Della architettura della pittura e della statua/Della pittura/Libro terzo
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Leon Battista Alberti - Della architettura della pittura e della statua (1782)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
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DELLA PITTURA
di
leon batista alberti
libro terzo.
M
A per ordinare un Perfetto Pittore, talmente che ei possa acquistarsi tutte quelle lodi che si sono racconte, ci restano ancora a dire alcune cose, le quali io non penso che si debbino lasciare in questi miei commentarii in dietro: le racconterò più brevemente che mi sarà possibile. Lo officio del Pittore è, disegnare et colorire qualunque gli si propongano corpi in una superficie con linee, et colori di maniera, che mediante un certo intervallo, et una certa determinata positura del razo centrico, tutte le cose, che si vedranno dipinte, apparischino di rilievo, et somigliantissime alle proposteci cose. La fine del Pittore è, cercar di acquistarsi lode, gratia, et benevolentia, mediante le opere sue, più tosto che ricchezze. Et otterrà questo mentre la sua pittura intratterrà, et commoverà gli occhi et gli animi de riguardanti. Le quali cose come si possino fare, et per qual via, si disse quando si disputò del componimento, et del ricevimento de lumi. Ma io desidero che il Pittore, accioche ei sappia et intenda bene tutte queste cose, sia huomo et buono, et dotto de le buone arti. Imperoche ei non è alcuno che non sappia quanto la bontà possa assai più che la maraviglia di qual si voglia industria o arte, ad acquistarsi la benevolentia de cittadini. Oltra di questo non è alcuno che dubiti che la benevolenza giova ad un maestro grandissimamente ad acquistarsi laude, et a procacciarsi ricchezze. Percioche da questa benevolentia aviene, che tal volta i ricchi, sono mossi a dar guadagno principalmente a questo modesto, et buono, lasciando da parte uno altro che ne sa più, ma che è forse manco modesto. Le quali cose essendo cosi, il maestro dovrà haver gran diligenza a costumi, et alla creanza, e massimamente all’humanità et alla benignità, mediante le quali cose ei possa procacciarsi et la benevolentia fermo presidio contra alla povertà, et guadagno ottimo aiuto a poter condur le opere a perfettione. Desidero veramente che il Pittore sia quanto ei più puo dotto, in tutte le arti liberali, ma principalmente desidero che ei sappia geometria. Piacemi quel che diceva Panfilo antichissimo, et nobilissimo Pittore; dal quale i giovanetti nobili primieramente impararono la Pittura; imperoche egli diceva, che nessuno poteva mai essere buon Pittore, che non sapesse geometria. Veramente i nostri primi ammaestramenti, da i quali si cava tutta la assoluta et perfetta arte de la Pittura, sono facilmente intesi dal Geometra. Ma chi non ha notitia di essa, non posso io credere che intenda i nostri ammaestramenti, ne a bastanza ancora alcune regole de la Pittura. Adunque io affermo che i Pittori non si hanno a far beffe de la geometria. Di poi non sarà fuor di proposito, se noi ci diletteremo de Poeti, et de Retorici. Imperoche costoro hanno molti ornamenti a comune con i Pittori. Ne veramente gli gioveranno poco per ordinare eccellentemente il componimento de la historia, quei copiosi letterati che haranno notitia di molte cose, la qual lode consiste tutta principalmente nella inventione. Conciosia che ella ha questa forza, che essa sola inventione senza la Pittura, diletta. Lodasi mentre che si legge, quella descrittione de la Calunnia, che Luciano racconta essere stata dipinta da Apelle, et il raccontarla non credo che sia fuor di proposito, per avertire i Pittori, che ci bisogna che ei veghino, in trovare et metter insieme cosi fatte inventioni. Eravi veramente uno huomo che haveva duo grandissimi orecchi, intorno al quale stavano due donne, la Ignorantia, et la Sospitione; da la altra parte arrivando essa Calunnia, che haveva forma di una donnetta bella, ma che in volto pareva pur troppo malitiosa, et astuta, teneva nella man sinistra una face accesa, et con l’altra mano tirava per i capelli un giovanetto, il quale alzava le mani al Cielo. La guida di costui era un certo huomo pallido, et magro, brutto, et di aspetto crudele, il quale tu assomigliaresti ragionevolmente a coloro che la lunga fatica havesse consumati in un fatto d’arme, et meritamente lo chiamarono il Livore. Eranvi ancora due altre donne compagne della Calunnia, le quali accomodavano gli ornamenti alla padrona; La Insidia, et la Fraude. Dopo questa vi era la Penitentia vestita di una veste oscura, et sordidissima, che si stracciava, et graffiava se stessa, seguendole apresso la pudica, et vergognosa Verità. La quale historia ancor che intrattenga gli animi mentre che ella si racconta; quanto pensi tu che ella desse di se diletto, et gratia a vederla in essa pittura fatta da eccellente maestro? Che direm noi di quelle tre fanciullette sorelle, alle quali Esiodo pose i nomi, chiamandole Aglaia, Eufrosina, et Talia, che furon dipinte presesi per le mani, et che ridevano, ornate di una transparente et sciolta veste, per le quali vollono che si intendesse la Liberalità, percioche una de le sorelle dà, l’altra piglia, et la terza rende il beneficio; le quali conditioni veramente hanno da ritrovarsi in ogni perfetta liberalità. Vedi quanta gran lode arrecano al maestro cosi fatte inventioni? Et però consiglio io lo studioso Pittore che si doni quanto più puo a Poeti et a Retori, et a gli altri dotti nelle lettere, et si facci loro famigliare, et benivolo. Imperoche da cosi fatti intelligenti ingegni ne caverà et ottimi ornamenti, et sarà da loro aiutato veramente in quelle inventioni, le quali nella Pittura non hanno poca lode. Fidia Pittore eccellente, confessava havere imparato da Homero il modo come havesse principalmente a dipignere Giove con maestà. Io penso che i nostri Pittori si faranno ancora più copiosi, et più valenti nel leggere i Poeti, pur che ei sieno più studiofi de lo imparare, che del guadagno. Ma il più de le volte i non meno studiosi che desiderosi di imparare, si straccano, più perche ei non sanno la via ne il modo de lo imparare la cosa, che ei non fanno per la fatica de lo imparare. Et perciò cominciamo a dire, in che modo noi possiamo in questa arte diventar buoni maestri. Sia il principio questo: tutti i gradi de lo imparare doviamo noi cavare da essa natura, et la regola del far l’arte perfetta acquistisi con la diligentia, con lo studio, et con la assiduità. Io veramente vorrei che coloro che incominciano a voler imparare a dipignere; facessero quel che io veggo che osservano i maestri de lo scrivere. Imperoche costoro insegnano la prima cosa fare separatamente tutti i caratteri de le lettere, di poi insegnano far le sillabe, et dopo questo insegnano a mettere insieme le parole. Tenghino adunque i nostri nel dipignere questa regola: Insegnino la prima cosa i d’intorni de la superficie, quali che ei sieno la a b c de la Pittura. Di poi insegnino i congiugnimenti de le superficie. Dopo questo le forme di tutti i membri distintamente et separatamente, et imparino a mente tutte le differentie che posson essere ne membri. Imperoche elle sono et molte, et notabili. Sarannovi di quegli che haranno il naso gobbo, altri che lo haranno stiacciato, torto, largo, altri sporgono la bocca inanzi, come che ella gli caschi, altri paiono ornati mediante lo haver le labbra sottili, et finalmente tutte le membra hanno un certo che di loro proprietà, il che se vi si ritroverà, o un poco più ò un poco meno, varierà allhora grandissimamente tutto quel membro. Anzi vegiamo oltra di questo come le medesime membra ne putti ci paiono tonde, et per modo di dire fatte a tornio, et pulite; et cresciute poi mediante la età ci paiono più aspre et più terminate. Tutte queste cose adunque lo studioso Pittore caverà da essa natura, et esaminerà assiduamente da se stesso come ciascuna di esse sia, et continoverà con gli occhi et con la mente tutto tempo de la vita sua in questa investigatione. Conciosia che egli considererà il grembo di coloro che seggono et le gambe quanto dolcemente piegandosi in un certo modo caschino. Considererà la faccia, et tutta la attitudine di quel che starà ritto. Ne sarà finalmente parte alcuna de la quale ei non sappi quale sia lo officio et la proportione di essa, et ami di tutte le parti non solo la similianza, ma principalmente essa bellezza de le cose. Demetrio quel Pittore antico fu molto più curioso nello esprimere la somiglianza de le cose, che ei non fu nel conoscere il bello. Dunque si debbe andare sciegliendo da corpi bellissimi le più lodate parti. Per tanto bisogna porre ogni studio et industria principalmente in conoscere, imparare, et esprimere il bello. La qual cosa ancor che sia più di tutte l’altre difficilissima, perche non si trovino in un luogo solo tutte le lodi de la bellezza, essendo esse rare et disperse; si debbe nondimeno esporre qual si voglia fatica in investigarla, et in impararla. Imperoche chi harà imparato le cose più importanti, et saprà esercitarsi in esse, potrà poi costui molto più facilmente trattar a suo piacere le cose di minor importantia. Ne si trova finalmente cosa alcuna tanto difficile, che non si possa et con lo studio, et con la assiduità metter ad effetto. Ma accio che il tuo studio non sia disutile, ne in darno, bisogna guardarsi da quella consuetudine o usanza di molti, che da loro stessi con lo ingegno loro vanno dietro ad acquistarsi lode nella Pittura, senza volere ne con gli occhi, ne con la mente ritrarre cosa alcuna dal naturale. Imperoche costoro non imparano a dipignere bene, ma si assuefanno a gli errori. Conciosia che quella idea de la bellezza non si lasscia conoscere da gli ignoranti, la quale a pena si lascia discernere da quei che sanno. Zeusi Pittore eccellentissimo et più di rutti gli altri dottissimo, et valentissimo, quando hebbe a fare la tavola che si haveva publicamente a mettere nel tempio di Diana in Crotone, non si fidando de lo ingegno suo, come fanno quasi in questi tempi tuttti i Pittori, non si messe pazzamente a dipignerla, ma perche ei pensò che per ritrovare tutto quel che ei cercava per farla quanto più si poteva bella, non poterlo ritrovar con lo ingegno proprio, ma ritrahendole ancora dal naturale non poter ciò trovare in un corpo solo: Perciò scelse cinque fanciulle di tutta la gioventù di quella città, le più belle di tutte le altre, accioche egli potesse metter poi in Pittura quel che più di bellezza muliebre egli havesse cavato da loro. Et fece veramente da savio. Imperoche a’ Pittori quando non si mettono inanzi le cose che ei vogliono ritrarre, o imitare, ma cercano sol con lo ingegno loro trovando il bello acquistarsi lode, accade spesso che non solo non s’acquistino con quella fatica quella lode che ei cercano, ma si assuefanno ad una cattiva maniera di dipingere, la qual poi non posson lasciare se non con gran fatica, ben che lo desiderino. Ma chi userà a ritrar ogni cosa dal naturale, costui farà la mano tanto esercitata al bene, che tutto quel che egli si sforzerà di fare, parrà naturale. La qual cosa veggiamo quanto nella Pittura sia da esser desiderata. Imperoche se in una historia vi sarà ritratta la tetta di alcuno homo, che noi conosciamo, ancor che vi sieno alcune altre cose di più eccellente di maestro, nondimeno il riconosciuto aspetto di qualch’uno, tira a se gli occhi di tutti i risguardanti. Tanta è et la gratia et la forza che ha in se per esser ritratto dal naturale. Tutte quelle cose adunque che noi haremo a dipignere, ritraghiamole dal naturale, et di queste sciegliamo quelle che son le più belle, et le più degne, ma bisogna guardarsi da quel che fanno alcuni, cioè che noi non dipinghiamo in tavole troppo piccole. Io vorrei che tu ti assuefacessi alle imagini grandi, le quali però si accostino per grandezza il più che si può a quel che tu vuoi fare. Imperoche nelle figure piccole i difetti maggiori maggiormente si nascondono, ma nelle figure grandi, gli errori ancor che piccoli, si veggono grandemente. Scrisse Galeno haver visto scolpito in uno anello Fetonte tirato da quattro cavalli, i freni et tutti i piedi, et tutti i petti de quali si vedevano distintamente. Concedino i Pittori questa lode a gli intagliatori de le gioie, et esercitinsi essi in maggior campi di lode. Imperoche coloro che sapranno dipignere, o far di scoltura le figure grandi, potranno facilmente et con un solo tratto far ottimamente le piccole. Ma coloro che haranno assuefatto la mano et lo ingegno a queste cose piccole, facilmente erreranno nelle maggiori. Sono alcuni che copiano et ritraggon le cose de gli altri Pittori, et cercano acquistarsi in quella cosa lode. Il che dicono che fece Camalide Scultore, il quale fece due tazze di scultura, imitando talmente Zenodoro, che non si discerneva in esse opere differentia alcuna. Ma i Pittori sono in grandissimo errore, se ei non conoscono, che coloro che son stati veri Pittori, si sono sforzati rapresentare quella figura tale, quale noi la veggiamo dipinta da la natura in essa rete, o velo. Et se ei ci gioverà ritrarre le opere de gli altri, come quelle che mostrino di se stesse più ferma patientia che le vive, io vorrei che noi ci mettessimo inanzi una cosa mediocremente scolpita, più presto che una eccellentemente dipinta. Imperoche a ritrarre alcuna cosa da le Pitture noi assuefaciamo la mano a rapresentare una qualche somiglianza. Ma da le cose di scoltura noi impariamo et la similitudine, et i veri lumi; nel metter insieme i quai lumi, giova molto, ristrignere con i peli de le palpebre l’acutezza de la vista, accioche allora paiono i lumi alquanto più scuri, et quasi velati. Et forse ci gioverà più esercitarci nel far di Scoltura che nel adoperare il penello. Conciosia che la Scoltura è più certa, et più facile che la Pittura. Ne mai averrà che alcuno possa dipigner bene alcuna cosa che non sappia di essa bene tutti i rilievi, et i rilievi più facilmente si truovano nella Scoltura che nella Pittura. Imperoche facci questo non poco a nostro proposito, che ei si può vedere, come quasi in qualunque età si sono trovati alcuni mediocri Scultori, et Pittori quasi nessuno che non sieno da ridersene, et ignoranti. Finalmente attendasi o alla Pittura, o alla Scoltura, sempre ci doviamo metter inanzi alcuno eccellente et singolare esempio da riguardarlo et da imitarlo: et nel ritrarlo credo che talmente bisogni congiugnere la diligentia con la prestezza, che il Pittore non levi mai o il penello, o il disegnatoio dal lavoro fino a tanto che egli non si sia prima risoluto et non habbi ottimamente determinato con la mente, quel che egli sia per fare, et in che modo egli lo possa condurre a buon fine. Conciosia che è cosa più sicura emendare con la mente, che scancellar poi dal lavoro fatto, gli errori. Oltra di questo quando noi ci saremo assuefatti a ritrarre ogni cosa dal naturale, ci averrà, che noi diventeremo molto migliori maestri di Asclepiodoro, che dicono, che fu il più velocissimo di tutti i maestri nel dipignere. Imperoche in quella cosa in che noi ci saremo esercitati più volte, lo ingegno si fa più pronto, più atto, et più veloce, et quella mano sarà velocissima, la quale sarà guidata da la certa regola de lo ingegno. Et se alcuni maestri sono pigri, non aviene loro da altro, se non che ei sono tardi, et lenti in tentare quella cosa de la quale essi non hanno prima chiaramente impadronitasi mediante lo studio entro la mente. Et mentre che si esercitano in quelle tenebre de gli errori, vanno tentando, et ricercando come timorosi, et meri ciechi la strada con il pennello, come fanno i ciechi le vie, o le uscite che essi non sanno con i loro bastoncelli. Non metta alcuno dunque mai mano al lavoro se non con la scorta de lo ingegno, et faccia che ei sia molto esercitato et amaestrato. Ma essendo la principale opera del Pittore la historia, nella quale si deve ritrovare qual si voglia abbondantia, et eccellentia de le cose, bisogna avertire che noi sappiamo dipignere eccellentemente per quanto può fare lo ingegno, non solamente lo huomo, ma il cavallo ancora, et il cane, et gli altri animali, et tutte le altre cose dignissime da esser vedute; accio che nella nostra historia non si habbia a desiderare la varietà, et la abbondantia de le cose, senza le quali nessun lavoro è stimato. E’ cosa veramente grande, et a pena concessa ad alcuno de gli Antichi, lo essere stato non vo dire eccellente in tutte le cose, ma ne anco mediocre maestro; nondimeno io giudico che da bene sforzandosi porre ogni studio che per nostra negligentia non ci habbi a mancare, quel che ci può arrecare grandissima lode, et grandissimo biasimo ancora se noi ce ne facessimo beffe. Nicia Pittore Atheniese dipinse le donne diligentissimamente. Ma Zeusi nel dipignere il corpo de le donne dicono che avanzò tutti gli altri. Eraclide fu eccellente nel dipignere le navi. Serapione non sapeva dipignere gli huomini, et nondimeno dipigneva tutte le altre cose molto bene. Dionisio non sapeva dipignere altro che gli huomini. Alessandro quel che dipinse la loggia di Pompeo, faceva eccellentemente tutte le bestie di quattro gambe et massime i cani. Aurelio come quello che era sempre innamorato, godeva solamente di dipignere le Dee, et esprimere ne suoi ritratti gli amati volti. Fidia si affaticava più in dimostrar la maiestà de gli Dii che la bellezza degli huomini. Eufranore haveva talmente fantasia di rapresentar la degnità degli Eroi che in quella cosa fu più eccellente de gli altri. Et cosi non seppon tutti far bene tutte le cose, conciosia che la natura scompartì a ciascuno ingegno la proprietà de le sue doti: alle quali cose noi non doviamo acquietarci tanto, che noi habbiamo a pretermetter di lasciar cosa alcuna non tentata in dietro. Ma le doti dateci da la natura doviamo noi reverire et accrescerle con la industria, con lo studio, et con lo esercitio. Oltra di questo non doviamo parere di pretermettere per negligentia, cosa alcuna che appartenga alla lode. Ultimamente quando noi habbiamo a dipignere una historia, andremo la prima cosa lungamente pensando, con che ordine, o con quai modi noi possiamo fare il componimento che sia bellissimo, et facendone schizzi et modelli su per le carte, andremo esaminando et tutta la historia, et ciascuna parte di essa, et in ciò chiederemo consiglio a tutti i nostri amici; finalmente noi ci affaticheremo che tutte le cose sieno da noi pensate et esaminate di maniera, che nel nostro lavoro non habbia ad esser cosa alcuna, che noi non sappiamo molto bene in qual parte de la opera ella si habbi a collocare. Et accioche noi sappiamo questo più certo, ci gioverà sopra i modelli tirare una rete, accioche poi nel metter in opera le cose venghin poste, come cavate da gli esempi privati, tutte a luoghi loro proprii. Et nel condurre a fine il lavoro, vi porremo quella diligentia congiunta con quella celerità del fare, che non sbigottisca per il tedio altrui dal finirla, ne il desiderio di finirla troppo presto non ci precipiti. Bisogna talvolta intralciare la fatica de la opera et recreare lo animo, ne si deve far quel che fanno molti, che si metton a fare più opere et incommcian questa, et la principiata lasciano imperfetta. Ma quelle opere che tu harai incominciate, le debbi finire interamente del tutto. Rispose Apelle ad uno che gli mostrava una sua pittura et diceva, io la dipinsi presto hora hora: senza che tu lo dicessi, si vedeva chiaro, anzi mi maraviglio che tu non habbi dipinte infinite a questo modo. Io ho veduti alcuni Pttori et Scultori et Oratori, et Poeti ancora, se alcuni però si trovano in questa nostra età che si possino chiamar Oratori o Poeti, essersi messi con ardentissimo studio a far qualche opera, i quali mancato poi quello ardore de lo ingegno, lasciano stare la incominciata et roza opera imperfetta, et spinti da nuovo desiderio, si mettono a voler di nuovo fare qualche altra cosa più nuova, i quali huomini io certamente biasimo. Imperoche tutti coloro che desiderano che le opere loro sieno grate et care a posteri, bisogna che pensino prima molto bene a detta opera, et la conduchino con grandissima diligentia a perfettione. Conciosia che in molte cose non è manco grata la diligentia che qual si voglia ingegno. Ma bisogna fuggire quella superflua superstitione di coloro, per chiamarla cosi, i quali mentre che vogliono che i loro lavori non habbino pur alcun minimo difetto, et cercano che ei sieno pur troppo puliti, fanno talmente che le opere loro paino consumate da la vecchiezza avanti che finite. I Pittori antichi solevano biasimare Protogene che non sapeva mai cavar le mani di sopra una tavola. Et ragionevolmente certo. Imperoche egli è di necessità sforzarsi di por tanta diligentia nelle cose, quanta sia a bastanza, secondo il valore de lo ingegno. Ma il volere in ogni cosa più di quel che tu possa, o che si convenga, è cosa da uno ingegno più tosto ostinato che diligente. Bisogna adunque por nelle cose una diligentia moderata, chiederne parere a gli amici, anzi nel metter in atto detto lavoro, è bene stare ad ascoltare, et chiamare a vederlo di tempo in tempo quasi ciascuno. Et in questo modo il lavoro del Pittore è per dovere essere grato alla moltitudine. Il giudicio adunque et la censura de la moltitudine non sarà allhora sprezata, quando ancora tu potrai satisfare alle diverse opinioni. Dicono che Apelle si soleva nascondere dietro alla tavola, accioche coloro che la riguardavano potessero più liberamente parlare, et egli stare ad ascoltare più honestamente i difetti de suoi lavori, che essi raccontavano. Io vorrei adunque che i nostri Pittori stessino scoperti ad udire spesso, et a ricercare ogniuno che li dicesse liberamente quel che le ne pare; conciosia che questo giova ad intender la varietà de le cose, et ad acquistarsi molto una certa gratia. Conciosia che non è nessuno che non si attribuisca a cosa honorata, lo havere a dire il parer suo circa le fatiche d’altri. Oltra di questo non si ha punto da dubitare, che il giudizio di coloro che biasimano et che sono invidiosi, possa detrarre punto de le lodi del Pittore. Stia adunque il Pittore ad ascoltare ogniuno, et prima esamini seco stesso la cosa et la emendi. Di poi quando harà udito ogniuno, facci a modo di quei che più sanno. Queste son le cose che a me è parso haver da dire de la Pittura in questi miei commentarii. Et se queste cose son tali che elle arrechino a Pittori comodità, o utilità alcuna, io aspetto per principal premio de le mie fatiche, che essi mi ritraghino nelle historie loro: accioche ei dimostrino per questa via a quei che verranno, di esser stati ricordevoli, et grati del beneficio, et dimostrino che io sia stato studioso di essa arte. Et se io non ho satisfatto a quanto essi aspettavano da me, almanco non mi biasimino che io habbia havuto ardire di mettermi a tanta impresa. Imperoche se lo ingegno mio non ha potuto condurre a fine, quel che è lodevole di tentare, ricordinsi, che nelle cose grandissime, suole attribuirsi a lode, lo haver voluto mettersi a quel che è difficilissimo. Seguiteranno forse alcuni che soppliranno a quel ch’io havessi mancato, et che potranno in questa eccellentissima, et dignissima arte, giovare molto più a Pittori: i quali se per aventura succederanno, io li prego, quanto più fo et posso, che piglino questa fatica con lieto, et pronto animo, nella quale essi et esercitino gl’ingegni loro, et conduchino questa nobilissima arte al colmo de la eccellentia. Io nondimeno harò piacere di essere stato il primo ad havermi acquistata la palma in essermi affaticato di scrivere sopra questa ingegnosissima arte. La quale veramente difficile impresa, se io non ho saputo condurre a quella perfezione de la espettatione che ne havevano coloro che leggono, si debbe darne la colpa alla natura più tosto che a me, la qual par che habbi imposta quella legge alle cose, che ei non è arte nessuna che non habbi presi i suoi principii da cose difettose. Imperoche si dice, che nessuna cosa è nata perfetta. Et coloro che verranno dopo a me, se alcuni ne verranno, che sieno di studio, et d’ingegno più valenti di me, doveranno forse condur questa arte de la Pittura alla somma perfettione.