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capitolo lxviii. 301


possa contro a noi, i quali poco innanzi eravamo re, ogni cosa che tu vuoi; ma se egli è permesso che io serva innanzi a te vincitore e signore della mia morte e della mia vita, possa favellare, e che io possa toccare i tuoi ginocchi, e la tua vincitrice mano; umilmente priego per la tua maestà, nella quale poco innanzi io era per la schiatta reale, e per lo comune nome di Numidia; benchè tu se’ ricevuto con migliore onore, che egli è partito di qui Siface; adopera verso me, la quale l’avversa fortuna fece di tua ragione, quello che a’ tuoi occhi parrà pietosa e buona cosa; purchè io non venga viva nel fastidioso e superbo arbitrio dei Romani. Tu puoi vedere assai lievemente quello che io, nimica de’ Romani, Cartaginese, e figliuola di Asdrubale, posto che io non fossi moglie di Siface, possa temere. E se non ci è altro modo, priegoti, e ripriegoti, faccia che io muoia piuttosto per la tua mano, che io venga viva nella potestà de’ nemici. Massinissa, lo quale era eziandio di Numidia, pronto a lussuria (come egli sono tutti gli Africani) guardando alla bellezza della faccia di quella, la quale lo pregava; e perchè lo caso avea aggiunto alcuna