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Così la Sapienza, ch’è il colmo delle più nobili Lettere, meglio che nella Palude stigia Achille, rende l’animo impenetrabile alle ferite del corpo, e tiene tanto alienata dal senso de’ suoi dolori la mente, quanto sa occuparle intorno a più felice oggetto i pensieri.

Sia dunque il Savio povero, sia in prigione, sia sbandeggiato, sia infermo, eccovi in due parole per ognuno di questi mali la medicina: Pauper fiam? inter plures ero. Exul fiam? Ibi me natum putabo’, quo mittar. Alligabor? Quid enim? Nunc solutus sum? ad hoc me Natura grave corporis mei pondus adstrinxit. Moriar? hoc dicis: Desinam ægrotare posse, desinam alligari posse, desinam mori posse1.

Così accennato quanto un’uomo di Lettere sia felice di quel solo che da esse ne cava; perchè spicchi meglio questo poco chiaro che ho saputo dare ad una sì illustre materia, gli porrò appresso la sua ombra; e se v’ho fatto vedere la Sapienza star bene anche nel male, ora vi mostrerò l’Ignoranza star male anche nel bene.

L’IGNORANZA MISERA
ANCOR NELLE FELICITÀ

7.

Ignoranza, e Santità.

La Santità è una perla di sì gran pregio e di sì alto valore, che quando ben’ella non sia legata in oro, quando ben non risplenda fra i lumi dell’intelletto, fra i raggi delle Scienze, non iscema perciò punto di merito, nè si stima meno da quel Mercatante, che dà tutto il suo per aver’una d’esse.

Su le bilance di Dio non si pesa la bellezza dell’intendere, ma la bontà del volere; nè gli penetrano il cuore

  1. Seneca, ep. 24.