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48 | dell’uomo di lettere |
Sapienza del Mondo: ma non usò perciò altezza di stile o sottigliezza di pellegrini discorsi. Con parole semplici della sua bocca, fecit lutum de sputo1, usando parabole, e maniere basse, non che communali, e con ciò rendè la vista a’ mal veggenti nostri occhi.
Ma gli Apostoli, i Legislatori del mondo, gli Oracoli delle vere risposte, quali gli scelse egli, quali li chiamò? Rozzi, ignoranti, e non addottrinati d’altre voci che d’Ammainare, Salpare, Approdare, imparate nella scuola della marinaresca. Pure co’Solecismi di questi ignoranti, disse Teodoreto, confuse i Sillogismi de’ Filosofanti.
Così onorò Dio la Santità senza Lettere, quanto più schietta, tanto più bella; quanto meno smunta dalle speculazioni, tanto più pingue e sugosa d’affetto2.
Molto sa, anzi sa tutto, chi non sa altro che Dio. Chi non sa questo, come che sappia ogni altra cosa, non sa niente: onde, per avviso d’Origene, quel mal Politico e peggior Sacerdote Caifasso, pur disse il vero a’ Satrapi Ebrei, nemici giurati di Cristo: Vos nescitis quidquam. Vere enim nihil noverant, qui Jesum veritatem ignorabant.
Diami Dio il merito di quella gran lode, con che il Pontefice san Gregorio onorò quel buon Monaco Stefano, di cui disse: Erat hujus lingua rustica, sed docta vita. Insegnimi Dio, e scuoprami sè stesso, altro non vo’ sapere; e lascio, con la Samaritana, e la fonte dell’umana Sapienza che sorge da terra, e l’urna insieme del desiderio di mai più volerla.
Io fin’ora ho parlato con la lingua altrui, non con la mia; e detto quello, non ch’è in tutto vero, ma che alcuni predicano come vero: alcuni dico, qui ad inscitiæ prætextum, disse il Nazianzeno3, con dire, sè esser discepoli de’ Pescatori, condannano le scienze in altrui, che o non vogliono o non sanno avere in loro stessi.
Un’Ecclesiastico, che non sapeva leggere altri libri, altra Filosofia non intendeva, che quella delle sue rendite, e si difendeva sotto lo scudo dell’Apostolo che