugiadosi, non è conveniente che habbino i petti et le altre membra scure et horribili. Adunque nel componimento de membri habbiamo detto a bastanza quel che si deve osservare quanto alla grandezza, allo officio, alla specie, et a colori. Conciosia che ei bisogna che ogni cosa corrisponda, secondo la verità de la cosa. Et non è conveniente fare una Venere, o una Minerva vestita di Pitoccho; ne fare un Giove, o un Marte vestiti di una veste da donna, saria conveniente. I Pittori antichi nel dipignere Castore et Polluce avvertivano che oltre a che e’ paressero nati ad un corpo, in uno nondimeno si scorgesse una natura più robusta, nell’altro una più agile. Oltra di questo volevano che Vulcano sotto le sue vesti apparisse zoppicante. Tanto era lo studio che essi ponevano nello esprimere le cose secondo lo officio, la spezie, et la dignità loro. Seguita il componimento de corpi nel quale consiste tutto lo ingegno et tutta la lode del Pittore; del qual componimento si son dette alcune cose attenenti al componimento de membri. Imperoche ei bisogna che quanto allo officio et alla grandezza tutti i corpi si [p. 307 modifica]accordino insieme nella historia. Conciosia che se tu dipignessi in un convito i centauri che tumultuassino insieme, sarebbe cosa da pazzi, in tanto sfrenato et bestiale tumulto che vi fusse alcuno che adormentato, mediante il vino diacesse. Oltra di questo sarebbe ancora difetto se gli huomini in uguale distantia apparissero maggiori questi che quelli, come che se in pittura si facessero i cani grandi quanto i cavagli. Et non sarebbe ancor poco da vituperare, che io vegho il più de le volte dipinti in uno edificio gli huomini come che rinchiusi in un forziere, nel quale cappiono a gran pena a sedere, o ristretti in un cerchio. Tutti i corpi adunque debbon confarsi, mediante la grandezza et mediante lo officio, a quella cosa per la quale son fatti. Ma la historia che ragionevolmente sia da lodare et guardare con maraviglia, bisogna che sia tale che con alcuni allettamenti si dimostri esser tanta dilettevole et ornata, che intrattenga lungamente gli occhi di coloro che sanno, et di quei che non sanno, con piacere, et con dilettatione de lo animo. La prima cosa che nella historia arreca, et ti porge piacere, è essa copia et varietà de le cose. Imperoche si come ne cibi, et nella musica sempre la nuova et inusitata abbondantia, si forse per le altre cose, si ancora diletta non senza maraviglia per quella causa che è diversa, et differente da le cose antiche et consuete: Cosi in ogni varietà di cose, et in ogni abbondantia lo animo si compiace, et diletta. Et perciò nella Pittura la varietà de corpi, et de colori è gioconda. Io dirò che quella historia è copiosissima nella quale a lor luoghi saranno mescolati insieme vecchi huomini, giovani, putti, matrone, fanciulle, bambini, animali domestici, cagnoletti, uccelletti, cavalli, pecore, edificii, et provincie; et loderò qual si voglia abbondantia, pur che ella si confaccia alla cosa che quivi si vuol rapresentare. Conciosia che egli aviene che riguardando, nel considerar le cose, consumon ivi più tempo, et la abbondantia et ricchezza del Pittore acquista gratia. Ma io vorrei che quella abbondantia fusse adorna, et prestasse di se una certa varietà, grave, et moderata, mediante la dignità, et la reverenza. Io non lodo quei Pittori quali per parere copiosi, et perche non voglion che nelle cose loro vi rimanga punto di voto, perciò non vanno dietro a componimento alcuno, ma seminano ogni cosa scioccamente et confusamente, per il che non par che la historia rapresenti quel che ella vuol fare, ma che tumultui, et forse quel che la prima cosa desidererà nella sua historia, è la dignità. Imperoche si come in un Principe il parlar poco arreca maiestà, pur che si intendino i sensi de le parole, et i comandamenti, cosi in una historia un ragionevol numero di corpi arreca degnità, et la varietà arreca gratia. Io ho in odio nella historia la solitudine, nientedimeno non lodo anco la abbondantia che disconvenga alla dignità. Anzi nella historia solo grandemente quel che io vegho esser stato osservato da Poeti tragici et da Comici, ei rapresentino con manco numero di persone la favola loro: Et veramente secondo il giudicio mio non bisognerà riempire una historia di tanta varietà di cose, che ella non possa degnamente esser composta di nove o dieci huomini. Si come io giudico che a questo si appartenga quel detto di Varrone, il quale volendo schifare nel convitare il tumulto, non invitava mai più che nove. Ma essendo in qualunque historia, gioconda la varietà, quella Pittura nondimeno è grata a tutti, nella quale le positure et le attitudini de corpi sono fra loro molto differenti. Stieno adunque alcuni da essere sguardati tutti in faccia, con le mani alte, et con le dita risplendenti, posati sopra uno de li piedi, altri stieno con la faccia in profilo, et con le braccia a basso et con i piedi del pari, et ciascuno habbia da per se i suoi piegamenti et le sue attitudini. Altri stieno a sedere o inginochioni, o quasi adiacere: sieno alcuni ignudi se ciò è conveniente, alcuni altri per il mescolamento dell’una et dell’altra arte vi siano parte ignudi et parte vestiti, ma habbisi sempre cura alla honestà et alla reverenza. Conciosia che le parti vergognose del corpo, et le altre simili che hanno poco del gratioso, cuoprinsi o con [p. 308 modifica]panni, o con frondi, o con le mani. Apelle dipigneva solamente quella parte de la faccia di Antigono, da la quale non appariva il difetto de lo occhio. Et Homero quando desta Ulisse nel naufragio dal sonno, per non fare che egli andasse ignudo per la selva dietro alla voce de le donne, si legge, che diede a quel huomo una de le fronde de gli arbori, accio che si coprisse le vergogne. Raccontano che Pericle haveva un capo lungo et brutto, et però da pittori, et da gli Scultori non fu fatto mai a capo scoperto, come gli altri, ma sempre con la celata in testa. Oltra di questo Plutarco racconta che i Pittori antichi usavano nel dipignere i Re, se egli havevano difetto alcuno quanto alla forma loro, non volevano che ei paresse che essi lo havessino lasciato in dietro, ma salvataa la somiglianza lo emendavano quanto più potevano. Questa modestia et questa reverentia, desidero io che in tutta la historia si osservi, a ciò che le cose oscene o si lascino da parte, o si emendino. Finalmente come io dissi penso che sia da affaticarsi che in nessuna immagine si vegga il medesimo gesto, o la medesima attitudine. Farà oltra di questo la historia stare gli spettatori con gli animi attenti, quando quegli huomini che vi saranno quieti, rappresenteranno grandissimamente i moti degli animi loro. Imperoche ei avviene da la natura, de la quale non si truova cosa alcuna che sia più rapace, ne che ci tiri più de le cose simili, che noi piangiamo con chi piange, ridiamo con chi ride, et ci condogliamo con chi si rammarica. Ma questi moti de lo animo si conoscono, mediante i moti del corpo. Imperoche noi veggiamo come i melanconici, perche ei sono afflitti da i pensieri et stracchi da la infermità, come ei sono per modo di dire agranchiati di tutti i sensi et forze loro, et come ei si stanno lenti lenti con le membra pallide et che quasi cascano loro. Imperoche coloro che si rammaricano, hanno veramente la fronte bassa, il capo languido, et tutte le altre membra finalmente come stracche, et abbandonate gli cascano. Ma gli stizzosi perche gli animi se gli accendono per la stizza, et la faccia et gli occhi gli gonfiano, et gli diventano rossi et i moti di tutti i membri, mediante il furore de la stizza, sono velocissimi et fieri. Ma quando noi siamo lieti et allegri, allhora habbiamo i moti sciolti et grati mediante alcune attitudini, E’ lodato Eufranore, che in Alessandro egli dipinse talmente il volto di Paride, et la faccia, nella quale tu facilmente potevi riconoscerlo et Giudice de le Dee, et innamorato di Elena, et insieme ammazzatore di Achille. Maravigliosa lode è ancora quella di Daemone Pittore, che nelle sue tavole potevi riconoscere esservi lo iracondo, lo iniusto, lo inconstante, et insieme ancora lo esorabile et il clemente et il misericordioso et il glorioso et l’umile, et il feroce. Ma infra gu altri raccontano che Aristide Thebano pari ad Apelle, espresse grandemente questi moti de lo animo; i quali è cosa certa che noi ancora potremo molto ben fare quando noi porremo in questa cosa quello studio et quella diligentia che ci si conviene. Bisogna adunque che il Pittor sappia eccellentemente le atitudini et i moti del corpo, i quali io giudico che si habbino a cavare dal naturale con infinita diligentia. Imperoche la cosa è difficilissima mediante gli infiniti moti de lo animo, per i quali si variano ancora i moti del corpo. Oltre di questo chi crederia, se non chi ne ha fatto la esperientia, che egli e difficilissimo quando tu vorrai dipignere uno viso che rida, schifar quello per il quale egli parrà più tosto piangere che ridere? Oltra di questo chi sarà quello che possa senza grandissimo studio et diligentia esprimere i volti, ne quali et la bocca, et il mento, et gli occhi et le guance et la fronte et le ciglia, si confrontano et uniscono insieme et al pianto et al riso? Et perciò bisogna diligentissimamente andarle ritrovando dal naturale, et immitar sempre le cose più pronte. Et principalmente si debbon dipignere quelle cose le quali lascino agli animi più da pensare, che quelle che si veghon da gli occhi. Ma raccontiamo noi alcune cose, che noi habbiamo fabricate con il nostro [p. 309 modifica]ingegno quanto alle attitudini, et parte ancora imparate da essa natura. La prima cosa io credo che ei bisogni che tutti i corpi infra di loro si muovino, con una certa gratia et convenienza, verso quella cosa de la quale si tratta. Oltre di questo mi piace che nella historia sia qualcuno che avvertisca gli spettatori chiamandoli con la mano a vedere quelle cose che quivi si fanno, overo come che ei voglia che quel negotio sia segreto, minacci con volto crudele et con occhi spaventosi che tu non ti accosti là, o ti dimostri quivi essere qualche gran pericolo, o qualche cosa maravigliosa: O che con i suoi gesti ti inviti o a ridere seco, o forse a piangere. Finalmente egli è di necessità che tutte quelle cose che essi fanno infra di loro, et con coloro ancora che le guardano, concorrino a fare et a dimostrare la historia. E’ lodato Timante di Cipro in quella tavola, nella quale ei vinse Colloteico, perche havendo fatto Calcante melanconico, fece più melanconico Ulisse: et perche nel dipingere Menelao addoloratissimo egli vi aveva posto tutto lo ingegno e consumata tutta la arte sua, havendo consumati tutti gli affetti, non trovando il modo da poter dipignere il viso de lo adoloratissimo padre, involse il capo di quello in un panno per lasciare in lui più di quel se li potesse discernere nel viso, del dolore che haveva nello animo. Lodasi la Nave in Roma, nella quale Giotto nostro, Pittore Toscano, espresse talmente gli undici spaventati, et stupefatti discepoli, mediante il compagno che caminava sopra le onde del mare, che ciascuno da per se dava particulare inditio del turbato animo suo, et con le attitudini del corpo tali che ciascuno rappresenta variamente lo spavento che essi hanno. Ma è conveniente trapassar via brevemente tutto questo luogo de moti. Imperoche de i moti ne sono alcuni de lo animo, i quali da i dotti son chiamati passioni, come è la ira, il dolore, l’allegrezza, il timore, il desiderio et simili: ne sono ancora de gli altri che sono de corpi: Imperoche ci si dice che i corpi si muovono in molti modi, cioè quando et crescono, o quando egli scemano, o vero quando essendo sani cascano in infermità, o quando da le infermità ritornano alla sanità; quando anco si mutano di luogo, et per simili altri casi si dice che si muovono i corpi. Ma noi Pittori che mediante i moti de membri vogliamo esprimere gli affetti degli animi, lasciate tutte le altre dispute da parte, tratteremo solo di quel moto, che noi diremo che si sia fatto quando si sarà mutato il luogo. Tutte le cose che si muovono di luogo, hanno sette viaggi da muoversi; imperocche o elle si muovono allo in su, o allo in giu, o verso la destra, o verso la sinistra, o discostandosi o avicinandosi a noi, et il settimo viaggio è quando elle si muovono girando a torno. Tutti questi moti adunque desidero io che sieno nella Pittura. Sianvi alcuni corpi che venghino in verso noi, alcuni altri se ne discostino alcuni vadino verso la destra et altri verso la sinistra. Oltra di questo mostrinsi alcune parti di essi corpi a rincontro di chi le riguarda, alcune tornino indietro, alcune si alzino allo in su, alcune si abbassino. Ma perche nel disegnare questi moti si passa alcuna volta la regola et lo ordine, mi piace in questo luogo raccontare alcune cose del aito et de moti de membri, che io ho cavate dal naturale, accioche si vegha manifesto con che modestia ci habbiamo a servire di essi moti. Io certamente ho veduto nel huomo, che in ogni sua attitudine egli sottopone tutto il corpo al capo, membro più di tutti gli altri gravissimo. Oltra di questo se uno si reggerà con tutto il corpo sopra di un piede solo, sempre esso piede come se fusse basa de la colonna, viene a piombo sotto al capo, et quasi sempre il volto di colui che sta sopra un piè, guarda in quella parte verso la quale è a diritto il piede. Ma i movimenti del capo ho io avvertito che mai sono a gran pena tali verso una de le parti, che egli non habbia sempre sotto di se alcune parti del resto del corpo, da le quali sia retto il gran peso, overo che ei non distenda verso l’altra parte qualche altro membro a guisa di una parte de la bilancia che lo contrapesi. Imperoche noi [p. 310 modifica]veggiamo il medesimo quando qualcuno distesa la mano sostiene qualche peso, che con l’altro piede come che si sia fermo il fuso de la bilancia, si ferma allo incontro con tutta la altra parte del corpo per contrapesar il peso. Io ho avertito che il capo di uno che sta ritto in piede, non si volta mai più su, che per quanto ei vega con gli occhi il mezzo del cielo, ne si volge anco mai in alcun degli lati più che tanto quanto che il mento gli batterà sopra le ossa de le spalle; et in quella parte del corpo che noi ci cinghiamo, a gran pena ci volgiamo mai tanto che la spalla venga per diritta linea sopra il bellico. I moti de le gambe et de le braccia sono alquanto più liberi, purche non impedischino le altre honeste parti del corpo, et in queste ho considerato nella natura che le mani per lo più non si alzano sopra il capo, ne il gomito sopra le spalle, ne si alza il piede sopra il ginocchio, ne il piede si allontana mai dal piede, se non per lo spatio di un piede. Ho veduto oltra di questo, che, se noi alzeremo in alto alcuna de le mani, tutte le altre parti di quel lato insino al piede van seguitando quel moto, tal che sino al calcagno di quel piede si rilieva dal pavimento, mediante il moto di esso braccio. Sono infinite cose simili a queste, le quali avertirà il diligente maestro, et forse quelle che io ho racconte insino a qui, sono cosi manifeste insino ad hora, che possono parere superflue. Ma non le ho lasciate indietro perche io ho visti molti errare in questa cosa grandemente. Le attitudini et i moti troppo sforzati esprimono et mostrano in una medesima imagine, che il petto et le reni si veggono in una sola veduta, il che essendo impossibile a farsi, è ancora inconvenientissimo à vedersi. Ma perche questi tali senton che quelle imagini paiono maggiormente più vive, quanto più fanno sforzare attitudini di membra, però sprezzata ogni dignità de la Pittura, vanno imitando in cio quei moti de giucolatori. La onde non solo le opere loro sono ignude, et senza gratia, o leggiadria alcuna, ma esprimono ancora il troppo ardente ingegno del Pittore. Debbe la Pittura haver moti soavi et grati, et convenienti a quel che ella vuole rappresentare. Apparisca nelle fanciulle il moto et la habitudine venerabile, l’ornamento leggiadro et semplice condecente alla età, la positura sua habbi più tosto del dolce, et del quieto, che de lo atto alla agitatione. Ancor che ad Homero dietro al quale andò Zeusi, piacque ancora nelle femine una bellezza gagliardissima. Apparischino ne giovanetti i moti più leggieri et più giocondi, che dien segno di animo et di forze valorose. Apparischino ne gli huomini i moti più fermi, et attitudini belle, atte ad uno veloce menar di braccia. Ne vecchi apparischino tutti i moti tardi, et siano esse attitudini stracche, tal che non solo si reghino sopra amenduoi i piedi, ma si appoggino a qualche cosa con le mani: et finalmente riferischinsi secondo la dignità di ciascuno tutti i moti del corpo a quegli affetti de gli animi, che tu vorrai rapresentare. Dipoi finalmente egli è di necessità che le significationi de le grandissime passioni de gli animi apparischino et si esprimino grandissimamente in essi corpi. Et questa regola de’ moti, et de le attitudini, è molto commune in qual si voglia sorte di animali. Conciosia che non sta bene, che un bue che serve ad arare, faccia le medesime attitudini, che il generoso cavallo di Alessandro, Bucefalo. Ma quella tanto celebrata figliuola di Inaco, che fu convertita in Vacca, dipigneremo forse noi comodamente, come che ella corra con la testa alta, con i piedi alzati, et con la coda torta. Basti havere scorse queste cose brevemente de moti de gli animali. Ma perche io penso, che tutti questi moti, de quali habbiamo parlato, sieno ancora necessarii quanto alle cose inanimate, nella Pittura, io penso che sia bene trattare in che modo esse si muovono. Imperoche i moti et de capegli, et de le chiome, et de rami, et de le frondi, et de le vesti espressi nella Pittura dilettano ancora essi. Io certamente desidero, che essi capegli rappresentino tutti a sette quei moti che io ho racconti. Imperoche avvolghinsi in giro facendo un nodo, sparghinsi in aria immitando le fiamme, [p. 311 modifica]vadino hora serpeggiando sotto altri capelli, hora si rilievino in verso questa et quella altra parte: Sieno ancora i piegamenti de rami et i lor concavi con arco vedo lo alto; parte ritornino in dentro, parte si avvolghino a guisa di fune. Et questo medesimo accaggia nelle pieghe de panni, che si come da un troncone di uno albero nascono in diverse parti molti rami, cosi da una piega naschino molte pieghe, come dal troncone i rami: et in queste medesimamente si veghino tutti i moti, tal che non vi sia alcuna piega di panno nella quale non si ritruovino quasi tutti i detti moti. Ma sieno tutti i moti, il che io avertisco spesso, moderati et dolci, et mostrino più tosto di loro gratia che maraviglia de la fatica. Ma poi che noi vogliamo che i panni sieno atti a moti, et essendo i panni di lor natura gravi, et che continovamente cascando piombano a terra, et perciò sfuggono ogni piegamento; bene perciò si porrà nella Pittura la faccia di zefiro o di austro, che soffi infra i nugoli ad una punta de la historia, da la quale tutti i panni venghino spinti verso la contraria parte: da la qual cosa ne verrà ancor quella gratia che quei lati de corpi, che saranno battuti dal vento, perche i panni si accosteranno per il vento a corpi, essi corpi appariranno quasi ignudi sotto il velamento del panno: et da le altre parti i panni agitati dal vento faranno pieghe, inondando nell’aria, bellissime. Ma in questo battimento del vento bisogna guardarsi, che nessun moto di alcun panno venga contro al vento, et che le pieghe non sieno troppo taglienti, ne troppo rotte. Queste cose adunque che si son dette de moti de gli animali, et de le cose inanimate, si debbono grandemente osservar da Pittori, et mettersi tutte l’altre cose ancora diligentemente ad esecutione, che si son dette di sopra del componimento de le superficie de membri, et de corpi. Si che noi habbiam determinate due parti de la Pittura, il disegno, et il componimento. Restaci a trattare de ricevimenti de lumi. Ne primi principii si dimostrò a bastanza che forza habbino i lumi in variare i colori. Percioche stando fermi i generi de colori, noi insegnammo in che modo essi parevano hora più chiari, et hora più scuri, secondo lo applicamento de lumi, o de le ombre, et che il bianco et il nero erano quei colori, mediante i quali noi nella Pittura esprimiamo i lumi et le ombre: et che gli altri colori sono da essere stimati per la materia, con i quali si aggiunghino le alterationi de lumi, et de l’ombre. Adunque lasciate le altre cose a dietro doviamo dichiarare in che modo il Pittore si ha da servire del bianco, et del nero. Maravigliaronsi i Pittori antichi che Polignoto et Timante si servissino solo di quattro colori, et che Aglaofone si dilettasse di un solo colore, come che se in tanto numero che ei pensava essere de i colori, fusse poco che quegli ottimi Pittori ne havessino messi si pochi in uso, dove giudicano che ad un copioso maestro si appartenga metter in opera qual si voglia moltitudine di colori. Io veramente affermo, che la varietà et la abbondantia de colori arreca molta gratia, et molta leggiadria alla Pittura. Ma io vorrei che i valenti Pittori giudicassero che si debbe porre ogni industria et ogni arte nel disporre et collocar bene il bianco et il nero, et che in collocar questi bene, et ben accomodargli, si deve por tutto lo ingegno, et qual si voglia estrema diligentia. Imperoche si come lo avvenimento de lumi et dell’ombre fa che ei si vede in qual luogo le superficie si rilievino, et in quali elle sfondino, et quanto ciascuna de le parti declini, o si pieghi; cosi lo accomodar bene del bianco et del nero fa quello che era atribuito a lode a Nitia Pittore Atheniese, et quel che la prima cosa ha da desiderare il maestro, che le sue Pitture apparischino di gran rilievo. Dicono che Zeusi nobilissimo et antichissimo Pittore, fu quasi il primo che seppe tener questa regola de lumi et de le ombre. Ma a gli altri non è attribuita questa lode. Io certamente non penserò che nessuno sia, non che altro, Pittore mediocre, che non sappia molto bene che forza habbi ciascuna ombra et ciascun lume in tutte le superficie. Io loderò quei volti dipinti, con buona gratia de dotti et de gli [p. 312 modifica]ignoranti, i quali come che di rilievo paia che eschino fuori dì esse tavole, et per il contrario biasimerò quegli ne quali non si vedrà forse punto di arte, se non ne d’intorni. Io vorrei che il componimento fusse ben disegnato et ottimamente colorito. Adunque perche ei non sieno vituperati, et perche ei meritino di esser lodati, la prima cosa debbono segnare diligentissimamente i lumi et le ombre, et debbono considerare che in questa superficie sopra la quale feriscono i razzi de lumi, esso colore sia quanto più si puo chiaro et luminoso, et che oltra di questo mancando a poco a poco la forza de lumi vi si metta a poco a poco il colore alquanto più scuro. Finalmente bisogna avertire in che modo corrispondino le ombre nella parte contraria a lumi, che non sarà mai superficie di alcun corpo che sia per lumi chiara, che nel medesimo corpo tu non ritruovi la superficie a quella contraria che non sia coperta, et carica di ombre. Ma per quanto appartiene immitare i lumi con il bianco, et le ombre con il nero, io ti avertisco che tu ponga il principale studio in conoscere quelle superficie che son tocche o dal lume, o da la ombra. Questo imparerai tu bene da la natura et da le cose stesse: Et quando finalmente tu conoscerai benissimo queste cose, altererai il colore entro a suoi d’intorni al suo luogo quanto più parcamente potrai con pochissimo bianco, et nel luogo suo contrario aggiugnerai parimente in quello instante un poco di nero. Imperoche con questo bilanciamento, per dir cosi, del bianco et del nero, il rilievo apparisce maggiore. Dipoi continova con gli accrescimenti con la medesima parsimonia fino a tanto che tu ti conosca haver guadagnato tanto che basti. Et ti sarà veramente a conoscer questo uno ottimo, giudice lo specchio. Et non so io in che modo le cose dipinte habbino una certa gratia nello specchio, pur che elle non habbino difetto. Oltra di questo è cosa maravigliosa, quanto ogni difetto nella Pittura apparisca più brutto nelle specchio. Emendinsi adunque le cose ritratte dal naturale, mediante il giuditio de lo specchio. Ma siami qui lecito raccontare alcune cose che io ho tratte dalla natura. Io ho veramente considerato, come le superficie piane mantenghino in ogni luogo di loro stesse uniforme il loro colore; Ma le tonde et le concave variano i colori; percioche da l’una parte son chiare, et da la altra scure et in uno altro luogo mantengono un colore mezzano. Et questa alteratione del colore nelle superficie non piane, arreca difficultà a Pittori infingardi: ma se il Dipintore segnerà bene, come dicemmo, i dintorni de le superficie, et separerà le sedie de lumi, gli sarà facile allhora il modo et la regola del colorire. Imperoche egli da prima andrà alterando o con il bianco o con il nero quella superficie secondo che bisognerà, insino alla linea de la divisione, quasi come che sparga una rugiada: Dipoi spargerà per dir cosi una altra rugiada oltre alla linea, et dopo questa un’altra oltre a questa, et dopo quella aggiugnendovene sopra una altra, gli verrà fatto che il luogo del lume sarà illuminato di più chiaro colore, et dipoi il medesimo colore, quasi come fumo sfumerà nelle parti che gli sono contigue. Ma bisogna ricordarsi che nessuna superficie si debba far mai tanto bianca, che tu non possa far la medesima più candida. Nello esprimere ancora esse vesti bianche bisogna ritirarsi molto da la ultima candidezza. Imperoche il Pittore non ha cosa alcuna eccetto che il color bianco, con il quale ti possa imitare gli ultimi splendori de le pulitissime; superficie, et ha trovato solamente il negro, con il quale egli possa rapresentare le ultime tenebre et oscurità de la notte. Et però nel dipignere le vesti bianche, bisogna pigliare uno de quattro generi de colori, che sia aperto et chiaro: Et per il contrario far quel medesimo nel dipignere un panno nero servirsi de lo altro estremo, perche non è molto lontano da la ombra, come se noi pigliassimo del profondo et negreggiante mare. Finalmente ha tanta forza questo componimento del bianco et del nero, che fatto con arte et con regola dimostra in Pittura le superficie di oro et di argento, et di vetro [p. 313 modifica]splendidissime. Sono adunque da esser grandemente vituperati quei Pittori che si servono del bianco intemperatamente, et del nero senza alcuna diligentia. Et per questo vorrei io che da i Pittori fusse comperato il color bianco più caro che le preziosissime gemme. Sarebbe veramente bene che il bianco et il nero si facesse di quelle perle di Cleopatra, che ella inteneriva con lo aceto, acciocche essi ne diventassero più avari. Imperoche le opere sarebbono più leggiadre et più vicine alla verità: ne si puo cosi facilmente dire, quanta bisogna che sia la parsimoma et il modo nel distribuire il bianco, et il nero nella Pittura. Per questo soleva Zeusi riprendere i Pittori, perche ei non sapevano che cosa fusse il troppo. Che se ei si debbe perdonare alli errori, son manco da esser ripresi coloro che troppo profusamente si servon del nero, che quegli che troppo intemperatamente usano il bianco. Noi habbiamo imparato mediante lo uso del dipignere che essa natura ha in odio l’un di più che lo altro la oscurità et lo horrido et continovamente quanto più sappiamo, tanto più rendiamo la mano inclinata alla gratia et alla leggiadria. Cosi naturalmente tutti amiamo le cose chiare et aperte. Adunque ci bisogna riserrar la strada da quella banda donde la via del peccare ci è più aperta. Queste cose bastino che insino a qui si son dette del servirsi del bianco, et del nero. Ma quanto a generi de colori bisogna ancora havervi una certa regola. Seguita adunque che si raccontino alcune cose de generi de colori. Non come diceva Vitruvio Architettore, racconteremo dove si trovi il buon cinabro o i colori lodatissimi: Ma in che modo gli sceltissimi, et ben macinati colori si habbino a mescolare et farne le mestiche nella Pittura. Dicono che Eufranore Pittore antico scrisse alcune cose de colori: ma questi scritti non ci sono. Ma noi che habbiamo renduta alla luce questa arte della Pittura, o come descritta già da altri, richiamatala dagli dii, infernali, o come non mai descritta da nessuno, condottala con lo ingegno nostro insin qui dal Cielo, tiriamo dietro secondo lo ordine nostro, si come habbiamo fatto fin qui. Io vorrei che i generi, et le spezie de colori, per insino a quanto si potesse fare si vedessino con una certa gratia, et leggiadria nella Pittura. Allhora vi sarà la gratia quando i colori saranno presso a colori posti con una certa estrema diligentia; come che se tu dipignessi Diana che guidasse un ballo, saria cosa conveniente vestir la Ninfa che le fusse più apresso, di panni, o drappi verdi, l’altra di bianchi, l’altra poi di rossi, et l’altra di gialli. Et oltra questo, che mediante la diversità di cosi fatti colori elle sieno vestite talmente che sempre i colori chiari si giunghino con alcuni colori oscuri di diverso genere da quello con cui si congiungono. Imperocche quel congiugnimento de colori si procaccia mediante la varietà maggior vaghezza, et mediante la comparatione maggior bellezza. Et è veramente in fra i colori una certa amicitia, che congiunti l’un con l’altro accrescono la vaghezza, et la bellezza. Se si mette il color rosso in mezo allo azzurro et al verde, sveglia all’uno, et allo altro un certo scambievole decoro: il color candido non solamente posto al lato al cenerognolo, et al giallo, ma quasi arreca a tutti i colori allegrezza. I colori oscuri stanno non senza degnità in fra i chiari, et medesimamente i chiari si collocano bene infra gli oscuri. Disporrà adunque il Pittore per la historia quella varietà di colori che noi habbiam detta. Ma ci sono alcuni che si servon dello oro senza alcuna modestia: perche ei pensano che lo oro arrechi una certa maiestà alla historia: io veramente non gli lodo. Anzi se io vorrò dipignere quella Didone di Vergilio che haveva la faretra di oro, et le chiome legate in oro, et la veste con i legami, et con le cinte di oro, et che era portata da cavalli, con freni d’oro, et che tutte le cose risplendevano di oro: io non dimeno mi ingegnerò di imitare con i colori più tosto che con lo oro quella grande abbondanza de raggi di oro, che percuota da ogni banda gli occhi de riguardanti. Imperoche essendo maggior la lode, et maggior la maraviglia del maestro ne colori, si puo ancora vedere che messo lo oro in una tavola piana, [p. 314 modifica]come la maggior parte de le superficie che ci bisognava rapresentarle chiare, et splendenti, appariscano a riguardanti oscure; et alcune altre che forse doveriano esser più adombrate, ci si mostrano più luminose. Gli altri ornamenti de maestri che si aggiungano alla Pittura, come sono le colonne, le base, et le cornici che se li fanno atorno di Scoltura, non biasimerò io, se elle non che altro saranno di argento o di oro massiccio, o almanco molto pulito. Imperoche una perfetta, et ben condotta historia, sarà degnissima pe gli adornamenti de le gemme. Insino a qui habbiamo brevissimamente dato fine alle tre parti de la Pittura. Noi habbiam trattato del disegno de le superficie minori, et maggiori. Habbiam detto del componimento de membri et de corpi, et de colori ancora quel tanto che habbia giudicato appartenesi all’uso del Pittore. Essi adunque dichiarata tutta la Pittura, la quale habbiam detto di sopra che consiste in queste tre cose, nel disegno, nel componimento, et nel ricevimento de lumi.