Sofonisba, Reina di Numidia

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Sofonisba, Reina di Numidia
LXVII LXIX
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CAPITOLO LXVIII.

Sofonisba, moglie di Siface, Reina

di Numidia. Sofonisba, benchè fusse famosa perchè fu reina di Numidia, diventò molto più famosa per l’asperità della morte, la quale ella elesse senza paura. E questa fu figliuola di Giscone, grandissimo principe di Cartagine nel tempo che Annibal affliggeva Italia; la quale venne data per moglie da suo padre, essendo ella vergine, a Siface, potentissimo re di Numidia; [p. 299 modifica] e certamente non tanto desiderio del parentado del re, quanto quegli come uomo sagace desiderava, durando la guerra con gli Romani, non solamente sottrarre ai Romani i re barbari, ma ancora pensava, per sollecitudine di sua figliuola, con lusinghe convertire quello alla parte de’ Cartaginesi contro ai Romani; e non fu ingannato da fallace pensiero; perchè come Siface ebbe compiute le nozze, fu tratto con tanto ardore d’amore da quella fanciulla la quale era innanzi ammaestrata, ajutandola la bellezza, che niuna cosa pensava cara e dilettevole a sè se non quella. Così egli infelice usando con quella, essendovi nuova che Cornelio Scipione era per passare1 di Sicilia in Africa con l’oste, Sofonisfa informata da Asdrubale, con lusinghe e prieghi trasse tanto a’ suoi desiderj l’animo di Siface, che non solamente egli abbandonò i Romani, ai quali egli avea promesso servare fè, e aggiunsesi ai Cartaginesi, ma volontariamente fecesi principe della guerra. Per la qual cosa, avendo sottomessa la fè alla perfidia, la quale avea pro[p. 300 modifica]messa a Scipione; essendo egli in casa sua, innanzi che Scipione arrivasse in Africa, interdissegli per lettera la sua andata. Ma Scipione, giovane di grandissimo animo, dannata la malvagità dello barbaro re, messo in terra l’oste non molto lungi da Cartagine, vinse quello innanzi all’altre cose per Massinissa re suo compagno, e Lelio suo legato; per lo quale, avendo egli sconfitto lo suo oste, fu preso e legato, e menato a Cirta città reale in Numidia. E come egli fu mostrato legato con le catene ai suoi cittadini, fu arrenduta la terra a Massinissa; lo quale, non essendo ancora arrivato Lelio, entrò nella città, essendo tutte le cose in tumulto; e, come egli era armato, andando al palazzo del re, Sofonisfa gli si fe’ incontro; la quale conoscendo la sua fortuna, vedendo quello entrare nel portico, più adorno d’arme che gli altri, pensato che fusse il re, come egli era; servato l’animo della prima fortuna, inchinata2 innanzi a quello, disse così: Glorioso re, è piaciuto alla tua felicità che tu [p. 301 modifica] possa contro a noi, i quali poco innanzi eravamo re, ogni cosa che tu vuoi; ma se egli è permesso che io serva innanzi a te vincitore e signore della mia morte e della mia vita, possa favellare, e che io possa toccare i tuoi ginocchi, e la tua vincitrice mano; umilmente priego per la tua maestà, nella quale poco innanzi io era per la schiatta reale, e per lo comune nome di Numidia; benchè tu se’ ricevuto con migliore onore, che egli è partito di qui Siface; adopera verso me, la quale l’avversa fortuna fece di tua ragione, quello che a’ tuoi occhi parrà pietosa e buona cosa; purchè io non venga viva nel fastidioso e superbo arbitrio dei Romani. Tu puoi vedere assai lievemente quello che io, nimica de’ Romani, Cartaginese, e figliuola di Asdrubale, posto che io non fossi moglie di Siface, possa temere. E se non ci è altro modo, priegoti, e ripriegoti, faccia che io muoia piuttosto per la tua mano, che io venga viva nella potestà de’ nemici. Massinissa, lo quale era eziandio di Numidia, pronto a lussuria (come egli sono tutti gli Africani) guardando alla bellezza della faccia di quella, la quale lo pregava; e perchè lo caso avea aggiunto alcuna [p. 302 modifica]pietosa e non usata bellezza a lei che pregava, mosso da umanità, e tratto da lussuria, non essendo ancora sopravvenuto Lelio, come egli era, armato porsele la mano; essendo ella tra lamentevole romore di femmine, e lo tumulto de’ cavalieri, i quali discorrevano da ogni parte; levò suso lei la quale pregava, e subito la fece sua moglie, e in mezzo lo romore delle armi compiute le nozze, penso che per questa via egli credette avere trovato modo alla sua lussuria e agli preghi di Sofonisba. Poi lo seguente di venne Lelio: e per comandamento di Scipione tornarono al campo con tutto lo reale apparecchiamento, e con la preda e con la nuova moglie. E primieramente per le benfatte cose amichevolmente ricevuti da Scipione; poi amichevolmente essendo ripreso per lo matrimonio contratto con quella, che era serva del popolo di Roma, e essendo tornato alla sua tenda, rimaso solo; dolsesi per lungo spazio con sospiri e con lagrime, intanto che egli era udito da quelli d’intorno. E costringendolo la condizione di Sofonisba, fecesi chiamare lo più fidato dei suoi servi, lo quale avea servato lo veleno in sua guardia per certi casi di fortuna; e co[p. 303 modifica]mandogli, ch’egli portasse quello disfatto in una coppa a Sofonisba, e che le dicesse: Che volentieri le avea promesso fè per osservargliela, se potesse; ma perchè gli era tolto la speranza da quegli che potevano, davale la fè che ella avea domandata, e non senza sua tristizia; così che dovesse usar quella bevanda3, acciocchè ella andasse viva in potestà de’ Romani; e nondimeno, che ella si ricordasse chi fu suo padre, e di che patria ella fusse; e che ella si ricordasse di due re ai quali poco innanzi era stata maritata; e che ella deliberasse quello che le paresse. La quale per certo, udito il messo, con costante volto disse: Io accetto il dono delle nozze, se il mio marito non può dare altro dono: ma rapportagli, che io moriva meglio se non avessi preso marito alla mia morte. E disse più aspramente queste parole, che ella non pigliò lo veleno: e non mostrando alcuno segno di paura, subito bevvelo tutto; e non insuperbita contro alla morte, che ella avea cercata, miserabile cadde. E certo sarebbe fatto grande, e mirabile cosa à uno annoso [p. 304 modifica] uomo che avesse avuto la vita per rincrescimento, e non avesse avuto altra speranza che di morire, non che a una fanciulla reina, la quale allora entrando nella vita (avuto rispetto alla notizia delle cose) e cominciando a conoscere che dolcezza sia in quella, è cosa degna di ricordazione, che senza paura ella andasse incontro alla morte4.

Note

  1. Betussi.
  2. Cod. Cass. inchacciata. Test. Lat. ad ejus proclivis genua.
  3. Betuss.
  4. Cod. Cass. ecerto sarebbe fatto grande emirabile che la anao animoso uomo che accessi avuta laccita perrincrescimento enonavessi avuto altra speranza chedimorire nonche auna fanciulla reina laquale anchora entrando nella vita nonne avuto rispetto perla notizia dellechose chominciando acognoscere che dolciezza sia in quella chosa degnia direcordazione chonsanza paura ella andasse incontro alla morte. Test. Lat. Edepol annoso homini, cui jam vita tedet, nec spes alla præter mortem; ne dum puelulæ regio tunc (habito ad notitiam rerum respectu) vitam intranti, quod in ea dulcedinis sit percipere incipienti, magnum et admirabile fuisset, et nota dignum, morti certe adeo impavide occurrisse. et