Della architettura della pittura e della statua/Della pittura/Libro primo

Libro primo

../ ../Libro secondo IncludiIntestazione 12 gennaio 2016 75% Da definire

Della pittura Della pittura - Libro secondo
[p. 287 modifica]

DELLA PITTURA

di

leon batista alberti

libro primo.


H
Avendo io a scrivere de la Pittura in questi brevissimi commentarii, accioche il parlar mio sia più chiaro, piglierò primieramente da i Matematici quelle cose che mi parranno a ciò a proposito. Le quali intese che si saranno, dichiarerò (per quanto mi servirà lo ingegno) da essi principii de la natura, che cosa sia la Pittura. Ma in tutto il mio ragionamento voglio che si avertisca, che io parlerò di queste cose non come Matematico, ma come Pittore. Conciosia che i Matematici con lo ingegno solo considerano le spezie et le forme de le cose, separate da qual si voglia materia. Ma perche io voglio che la cosa ci venga posta inanzi a gli occhi, mi servirò scrivendo, come si usa dire, di una più grassa minerva: et veramente mi parrà haver fatto a bastanza, se i Pittori nel leggere, intenderanno in qualche modo questa materia veramente difficile, et de la quale per quanto io habbia veduto, non è stato alcuno che per ancora ne habbia scritto. Chieggio adunque di grazia che questi miei scritti sieno interpretati, non come da puro Matematico, ma da Pittore. Pertanto bisogna primieramente sapere che il punto è un segno (per modo di dire) che non si può dividere in parti. Punto; segno chiamo io in questo luogo, qual si voglia cosa che sia talmente in una superficie, che ella si possa comprendere da lo occhio. Però che quelle cose che non sono comprese da lo occhio, non è alcuno che non confessi che elle non hanno niente che fare col Pittore. Conciosia che il Pittore si affatica di imitar solamente quelle cose, che mediante la luce si possino vedere. Questi punti se continovamente per l’ordine si porranno l’uno appresso de lo altro, distenderanno una linea. Et la linea appresso di noi farà un segno, la lunghezza del quale si potrà dividere in parti, ma sarà talmente sottilissima che giamai non si potrà fendere: et eccone lo esempio. __ De le linee alcuna è diritta, alcuna è torta: la linea diritta è un segno tirato a dirittura per lo lungo da un punto ad un altro; la torta è quella che sarà tirata non a dirittura da un punto ad un altro, ma facendo arco ‿. Molte linee, come fili in tela, se adattate si congiugneranno insieme, faranno una superficie. Conciosia che la superficie è quella estrema parte del corpo che si considera non inquanto a profondità alcuna, ma solamente inquanto alla larghezza et alla lunghezza, che sono le proprie qualità sue. De le qualità ne sono alcune talmente insite nella superficie, che se ella non viene del tutto alterata, non si possono in modo alcuno ne muovere ne separare da essa. Et alcune altre qualità son cosi fatte, che mantenendosi la medesima faccia de la superficie, cascano talmente sotto la veduta, che la superficie pare a coloro che la risguardano, alterata. Le qualità perpetue de le superficie son due. Una è certamente quella che ci viene in cognizione mediante quello estremo circuito dal quale è chiusa la superficie: il quale circuito alcuni chiamano Orizonte: Noi, se ci è lecito, per via di una certa similitudine lo chiameremo con vocabolo latino ora, o se più ci piacerà, il dintorno. Et sarà questo d’intorno terminato o da una sola, o da più linee. Da una sola; come è la circulare: da più; come da una torta et da una diritta, o vero ancora da più linee diritte, o da più torte. La linea circulare [p. 288 modifica]è quella che abbraccia, et contiene in se tutto lo spazzo del cerchio. Et il cerchio è una forma de la superficie, che è circundata da una linea a guisa di corona. In mezzo de la quale se vi sarà un punto, tutti i raggi che per lunghezza si partiranno da questo punto, et andranno alla corona o circunferentia a dirittura, saranno fra loro uguali Tav. I. Fig. 1. Et questo medesimo punto si chiama il centro del cerchio. La linea diritta che taglierà due volte la circunferentia, et passerà per il centro, si chiama appresso i Matematici il diametro del cerchio. Noi chiameremo questa medesima centrica. Et siaci in questo luogo persuaso quel che dicono i Matematici, che nessuna linea che tagli la circunferentia, non può, in essa circunferentia, fare angoli uguali, se non quella che tocca il centro. Ma torniamo alle superficie. Imperoche da quelle cose che io ho dette di sopra, si può intendere facilmente, come mutato il tirare dell’ultime linee, overo del d’intorno di una superficie, essa superficie perda esso fatto il nome et la faccia sua primiera, et che quella che forse si chiamava triangolare, si chiami hora quadrangolare, o forse di più angoli. Chiamerassi mutato il d’intorno ogni volta che la linea, o gli angoli si faranno non solamente più, ma più ottusi o più lunghi, o più acuti o più brevi. Questo luogo ne avvertisce che si dica qualche cosa de gli angoli. E’ veramente lo angolo quel che si fa da due linee che si interseghino insieme, sopra la estremità di una superficie. Tre sono le sorte de li angoli, a squadra, sotto squadra, et sopra squadra Fig. 2. Lo angolo a squadra, o vogliamo dir retto, è uno di quei quattro angoli, che si fa da due linee diritte che scambievolmente si interseghino insieme talmente che egli sia uguale a qualunque si sia de gli altri tre che restano: Et da questo avviene che ei dicono, che tutti gli angoli retti sono fra loro uguali. Angolo sopra squadra è quello, che è maggior de lo a squadra. Acuto, o sotto squadra è quello, che è minore de lo a squadra. Torniamo di nuovo alla superficie. Noi dicemmo in che modo, mediante un d’intorno, si imprimeva nella superficie una qualità. Restaci a parlare dell’altra qualità de le superficie, la quale è (per dir cosi) quasi come una pelle distesa sopra tutta la faccia de la superficie. Et questa si divide in tre. Imperoche alcune sono piane et uniforme, altre sono sferiche et gonfiate, altre sono incavate et concave. Aggiunghinsi a queste per il quarto quelle superficie, che de le dette si compongono. Di queste tratteremo di poi: parliamo hora de le prime. La superficie piana è quella, sopra la quale postovi un regolo, tocchi ugualmente per tutto ciascuna parte di esse. Molto simile a questa sarà la superficie di una purissima acqua che stia ferma. La superficie sferica imita il d’intorno di una sfera. La sfera dicono che è un corpo tondo, volubile per ogni verso, nel mezo del quale è un punto, dal quale tutte le ultime parti di esso corpo sono ugualmente lontane. La superficie concava è quella che dal lato di dentro ha la sua estremità, che è sotto, per dir cosi, alla cotenna de la sfera, come sono le intime superficie di dentro ne gusci de gli vuovi. Ma la superficie composta è quella, che ha una parte di se stessa piana, et l’altra o concava, o tonda, come sono le superficie di dentro de le canne, o le superficie di fuori de le colonne, o de le piramidi. Per tanto, le qualità che si truovano essere o nel circuito, o nelle faccie de le superficie, hanno imposto hoggi nomi, come si disse, alle superficie. Ma le qualità, le quali senza alterarsi la superficie, variano i loro aspetti, sono medesimamente due. Imperoche mutato il luogo ò i lumi, appariscono variate a coloro che le guardano. Diremo del luogo prima, et poi de lumi. Et bisogna certamente prima considerare, in qual modo, mutato il luogo, esse qualitadi che son nella superficie, paiano che sieno mutate. Queste cose veramente si aspettano alla forza et virtù de gli occhi. Imperoche egli è di necessità che i d’intorni ò per discostarsi o mutarsi di sito, ci paiano o minori, o maggiori, o dissimili al tutto di quel che prima ci parevano. O medesimamente che le superficie ci paino o accresciute, o defraudate di colore. Le qual cose tutte son quelle [p. 289 modifica]che noi misuriamo o discorriamo con lo squadro: et come questo squadro ò veduta si faccia, andiamo hora investigando. Et cominciamo da la sententia de Filosofi, che dicono che le superficie si esaminano mediante certi raggi ministri de la veduta che perciò gli chiamano visivi, cioè che per essi si imprimino i simulacri de le cose nel senso. Imperoche questi medesimi raggi fra lo occhio et la superficie veduta, intenti per lor propria natura, et per una certa mirabile sottigliezza loro concorrono splendidissimamente penetrando la aria, et altri simili corpi rari o diafani, et havendo per guida la luce, sino a tanto che si riscontrino in qualche corpo denso, et non del tutto oscuro; nel qual luogo ferendo di punta, subito si fermano. Ma non fu apresso de gli antichi piccola disputa, se questi raggi uscivano da gli occhi, o da la superficie. La qual disputa in vero molto difficile, et quanto a noi non necessaria, la lasceremo da parte. Et siaci lecito immaginare che questi raggi sieno quasi che sottilissime fila legate da un capo dirittissime, come fattone un fascio, et che elle sieno ricevute per entro lo occhio là dove si forma o crea la veduta; et quivi stieno non altrimenti che un troncone di raggi: et dal qual luogo uscendo a di lungo li affaticati raggi, come dirittissime vermene, scorrino alla superficie che è loro a rincontro: Ma infra questi raggi è alcuna differentia, la quale è bene che si sappia, imperoche ei sono differenti et di forze et di officio. Conciosia che alcuni di loro toccando i d’intorni de le superficie, comprendono tutte le quantità de la superficie. Et questi, perche ei vanno volando et a pena toccando le estreme parti de le superficie, gli chiameremo raggi estremi o ultimi. Avertiscasi che questa superficie si mostra in faccia perche si possino vedere i quattro raggi ultimi che vanno a punti, da quali ella è terminata. Fig. 3. Altri raggi o ricevuti o usciti da tutta la faccia de la superficie, fanno ancor essi lo ufficio loro, entro à quella piramide, de la quale a suo luogo parleremo poco di sotto. Imperoche ei si riempiono de medesimi colori et lumi; de quali risplende essa superficie. Et però chiamiamo questi, raggi di mezo, o mezani. Fig. 4. Tutto il quadro è una sola superficie; ma havendovisi a dipigner dentro uno ottangolo, si mostrano i raggi che si chiamano mezzani, che vanno dall’occhio a punti de lo scompartimento de lo ottangolo. De raggi ancora se ne truova uno cosi fatto che a similitudine di quella linea centrica che noi dicemmo, si può chiamare raggio centrico o del centro, perciò che egli stà di maniera nella superficie che causa da ogni banda intorno a se angoli uguali. Fig. 5. Si che noi habbiamo trovati i raggi essere di tre sorte, gli ultimi, i mezzani, et centrici: andiamo hora investigando quel che, qual si sia l’una di queste sorte di raggi, conferisca alla veduta: Et la prima cosa parliamo de gli ultimi, di poi parleremo de mezzani, et ultimamente de centrici. Con gli ultimi raggi si comprendono le quantità; et la quantità è veramente quello spatio che è infra duoi punti disgiunti del d’intorno, che passa per la superficie, il quale spatio è compreso da lo occhio con questi ultimi raggi, quasi come per modo di dire con le seste: et sono tante quantità in una superficie, quanti sono i punti separati in un d’intorno che si risguardano l’un l’altro. Imperoche noi con la veduta nostra riconosciamo la grandezza mediante la sua altezza o bassezza: la larghezza mediante il da destra, o da sinistra: la grossezza mediante il da presso o da lontano: o vero tutte le altre misure ancora, qualunque elle si siano, comprendiamo solo con questi raggi ultimi. La onde si suol dire che la veduta si fa mediante un triangolo, la basa del quale è la quantità veduta, et i lati del quale sono quei medesimi raggi che escono a i punti de la quantità et vengono sino all’occhio. Et è questa cosa certissima che non si vede quantità alcuna, se non mediante questo triangolo. I lati adunque del triangolo visivo sono manifesti. Ma gli angoli in questo stesso triangolo son dua, cioè amenduoi quei capi da la quantità. Ma il terzo, et principale angolo, è quello che a rincontro de la basa si fa nello occhio. Fig. 6. Ne in questo luogo si [p. 290 modifica]ha a disputare se essa vista si quieta, come ei dicono, in essa giuntura del nervo interiore, o se pure si figurino le imagini in essa superficie de lo occhio quasi come in uno specchio animato. Ma non si devon in questo luogo raccontare tutti gli officii de gli occhi quanto al vedere. Conciosia che sarà a bastanza mettere in questi commentarii brevemente quelle cose che ci parranno necessarie. Consistendo adunque il principale angolo visivo nello occhio ei se ne è cavata questa regola, cioè che quanto lo angolo sarà nello occhio, più acuto, tanto ci parrà minore la quantità veduta. La onde si vede manifesto, perche cagione avenga che da un lungo intervallo, pare che la quantità veduta si assottigli, quasi che ella venga ad un punto. Ma ancor che le cose sieno in questa maniera, avviene nondimeno in alcune superficie, che quanto più si avvicina loro lo occhio di chi le riguarda, tanto gli paiono minori: Et quanto più lo occhio si discosta da esse, tanto più li par maggiore quella parte de la superficie: il che si vede manifesto nelle superficie sferiche. Le quantità adunque mediante lo intervallo paiono alcuna volta o maggiori o minori a chi le riguarda. De la qual cosa chi saprà bene la ragione, non dubiterà punto, che i raggi mezzani alcuna volta diventano gli ultimi, et gli ultimi, mutato lo intervallo, diventano mezzani. Et perciò harà da sapere che quando i raggi mezzani saranno diventati ultimi, subito le quantità gli parranno minori: Et per il contrario quando i raggi ultimi si raccorranno entro al d’intorno; quanto più ei saranno lontani dal d’intorno, tanto apparirà essa quantità maggiore. Qui adunque soglio io a miei amici domestici dare una regola, che quanti più raggi noi occupiamo con la veduta, tanto doviamo pensare che sia maggiore la quantità veduta, et quanti ne occupiamo manco, tanto minore. Ultimamente questi raggi ultimi abbracciando a parte a parte universalmente tutto il d’intorno di una superficie, girano a torno a torno quasi come una fossa, tutta essa superficie. La onde ei dicono che la veduta si fa mediante una piramide di raggi. Bisogna adunque dire che cosa sia la piramide. La piramide è una figura di corpo lunga, da la basa de la quale tutte le linee diritte tirate allo in su terminano in una punta. La basa de la piramide è la superficie veduta, i lati de la piramide sono essi raggi visivi, quali noi chiamiamo gli ultimi. La punta de la piramide si ferma quivi entro allo occhio, dove gli angoli de la quantità si congiungono insieme. Et questo basti de raggi ultimi, de quali si fa la piramide, mediante la quale si vede per ogni ragione, che egli importa grandemente quali et chenti intervalli siano fra lo occhio et la superficie. Restaci a trattare de raggi mezzani. Sono i raggi mezzani quella moltitudine di raggi, la quale accerchiata da raggi ultimi si truova esser dentro alla piramide. Et questi raggi fanno quel, che si dice che fa il Camaleonte, et simili fiere sbigottite per paura, che sogliono pigliare i colori de le cose più vicine a loro, per non esser ritrovate da Cacciatori. Questo è quel che fanno i raggi mezzani. Imperoche dal toccamento loro de la superficie fino alla punta de la piramide, trovata per tutto questo tratto la varietà de colori et de lumi, se ne macchiano talmente, che in qualunque luogo che tu gli tagliassi, sporgerebbon di loro in quel medesimo luogo quel lume stesso, et quel medesimo colore, di che si sono inzuppati. Et questi raggi mezzani per il fatto stesso primieramente si è veduto che per lungo intervallo mancano, et causano la vista più debole; ultimamente poi si è trovata la ragione perche questo avenga. Conciosia che questi stessi, et tutti gli altri raggi visivi, essendo ripieni et gravi di lumi et di colori, trapassando per la aria, essendo ancor ella ripiena di qualche grossezza, avviene che per la molta parte del peso, mentre che essi scorrono per la aria, sieno tirati come stracchi allo in giu. Et però dicono bene, che quanto la distanzia è maggiore, tanto la superficie pare più scura, et più offuscata. Restaci a trattare del raggio centrico. Noi chiamiamo raggio centrico quello, che solo ferisce la quantità [p. 291 modifica]di maniera, che gli angoli uguali da amendue le parti rispondino a gli angoli che son loro a canto: et veramente per quanto si appartiene a questo raggio centrico, è cosa verissima che questo di tutti i raggi è il più fiero, et di tutti vivacissimo. Ne si può negare che nessuna quantità apparirà mai alla vista maggiore, se non quando il raggio centrico sarà in essa. Potrebbensi raccontare più cose de la possanza et dell’officio del raggio centrico. Ma questa sola cosa non si lasci indietro, che questo raggio solo è fomentato da tutti gli altri raggi che se lo hanno messo in mezo, quasi che habbino fatta una certa unita congregatione per favorirlo, talmente che si può a ragione chiamare il capo et il principe de raggi. Lascinsi in dietro le altre cose che parrebon più tosto appartenersi alla ostentatione de lo ingegno, che convenienti a quelle cose noi habbiamo ordinato di dire: molte cose ancora si diranno de raggi più comodamente a luoghi loro. I raggi mezzani de lo ottangolo si posson chiamare una piramide di otto facce dentro ad una piramide di quattro facce. Fig. 7. Et basti in questo luogo haver racconto quelle cose per quanto comporta la brevità de commentarii, per le quali non è alcuno che dubiti, che la cosa stà in questo modo; il che io credo si sia mostro a bastanza, cioè che mutatosi di intervallo, et mutatasi la positura del raggio centrico, subito appare che la superficie si sia alterata. Imperoche ella apparirà o minore, o maggiore, o mutata secondo lo ordine che havranno infra di loro le linee, o gli angoli. Adunque la positura del raggio centrico, et la distantia conferiscono grandemente alla vera certezza de la veduta. Ecci ancora una altra certa terza cosa, mediante la quale le superficie appariscono a chi le risguarda, disformi et varie. Et questo è il ricevimento de lumi. Imperoche ei si può veder nella superficie sferica et nella concava, che se ei vi sarà un lume solo, la superficie da una parte apparirà alquanto oscura, et da la altra parte apparirà più chiara. Et dal medesimo intervallo primiero, et stando ferma la positura del raggio centrico primiera, pur che essa superficie venga sottoposta da un lume diverso dal primo, tu vedrai che quelle parti de la superficie che al primo lume apparivano chiare, hora mutatosi il lume appariranno scure, et le oscure appariranno chiare. Et oltre a questo se vi saranno più lumi a torno, appariranno in cosi fatte superficie diverse oscurità, et diverse chiarezze, et varieranno secondo la quantità et le forze de l’armi. Questa cosa si pruova con la esperienza. Tav. 2. Fig. 1. e 2. Ma questo luogo ne avertisce, che si debbino dire alcune cose de lumi, et de colori. Che i colori si variino, mediante i lumi, è cosa manifesta; conciosia che qual si voglia colore non apparisce nell’ombra allo aspetto nostro, tale quale egli apparisce quando egli è posto a raggi de lumi. Imperoche l’ombra mostra il colore offuscato, et il lume lo fa chiaro et aperto. Dicono i Filosofi, che non si può vedere cosa alcuna, se ella non è vestita di lume, et di colore, et però è una gran parentela infra i colori et i lumi, a far la veduta; la quale quanto sia grande si vede da questo, che mancando il lume, essi colori ancora diventando a poco a poco oscuri mancano ancor essi, et ritornando la luce o il lume, ritornano ancora insieme con quella i colori alla veduta nostra mediante le virtù de lumi. La qual cosa essendo cosi, sarà bene la prima cosa trattare de colori, et dipoi andremo investigando in che modo i detti colori si variino mediante i lumi. Lasciamo da parte quella disputa Filosofica, mediante la quale si vanno investigando i nascimenti et le prime origini de colori. Imperoche che importa al Dipintore lo haver saputo, in che modo il colore si generi dal mescolamento del raro et del denso, o da quel del caldo, et del secco, o da quello del freddo et del humido? Ne disprezzo io però coloro che filosofando disputano de colori in tal modo, che essi affermano che le spetie de colori sono sette, cioè, che il bianco et il nero sono i duoi estremi, infra i quali ve n’è uno nel mezo, et che infra ciascuno di questi duoi estremi, et quel del mezo, da ogni parte ve ne sono duoi altri: et perche l’uno di questi duoi si [p. 292 modifica]accosta più allo stremo che l’altro, gli collocano in modo che pare che e’ dubitino del luogo dove porli. Al Dipintore è a bastanza il saper quali sieno i colori, et in che modo e’ s’abbino a servir d’essi nella Pittura. Io non vorrei esser ripreso da quei che più sanno, i quali mentre seguitano i Filosofi, dicono che nella natura de le cose non si truova se non duoi veri colori cioè il bianco et il nero, et che tutti gli altri naschono dal mescolamento di questi. Io veramente come Dipintore la intendo in questo modo quanto a colori che per i mescolamenti de colori naschino altri colori, quasi infiniti. Ma appresso a Pittori quattro sono i veri generi de colori, come son quattro ancora gli elementi, da i quali si cavano molte et molte specie. Perciò che egli è quello che par di fuoco per dir cosi, cioè il rosso: E poi quel da la aria che si chiama azzurro: quel da la acqua è il verde: et quel da la terra ha il cenerognolo. Tutti gli altri colori noi veggiamo che son fatti di mescolamenti, non altrimenti che ci pare che sia il Diaspro et il Porfido. Sono adunque i generi de colori quattro, da i quali mediante il mescolamento del bianco et del nero generano innumerabili specie. Conciosia che noi veggiamo le frondi verdi perdere tanto de la loro verdezza di poco in poco fino a che elle diventano bianche. Il medesimo veggiamo ancora nella aria stessa, la quale talvolta presa la qualità di qualche vapore bianco verso lo orizonte, ritorna a pigliare a poco a poco il suo proprio colore. Oltra di questo veggiamo ancor questo medesimo nelle cose, alcune de le quali tal volta son tante accese di colore, che imitano il chermisi, altre paiono del color de le guance de le fanciulle, et altre paiono bianche come avorio. Il color de la terra ancora mediante il mescuglio del bianco et del nero ha le sue specie. Non adunque il mescolamento del bianco muta i generi de colori, ma genera, et crea esse specie. Et la medesima forza similmente ha ancora il color negro. Imperoche per il mescolamento del nero si generano molte spezie. Il che sta molto bene; perciò che esso colore mediante la ombra si altera, dove prima si vedea manifesto: percioche crescendo l’ombra, la chiarezza, et biancheza del colore manca, et crescendo il lume diventa più chiara et più candida. Et però si puo a bastanza persuadere al Pittore che il bianco et il nero non sono veri colori, ma gli alteratori, per dirsi cosi, de colori. Conciosia che il Pittore non ha trovata cosa alcuna più che il bianco, mediante il quale egli possa esprimere quello ultimo candore del lume, ne cosa alcuna con la quale ei possa rapresentare la oscurità de le tenebre più che con il nero. Aggiugni a queste cose, che tu non troverrai mai in alcun luogo il bianco ò il nero, che egli stesso non caschi sotto alcuno genere de colori. Trattiamo hora de la forza de lumi. I lumi sono o di constellationi, cioè o del Sole, o de la Luna, et de la Stella di Venere, o vero di lumi materiali et di fuoco: et infra questi è una gran differentia. Imperoche i lumi del Cielo rendono le ombre quasi che uguali a corpi; ma il fuoco le rende maggiori che non sono i corpi, et la ombra si causa da lo esser intercetti i raggi de lumi. I raggi intercetti, o ei sono piegati in altra parte, o ei si raddoppiano in loro stessi. Piegansi, come quando i raggi del Sole percuotono nella superficie de la acqua, et quindi poi salgono ne palchi, et ogni piegamento de raggi si fa, come dicono i Matematici, con angoli far loro uguali. Ma queste cose si appartengono ad una altra parte di Pittura. I raggi che si piegano, si inzuppano in qualche parte di quel colore, che ei trovano in quella superficie da la quale ei sono piegati o riverberati. Et questo veggiamo noi che aviene, quando le faccie di coloro che caminano per i prati, ci si apresentano verdi. Io ho trattato adunque de le superficie: ho trattato de raggi: ho trattato in che modo nel vedere si facci de triangoli la piramide. Io ho provato quanto grandemente importi che lo intervallo, la positura del raggio centrico, et il ricevimento de lumi sia determinato et certo. Ma poi che con un solo sguardo noi veggiamo non pur una superficie sola: ma più [p. 293 modifica]superficie ad un tratto. Et poi che si è trattato et non mediocremente di ciascuna superficie da per se, hora ci resta ad investigare, in che modo più superficie congiunte insieme ci si appresentino alli occhi. Ciascuna superficie certamente gode particularmente ripiena de suoi lumi et de suoi colori, si come si è detto de la sua propria piramide. Et essendo i corpi coperti da le superficie, tutte le quantità de corpi che noi veggiamo, et tutte le superficie, creano una piramide sola, pregna (per modo di dire) di tante piramidi minori, quante sono le superficie che mediante quella veduta son comprese da razzi di detta veduta. Et essendo le cose cosi fatte, dirà forse qualcuno che ha bisogno il Pittore di tanta considerazione? o che utilità li dirà al dipingere? Questo certamente si fa accio che ei sappia che egli è per dover diventare uno ottimo maestro, ogni volta che egli conoscerà ottimamente le differentie de le superficie, et avertirà le loro proportioni, il che è stato conosciuto da pochissimi. Imperoche se ei saranno domandati, qual sia quella cosa che ei cerchino che riesca loro nel tignere quella superficie, posson risponder molto meglio ad ogni altra cosa, che saper dir la ragione di quel che ei si affatichino di fare. Per il che io prego che gli studiosi Pittori mi stieno ad udire. Imperoche lo imparare quelle cose che giovano, non fu mai male da qualunche si voglia maestro. Et imparino veramente mentre che ei circonscrivono con le linee una superficie, et mentre che ei cuoprono di colori i disegnati et terminati luoghi, che nessuna cosa si cerca più quanto è che in questa una sola superficie ci si rapresentino più forme di superficie. Non altrimenti che se questa superficie che ei cuoprono di colori, fussi quasi che di vetro o di altra cosa simile trasparente, tal che per essa passasse tutta la piramide visiva a vedere i veri corpi, con intervallo determinato et fermo, et con ferma positura del raggio centrico, et de lumi posti in aria lontani a lor luoghi: et che questo sia cosi, lo dimostrano i Pittori, quando ei si ritirano in dietro da la cosa che ei dipingono a considerarla da lontano, che guidati da la natura vanno cercando in questo modo de la punta di essa stessa piramide. La onde si accorgano, che da quel luogo considerano et giudicano meglio tutte le cose. Ma essendo questa una sola superficie o di tavola, o di muro, nella quale il Pittore si affatica voler dipignere più et diverse superficie et piramidi comprese da una piramide sola, sarà di necessità che in alcuno de suoi luoghi si tagli quella piramide visiva, accioche in questo luogo il Dipintore et con le linee et con il dipignere possa esprimere i dintorni et i colori che gli darà il taglio. La qual cosa essendo cosi, coloro che risguardano la superficie dipinta, veggono un certo taglio de la piramide. Sara adunque la pittura il taglio de la piramide visiva secondo un determinato spatio o intervallo, con il suo centro, et con i determinati lumi, rappresentata con linee et colori sopra una propostaci superficie. Hora da che habbiamo detto che la Pittura è un taglio de la piramide, noi adunque habbiamo ad andare investigando tutte quelle cose, mediante le quali ti diventino notissime tutte le parti di cosi fatto taglio. Habbiamo adunque di nuovo à parlare de le superficie, da le quali si è mostro che vengono le piramidi che si hanno a tagliare con la Pittura. De le superficie alcune ne sono a diacere in terra, come sono i pavimenti, gli spazzi de li edificii: et alcune altre ne sono, che son ugualmente lontane da gli spazzi. Alcune superficie son ritte, come sono le mura et le altre superficie che hanno le medesime sorte di linee che le mura: dicesi quelle superficie stare ugualmente lontane fra loro, quando la distantia che è fra di loro, è ugualmente da per tutto la medesima. Le superficie che hanno le medesime sorte di linee, son quelle che da ogni parte sono tocche da una continovata linea diritta, come sono le superficie de le colonne quadre, che si mettono a filo in una loggia. Queste son quelle cose che si hanno ad aggiugnere alle cose che disopra si dissono de le superficie. Ma a quelle cose che noi dicemmo de [p. 294 modifica]raggi, cosi de gli ultimi come di quei di dentro, et del centrico, et alle cose che si son raconte di sopra de la piramide visiva, bisogna aggiugnere quella sententia de Matematici, con la quale si pruova, che se una linea diritta taglierà i duoi lati di alcuno triangolo, et sarà questa linea tagliante, tale che facci ultimamente uno altro triangolo, et ugualmente lontana da la altra linea che è basa del primo triangolo, sarà allora certamente quello triangolo maggiore proportionale di lati a quello minore. Questo dicono i Matematici. Ma noi accioche il parlar nostro sia più aperto a Pittori, esplicheremo più chiaramente la cosa. Ei bisogna che noi sappiamo qual sia quella cosa che noi in questo luogo voglian chiamare proportionale: noi diciamo che quegli sono triangoli proportionali, i lati et gli angoli de quali hanno infra di loro la medesima convenientia: Che se uno de lati del triangolo sia più lungo de la basa per due volte et mezo, o un altro per tre, tutti i cosi fatti triangoli sieno essi o maggiori o minori di questo, pur che eglin habbino la medesima conrispondentia de lati alla basa per dir cosi, saranno fra loro proportionali. Imperoche quel rispetto che ha la parte alla parte sua nel triangolo maggiore, l’ha hora ancora la parte alla parte nel minore. Tutti i triangoli adunque che saranno cosi fatti appresso di noi, si chiameranno proportionali: et perche questo sia inteso più apertamente, ne daremo una similitudine. Sarà uno huomo piccolo proportionale ad un grandissimo mediante il cubito: purche si servi la medesima proportione del palmo, del piede, per misurare le altre parti del corpo in costui, per modo di dire cioè in Euandro, che si osservano in colui cioè in Ercole, del quale Gellio disse che era di statura grandissimo più di tutti gli altri huomini. Ne fu ancora altra proportione ne membri di Ercole, che si fusse quella del corpo di Anteo Gigante. Imperoche cosi come la mano corrispondeva in ciascuno in proportione al cubito, et il cubito in proportione al capo et a gli altri membri con uguale misura infra di loro, il medesimo interverrà ne nostri triangoli, che ei sarà qualche sorta di misura infra i triangoli, mediante la quale i minori corrisponderanno a maggiori in le altre cose, eccetto che nella grandezza. Et se queste cose si intendono tanto che bastino, deliberiamo, mediante la sententia de Matematici tanto quanto fa a nostro proposito, che ogni taglio di qualunque triangolo parimente lontano da la basa, genera et fa un triangolo simile si come essi dicono a quel loro triangolo maggiore, et come lo diciamo noi proportionale. E perche tutte quelle cose che sono fra loro proportionali, le parti ancor loro son in esse corrispondenti, et in quelle cose, nelle quali le parti sono diverse et non corrispondenti, non sono proportionali; le parti del triangolo visivo sono oltre alle linee, ancora essi raggi, i quali saranno certamente nel risguardare le quantità proportionali de la Pittura, uguali quanto al numero alle vere, et in quelle che non saranno proportionali, non saranno uguali. Imperoche una di queste quantità non proportionali, occuperà o più raggi, o manco. Tu hai conosciuto adunque in che modo un qual si voglia minore triangolo, si chiami proportionale al maggiore, et ti ricordi che piramide visiva si fa di triangoli. Adunque referiscasi tutto il nostro ragionamento che habbiamo havuto de triangoli, alla piramide. Et persuadiamoci, che nessune de le quantità vedute de la superficie, che parimente sien lontane dal taglio faccino nella Pittura alreratione alcuna. Imperoche esse sono veramente quantità ugualmente lontane, proportionali in ogni ugualmente lontano taglio da le loro corrispondenti: la qual cosa essendo cosi, ne seguita questo, che non ne succede nella Pittura alteratione alcuna de dintorni, et che non sono alterate le quantità, da le quali il campo o lo spatio si empie, et da le quali sono misurati o compresi i dintorni. Et è manifesto che ogni taglio de la piramide visiva, che sia ugualmente distante da la veduta superficie, è similmente proportionale ad essa veduta superficie. Habbiamo parlato de le superficie proportionali al taglio, cioè de le ugualmente lontane alla superficie dipinta. Ma [p. 295 modifica]perche noi haremo a dipignere più diverse superficie che non saranno ugualmente distanti, dobbiamo di queste far più diligente investigatione, accioche si esplichi qual si voglia ragione del taglio. Et perche sarebbe cosa lunga et molto difficile et oscurissima in questi tagli de triangoli et de la piramide narrare ogni cosa secondo le regole de Matematici; però parlando secondo il costume nostro come Pittori, procederemo. Racontiamo brevissimamente alcune cose de le quantità che non sono ugualmente lontane, sapute le quali ci sarà facile intendere ogni consideratione de le superficie non ugualmente lontane. De le quantità adunque non ugualmente lontane ne sono alcune di linee simili in tutto a raggi visivi, et alcune, che sono ugualmente distanti da alcuni raggi visivi: le quantità simili in tutto a raggi visivi, perche elle non fanno triangolo, et non occupano il numero de raggi, non si guadagnano perciò luogo alcuno nel taglio. Ma nelle quantità ugualmente distanti da raggi visivi, quanto quel angolo maggior ch’è alla basa del triangolo, sarà più ottuso, tanto manco di raggi riceverà quella quantità, et però harà manco di spatio per il taglio. Noi habbiam detto che la superficie si cuopre di quantità, et perche nelle superficie spesso accade, che vi sarà una qualche quantità, che sarà ugualmente lontana dal taglio, et l’altre qualità de la medesima superficie non saranno ugualmente distanti; per questo avviene che quelle sole quantità che sono ugualmente distanti nella superficie, non patiscono nella Pittura alteratione alcuna. Ma quelle quantità che non saranno ugualmente lontane, quanto haranno lo angolo più ottuso che sarà il maggiore nel triangolo alla basa, tanto più riceveranno di alteratione. Finalmente a tutte queste cose bisogna aggiugnere quella opinion de Filosofi, mediante la quale essi affermano, che se ’l cielo, le stelle, i mari, i monti, et essi animali, et dipoi tutti i corpi, diventassino per volontà di Dio, la metà minori ch’ei non sono, ci averebbe che tutte queste cose non ci parrebbono in parte alcuna diminuite da quel ch’elle hora sono, peroche la grandezza, la picolezza, la lunghezza, la cortezza, l’altezza, la bassezza, la strettezza, et la larghezza, la oscurità, la chiarezza, et tutte l’altre cosi fatte cose che si posson ritrovare, et non ritrovare nelle cose, i Filosofi le chiamaron accidenti: et sono di tal sorte che la intera cognition di esse si fa mediante la comparatione. Disse Virgilio che Enea avanzava di tutte le spalle tutti gli altri huomini. Ma se si facesse comparation di costui a Polyfemo, ci parrebbe un Pigmeo. Dicono che Eurialo fu bellissimo, il qual se si comparasse a Ganimede rapito da Giove, parrebbe brutto. In Spagna alcune fanciulle son tenute per candide, le quali in Germania sarebbon tenute per ulivigne et nere. L’avorio e l’argento son bianchi di colore, e nondimeno se se ne farà paragone con i cigni, o con i bianchi panni lini, parranno alquanto più pallidi. Per questo rispetto ci appariscono le superficie nella Pittura bellissime et risplendentissime, quando in esse si vede quella proportione dal bianco al nero, ch’è nelle cose stesse da i lumi all’ombre. Si che tutte queste cose si imparano, mediante il farne comparatione. Conciosia che nel fare paragone de le cose, è una certa forza, per la quale si conosce quel che vi sia di più, o di meno, o d’uguale. Per il che noi chiamiamo grande quella cosa ch’è maggiore d’una minore; grandissima quella ch’è maggiore de la grande; luminosa quella ch’è più chiara che l’oscura; luminosissima quella che sia più chiara de la luminosa. Et si fa veramente la comparatione de le cose alle cose che prima ci sieno manifestissime. Ma essendo l’huomo più di tutte l’altre cose al huomo notissimo, disse forse Protagora che l’huomo era il modello et la misura di tutte le cose, et intendeva per questo che gli accidenti di tutte le cose si potevano et bene conoscere, et farne comparationi con gli accidenti del huomo. Queste cose ci amaestrano a questo, che noi intendiamo che qualunque sorte di corpi noi dipigneremo in Pittura, ci parranno grandi et picoli secondo la misura de gli huomini che quivi saran dipinti. Et questa forza de la [p. 296 modifica]comparatione mi par veder che molto eccellentemente più che alcuno altro de gli antichi la intendesse Timante, il qual Dipintore, dipingendo sopra una piccola tavoletta il Ciclope che dormiva, ve li dipinse appresso i Satiri, ch’abbracciavan il dito grosso del dormiente, acciò mediante la misura de Satiri, colui che dormiva apparisse infinitamente maggiore. Habbiamo insin qui dette, quasi tutte quelle cose che si aspettano alla forza del vedere, et a conoscer il taglio. Ma perche giova al caso nostro il sapere non solo quel che sia, et di che cose il taglio, ma come ancor egli si faccia, ci resta a dire di questo taglio, con qual’arte nel dipignere egli si esprima. Di questo adunque, lasciate l’altre cose da parte, racconterò io quel che faccia, mentre ch’io dipingo. La prima cosa nel dipignere una superficie, io vi disegno un quadrangolo di angoli retti grande quanto a me piace, il quale mi serve per un’aperta finestra da la quale si habbia a veder la historia, et quivi determino le grandezze de gli huomini ch’io vi voglio fare in pittura, e divido la lunghezza di quest’huomo in tre parti, le quali a me sono proportionali, con quella misura che il vulgo chiama il braccio. Imperoche ella è di tre braccia, come si vede chiaro da la proportione de membri dell’huomo, perche tale è la commune lunghezza per lo più del corpo humano. Con questa misura adunque divido la linea da basso che sta adiacere del disegnato quadrangolo, et veggo quante di cosi fatte parti entrino in essa: et questa stessa linea adiacere del quadrangolo è a me proportionale alla più vicina a traverso ugualmente lontana veduta quantità nello spazzo. Dopo questo io pongo un punto solo dove habbi a correre la veduta, dentro al quadrangolo, il qual punto preoccupi quel luogo al quale habbi ad arrivare il raggio centrico, e però lo chiamo il punto del centro: portassi questo punto convenientemente, non più alto da le linee che diace, che per quanto è l’altezza del huomo che vi si ha a dipignere, peroche in questo modo et coloro che riguardano, et le cose dipinte pare che sieno ad un piano uguale. Posto il punto del centro, tiro linee diritte da esso punto a ciascuna de le divisioni de la linea diritta che diace: Le quali linee veramente mi dimostrano, in che modo havendo io a procedere sino all’infinità et ultima lontananza, et si ristringhino le quantità da traverso all’aspetto et veduta mia. Fig. 3. Qui arieno alcuni che tirerebbono entro al quadrangolo una linea ugualmente distante da la già divisa linea, et dividerebbon in tre parti lo spatio che sarebbe fra le due dette linee. Di poi con questa regola tirerebbono un’altra linea parimente lontana da quella seconda linea, parimente lontana, talmente che lo spatio che infra la prima compartita linea, et quella seconda linea a lei paralella, o parimente lontana, diviso in tre parti, ecceda di una parte di se stesso quello spatio che è fra la seconda et la terza linea, et di poi aggiugnerebbono l’altre linee, talmente che sempre quello spatio che seguitassi inanzi infra le linee, fusse per la metà più, per parlare come i Matematici. Si che in questa maniera procederebbono costoro, i quali se ben dicono di seguire una ottima via nel dipignere, io nondimeno penso che essi errino non poco. Perche havendo posto a caso la prima linea parallela alla principale, se ben l’altre parallele son poste con regola et con ordine, non hanno però cosa per la quale essi habbino certo et determinato luogo de la punta de la piramide da poter bene vedere la cosa; dal che ne succedono facilmente nella Pittura non piccoli, errori. Aggiugni a questo, che la regola di costoro saria molto falsa, la dove il punto del centro fusse posto o più alto, o più basso de la statua del huomo dipinto: conciosia che tutti quei che sanno, diranno che nessuna de le cose dipinte, conforme alle vere, se ella non sarà posta con certa regola distante dall’occhio, non si potrà sguardare, ne discernere. De la qual cosa esporremo la ragione, se mai noi scriveremo di queste dimostrationi de la Pittura, le quali già fatte da noi, gli amici nostri mentre le guardavano con maraviglia, le chiamarono i miracoli de la Pittura. Imperoche tutte queste cose che io [p. 297 modifica]ho dette, principalmente si aspettano a quella parte: ritorniamo adunque a proposito. Essendo queste cose cosi fatte, io percio ho trovato questo ottimo modo. In tutte le altre cose io vo dietro alla medesima linea, et al punto del centro, et alla divisione de la linea che giace, et al tirare dal punto le linee a ciascuna de le divisioni de la linea che diace. Ma nelle quantità da traverso io tengo questo ordine. Io ho uno spatio piccolo nel quale io tiro una linea diritta: questa divido in quelle parti che è divisa la linea, che giace del quadrangolo. Di poi pongo su alto un punto sopra quella linea tanto alto, quanto è la altezza del punto del centro nel quadrangolo, da la linea diacente divisato, et tiro da quello punto a ciascuna divisione di essa linea le loro linee. Dipoi determino quanta distantia io voglio che sia, infra lo occhio di chi riguarda et la Pittura, et quivi ordinato il luogo del taglio, con una linea ritta a piombo, fo il tagliamento, di tutte le linee che ella truova. Linea a piombo è quella che cadendo sopra un altra linea diritta, causerà da ogni banda gli angoli a squadra. Fig. 4. Questa linea a piombo mi darà con le sue intersecationi adunque tutti i termini de le distantie che haranno ad essere infra le linee a traverso parallele del pavimento, nel qual modo io harò disegnate nel pavimento tutte le parallele; de le quali quanto elle sieno tirate a ragione, ce ne darà inditio, se una medesima continovata linea diritta sarà nel dipinto pavimento, diametro de quadrangoli congiunti insieme: Et è appresso a Matematici il diametro di un quadrandolo, quella linea diritta che partendosi da uno de li angoli và all’altro a lui opposto, la quale divide il quadrangolo in due parti talmente che facci di detto quadrangolo duoi triangoli. Dato adunque diligentemente fine a queste cose, io tiro di novo di sopra una linea a traverso, egualmente lontana da le altre di sotto, la quale interseghi i duoi lati ritti del quadrangolo grande, et passi per il punto del centro. Et questa linea mi serve per termine, e confine, mediante il quale nessuna quantità eccede la altezza dell’occhio del risguardante. Et perche essa passa per il punto del centro, perciò chiamasi centrica. Dal che avviene che quelli huomini che saranno dipinti infra le due più oltre linee parallele, saranno i medesimi molto minori che quegli che saranno fra le anteriori linee parallele: ne è per questo che ei sieno minori de gli altri, ma perche sono più lontani, appariscono minori, la qual cosa in vero ci dimostra manifestamente la natura che cosi sia. Percioche noi veggiamo per le Chiese i capi de gli huomini che spasseggiano, quasi andare sempre ad una medesima altezza uguali, ma i piedi di coloro che sono assai lontani, ci pare che corrispondino alle ginocchia di coloro che ci son dinanzi. Tutta questa regola del dividere il pavimento, principalmente si aspetta a quella parte de la Pittura, la qual noi al suo luogo chiameremo componimento. Et è tale, che io dubito che per esser cosa nuova et per la brevità di questi miei commentarii, ella habbi ad esser poco intesa da chi legge; imperoche si come facilmente conosciamo, mediante le opere antiche, che ella appresso de nostri maggiori per essere oscura et difficile non fu conosciuta: Conciosia che appresso de gli antichi durerai una gran fatica a trovare historia alcuna che sia ben composta, ben dipinta, ben formata, o bene scolpita. Per la qual cosa io ho dette queste cose con brevità, et come io penso, non anco oscuramente. Ma io conosco chente, et quali elle sono, che ne per loro potrò acquistarmi alcuna lode di eloquentia, et coloro che non le intenderanno alla prima vista, dureranno grandissima fatica a poterle giamai comprendere. Sono queste cose facilissime et bellissime a gli ingegni sottilissimi et inclinati alla Pittura, in qualunque modo elle si dichino, ma a gli huomini rozzi et poco atti, o inclinati da natura a queste nobilissime arti, ancorche di esse si parlasse eloquentissimamente, sarieno poco grate, et forse che queste medesime cose recitate da noi brevissimamente senza alcuna [p. 298 modifica]eloquentia, saranno lette non senza fastidio. Ma io vorrei che mi fusse perdonato, se mentre che principalmente io ho voluto essere inteso, io ho atteso a fare che il mio scriver sia chiaro, più tosto che composto ed ornato, et quelle cose che seguiranno, arrecheranno per quanto io spero, manco tedio a quei che leggeranno. Noi habbiamo adunque trattato de triangoli, de la piramide, del taglio, et di quelle cose che ci parevano da dire. De le quali cose nientedimeno io ero solito ragionare con gli amici miei molto più lungamente con una certa regola di geometria, et mostrar loro le cagioni, perche cosi avvenisse, il che io ho pensato di lasciare indietro per brevità in questi miei commentarii. Perche io in questo luogo ho racconto solamente i primi principii de la Pittura, et gli ho voluti chiamare i primi principii, percioche ei sono i primi fondamenti dell’arte per i Pittori che non sanno. Ma ei son tali, che coloro che gli intenderanno bene, conosceranno che gli gioveranno non poco, quanto allo ingegno, et quanto a conoscere la diffinitione de la Pittura, et quanto ancora a quelle cose che noi doviamo dire. Et non sia alcuno che dubiti, che colui non diventerà giamai buon Pittore, che non intenda eccellentemente quel che nel dipignere ei cercherà di fare. Imperoche in vano si tira lo arco, se prima non hai dessignato il luogo dove tu vuoi indirizare la freccia. Et vorrei certamente che noi ci persuadessimo, colui solo essere per diventare ottimo Pittore, il quale hora ha imparato a collocare ottimamente tutti i d’intorni, et tutte le qualità de le superficie. Et per il contrario io affermo che non riuscirà mai buon Pittore colui, che non saprà esattamente et diligentissimamente le cose che habbiamo dette. Et però è stato necessario tutto quello che si è detto de le superficie, et del taglio. Resta hora che si ammaestri il Pittore, del modo che egli harà a tenere nello immitar con la mano, le cose che egli si, sarà imaginato prima nella mente.