Dell'uomo di lettere difeso ed emendato/Parte prima/7

Parte prima - 7. Ignoranza, e Santità

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L’IGNORANZA MISERA
ANCOR NELLE FELICITÀ

7.

Ignoranza, e Santità.

La Santità è una perla di sì gran pregio e di sì alto valore, che quando ben’ella non sia legata in oro, quando ben non risplenda fra i lumi dell’intelletto, fra i raggi delle Scienze, non iscema perciò punto di merito, nè si stima meno da quel Mercatante, che dà tutto il suo per aver’una d’esse.

Su le bilance di Dio non si pesa la bellezza dell’intendere, ma la bontà del volere; nè gli penetrano il cuore [p. 47 modifica]gli acuti pensieri, ma gli affetti accesi. Lo sa l’infelice Lucifero, che tutto splendore d’ingegno, ma niente fuoco d’amore, ambizioso d’essere il Sole del paradiso, divenne il Principe delle tenebre nell’inferno; e precipitando coll’altre stelle, che seco dal cielo divelse, fece veder quanto più sia operare che sapere, mentre gl’ignoranti uomini della terra sagliono colà, onde caddero i dotti Angioli del cielo.

Dio non chiese mai il capo a nessuno, ma bensì il cuore a tutti; nè, dettando alla gran penna del gran Cronista Mosè la creazione del mondo, si prese a cura d’insegnarne quanta sia la mole de’ cieli, quanto il numero delle stelle, quale la virtù de’ loro aspetti; e se dal Sole prendano il lume, o n’abbiano da loro stesse la fonte:

per quali vie s’aggirino i Pianeti; onde le macchie della Luna; onde gli Eclissi: se duri sieno i cieli, se caldo il Sole; come l’Iride si dipinga; come volino i Venti per aria: chỉ muova con flusso e riflusso il Mare; chi dibatta con iscotimenti la Terra. Quæ nihil ad nos, disse S. Ambrogio1, quasi nihil profutura præterit. Tanto sol disse, quanto bastava per mettere negl’intelletti il fondamento alla Fede; dettò sol tanto, quanto si conveniva sapere per adempimento della sua legge: il restante lasciò, quasi marcescentis sapientiæ vanitates2.

E la Sapienza del Padre, il suo Verbo vivo, il grande esemplare di tutte l’Idee venne egli nella scuola d’una spelonca, su la catedra d’un presepio, nel consesso d’un bue e d’un giumento, ad insegnar ne’ silenzi della ınezza notte, con la voce de’ suoi singhiozzi, le occulte verità dell’umana Filosofia? visse ne’Licei professore di Lettere, mantenitor di dispute, scrittore di Scienze? O pur di Lettera palesò egli sì poco, che non ne potea dir ineno; fatto in questo ancora (sì come disse graziosamente Agostino) jota unum, ch’è la più piccola lettera, anzi unus apex, cioè meno della minima di tutte le lettere?

Venne (è vero) a convincere d’ignoranza la Filosofia delle Academie e de’ Licei, e far comparire stolta la [p. 48 modifica]Sapienza del Mondo: ma non usò perciò altezza di stile o sottigliezza di pellegrini discorsi. Con parole semplici della sua bocca, fecit lutum de sputo3, usando parabole, e maniere basse, non che communali, e con ciò rendè la vista a’ mal veggenti nostri occhi.

Ma gli Apostoli, i Legislatori del mondo, gli Oracoli delle vere risposte, quali gli scelse egli, quali li chiamò? Rozzi, ignoranti, e non addottrinati d’altre voci che d’Ammainare, Salpare, Approdare, imparate nella scuola della marinaresca. Pure co’Solecismi di questi ignoranti, disse Teodoreto, confuse i Sillogismi de’ Filosofanti.

Così onorò Dio la Santità senza Lettere, quanto più schietta, tanto più bella; quanto meno smunta dalle speculazioni, tanto più pingue e sugosa d’affetto4.

Molto sa, anzi sa tutto, chi non sa altro che Dio. Chi non sa questo, come che sappia ogni altra cosa, non sa niente: onde, per avviso d’Origene, quel mal Politico e peggior Sacerdote Caifasso, pur disse il vero a’ Satrapi Ebrei, nemici giurati di Cristo: Vos nescitis quidquam. Vere enim nihil noverant, qui Jesum veritatem ignorabant.

Diami Dio il merito di quella gran lode, con che il Pontefice san Gregorio onorò quel buon Monaco Stefano, di cui disse: Erat hujus lingua rustica, sed docta vita. Insegnimi Dio, e scuoprami sè stesso, altro non vo’ sapere; e lascio, con la Samaritana, e la fonte dell’umana Sapienza che sorge da terra, e l’urna insieme del desiderio di mai più volerla.

Io fin’ora ho parlato con la lingua altrui, non con la mia; e detto quello, non ch’è in tutto vero, ma che alcuni predicano come vero: alcuni dico, qui ad inscitiæ prætextum, disse il Nazianzeno5, con dire, sè esser discepoli de’ Pescatori, condannano le scienze in altrui, che o non vogliono o non sanno avere in loro stessi.

Un’Ecclesiastico, che non sapeva leggere altri libri, altra Filosofia non intendeva, che quella delle sue rendite, e si difendeva sotto lo scudo dell’Apostolo che [p. 49 modifica]disse, le Lettere essere un veleno e una peste, Littera enim occidit (così interpretava egli quel testo6), meritò, che Tomaso Moro o per ischerno o per correzione gli scrivesse quest’Epigramma: ma in lui solo a quanti parlò?

          Magne Pater, clamas, Occidit littera. In ore
               Hoc unum, Occidit littera, semper habes,
          Cavisti bene tu, ne te ulla occidere possit.
               Littera. Non ulla est littera nota tibi.

Che la Santità senza lettere non sia e riguardevole e preziosa, non v’è chi lo nieghi. Che meglio non sia esser Santo che Letterato, chi ne dubita? Ma che non sia meglio esser Santo e Savio che Santo solamente, non so chi possa con ragione contenderlo.

Essere, come Cristo disse del gran Battista, lucerna ardens et lucens, in cui la luce col fuoco e la fiamma collo splendore s’uniscano; che appunto è il perfectum di San Bernardo, in cui concorrono amendue le parti, lucere et ardere: Avere come i Santi Animali d’Ezechiello, manus sub pennis, cioè l’operar dell’azione e il volar della mente: Portare in bocca come lo Sposo de’ Cantici, i Favi colti dal cielo e dalla terra, e aver, col Mele della Vita celeste per sè, le Cere delle Scienze illuminatrici d’altrui: Unir, come nell’Arca, la Legge e la Manna; come nel Paradiso, l’Albero della Vita con quello della Sapienza: finalmente: Amare, e Intendere, non è questo દે in terra un vestigio della beatitudine del cielo? non è esser trono degno di quel gran Monarca e Dio, che siede su ’l dosso de’ Cherubini, e vola su le penne de’ Venti?

Uno de’ più rilevati favori, che Dio faccia a’ suoi cari è il dono delle Scienze. Che se ad Abraamo, con dargli una lettera del suo nome, fece sì segnalato favore, ut quemadmodum Reges (disse Crisostomo7) præfectis suis tabellas aureas tradunt, signum videlicet principatus; sic Deus justo illi, in honoris argumentum, unam litteram dederit; che dovrà dirsi di coloro, a quali Iddio aggiunge del suo, non una lettera al nome, ma grandi Scienze alla mente; facendogli a sè tanto più simili, quanto [p. 50 modifica]nell’intendere più perfetti? La Sposa non chiese altra cosa prima di questa, cominciando le Cantiche con la dimanda d’un bacio; che fu quanto chiedere, che il suo Sposo le fosse Maestro, e coll’amore suo le desse anche Scienza, quello nell’unione delle labbra, questa nell’impressione della favella. Petit osculum, disse l’interprete S. Bernardo8; idest Spiritum Sanctum invocat, per quem accipiat simul et scientiæ gustum, et gratiæ condimentum. Et bene scientia, quæ in osculo datur, cum amore recipitur; quia amoris indicium osculum est. Questi sì privilegiati, sono i Filii lucis; chiamati, sì come interpreta Beda9, coll’illustrissimo nome di Giorno, colà, dove disse il Profeta: Dies diei eructat Verbum. Per Diem enim accipimus limpidissimum et lucidissimum ingenium ad divina contemplanda habentes. E sì come conforme al detto di S. Ambrogio10, ipse est Dies Filius, cujus Pater Dies Divinitatis suæ eructat arcanum; così a questi lo stesso Dies Filius, prima fonte d’ogni sapere, comparte i suoi splendori, arricchendoli di sapienza. Questi, disse Origene, sono i Candelieri d’oro, alla cui luce si scuopre l’Arca, e s’illumina il Santuario. Questi i Gigli, nelle Verità che intendono candidi, e nella Carità con che amano vermigli. Questi i Grandi del Regno di Dio, se congiunsero al facere il docere. Le stelle splendide in perpetuas æternitates. Le pietre preziose, fondamenta della Gerusalemme d’oro. Chè questo onoratissimo titolo diede il grande Agostino all’eloquentissimo San Cipriano. E lo meritano; e amendue questi, e con loro l’Areopagita, Atanagi, Basilio, il Nazianzeno, Crisostomo, Girolamo, Ambrogio, Gregorio, e innumerabili altri, nell’intendere non meno che nel vivere maravigliosi.

Un’uomo di Santità senza lettere, il Teologo S. Gregorio11 lo chiamò privo d’un’occhio; perchè ancora per conoscer Dio, onde poi segue l’amarlo, le Scienze, a chi sa prenderle per iscorta, danno un gran lume. [p. 51 modifica]

E qui eccovi sott’imagine d’un Solecismo avvertito da S. Ambrogio, un segreto mistero accennato da David. Defecerunt, diss’egli12, oculi mei in eloquium tuum, dicentes: Quando consolaberis me? Come accorderete voi, con le leggi della Grammatica, oculi dicentes nel numero plurale, coll’altro singolare consolaberis me? se i Perspettivi non v’insegnano, che accordandosi le linee centrali, che si chiamano Assi, d’ambedue gli occhi a rivolgersi ad un punto, con ciò due occhi vagliono per ’un solo, perchè non raddoppiato ma semplice veggon l’oggetto, sì come se un sol’occhio si avesse: ben’è però vero, che la vista è più forte come doppia, più distinta, e sola abile a giudicar le distanze. Se a conoscer’e veder Dio s’accordino insieme l’occhio della Fede e quello delle Scienze (che forse è quello, che il Santo Re desiderava), puossi egli dubitare che tal vista non sia e migliore e più forte? Non sono dunque nocevoli alla Santità le Scienze; anzi l’ajutano come compagne, o almeno la servono come ancelle.

Quanto poi all’esempio di Cristo, per sapere quanto meno favorisca la Santità ignorante a paragone di quella de’ Savj, basti raccordare, che dove egli nel raccorre il gran fascio delle nostre miserie allargò si generosamente le braccia, sola d’esse rifiutò l’Ignoranza, nè volle che le sue tenebre avessero luogo nella Luce del Mondo. Nella povertà bisognoso, nella debolezza cadente, nella solitudine abbandonato, ne’ disprezzi negletto, nella nudità confuso, nelle pene doglioso, nella Croce svenato; sazio, disse il Profeta, di obbrobrj, e pieno dal capo al piè di dolori: fra tanti mali, Ignoranza non volle. Sotto l’ispida pelle del selvaggio Esaù ritenne la voce di Jacob sì che, e come Sapienza del Padre non fosse, e come Maestro del Mondo non paresse ignorante. Che se più altamente non favellò di quello che fece, fu perchè ad occhi di Nottole non ci vuole un Sole, essendo anche troppo una lucerna. Ma se allora tacque, ha dipoi sempre parlato in questi sedici secoli d’oro che fin’ora ha [p. 52 modifica]veduti la Chiesa, parlato dico con le lingue le Penne, di tanti sì chiari Maestri del Mondo, che da lui, come le fonti dal mare, hanno preso tutto il limpido e ‘l profondo di quella Dottrina, di che, a pro de’ posteri, empierono sì copiosamente le carte.

Laudate igitur, pueri, Dominum, hoc est (parla Agostino13) Sit senectus vostra puerilis, et sit pueritia senilis, ut nec Sapientia vestra sit cum superbia, nec humilitas sino sapientia; ut laudetis Dominum ex hoc nunc et usque sæculum.

Note

  1. Lib. 6. Hexam. c. 2.
  2. Ibid.
  3. Joan. 9.
  4. Veggasi s. Bernar;. serm. 36. in Cant.
  5. Orat. 27.
  6. 2. Cor. 3.
  7. Hom. 2. de verb. Isa.
  8. Serm: 8.4
  9. In Ps. 28.
  10. Serm. ult.
  11. Orat. 20.
  12. In Psal. 118.
  13. In Psal. 112.