De mulieribus claris/LXVII
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CAPITOLO LXVII.
Busa di Canosa.
Busa fu una donna per la prima origine da Canosa, la quale acciocchè io creda essere nata di nobile sangue, e per altri più meriti famosa, ne fa fede quello magnifico atto1 lo quale singolare gli antichi hanno lasciato di lei a quegli che seguono. Dicono, che facendo aspra guerra Annibale Africano contro i Romani, e guastando tutta Italia con ferro e con fuoco, bruttando quella di molto sangue, avendo appresso Canne, terra di Puglia, in una gran battaglia non solamente isconfitti i nemici, ma quasi abbattuta tutta la potenza d’Italia, avvenne che di quella sconfitta e gran mortalità la notte fuggendo per luoghi diserti, di molti dispersi e vaghi n’arrivò a Canosa, città dieci migliaja, la qual città allora servava fè alla parte de’ Romani: i quali tutti sendo deboli, e stanchi, bisognosi, disarmati, nudi e percossi di ferite, non impaurita del caso, nè della potenzia del vincitore, Busa gli ricevè nelle proprie case amichevolmente, e ritenuegli in albergo. Innanzi all’altre cose confortò quegli, dicendo, che eglino avessero buon animo; e trovato i medici fece curare i feriti2 con un’affezione di madre, quegli che erano nudi rivestì, e a tutti sovvenne con maravigliosa cortesia; a’ disarmati diede arme, e continuamente de’ suoi beni fece loro le spese. E fortificati quei miseri, volendosi partire, pigliando speranza, volontariamente diede da spendere a tutti, e in niuna bisogna di quegli fu scarsa. E certo egli fu maraviglioso a dire, e in femmina molto più laudabile, che se fusse avvenuto ad uomo. Gli antichi ebbero per usanza di magnificare per cortesia Alessandro di Macedonia, assalitore di tutto il mondo: tra l’altre sue cose affermano, che non solamente ebbe per usanza di donare preziosi giojelli, molta moneta, e simili doni, secondo la cortesia degli altri principi; ma soleva alcuna volta dare agli amici signorie speziali di regni, e alcuna volta agli amici re donava i suoi regni. E certamente bella e magnifica cosa, e da contarla con molte famose lodi; ma, secondo che io penso, non è da assomigliare quelle alla cortesia di Busa; perchè Alessandro fu uomo, e quella fu una femmina; e le donne sono naturalmente dimestiche e tenaci delle ricchezze: egli era un grandissimo re, questa una privata donna; quegli faceva cortesia di quello che rubava e toglieva per forza, e questa di quello che ella possedeva di suo matrimonio e patrimonio; quegli, quello che forse non poteva conservare3, questa dava quello che lungamente ella avea posseduto e tenuto, e ancora poteva tenere, se ella avesse voluto; quegli dava agli amici, ed a quelli che l’avevano servito, questa dava agli stranj e non conosciuti; quegli dava, essendo i suoi fatti in prosperità; questa, stando i suoi in dubbio, e pericolando gli amici; quegli dava in paesi stranj, questa dava nella sua patria e tra suoi, essendo presente; quegli per acquistar gloria di cortesia, e questa per sovvenire a bisognosi. Perchè dico io molte parole? se noi guardiamo l’animo del maschio e della femmina, e la qualità d’amendue, non dubito, che sotto giusto giudice, Busa acquistò più gloria di sua generosità, che Alessandro di sua cortesia. Ma abbia chi vuole chiara fama: a mio parere Busa usò ottimamente le sue ricchezze; perchè la natura madre non produsse fuori l’oro dall’intrinseco della terra perchè fussero tramutate dal ventre della madre nelle arche4 per farne adunanza, la quale fanno gli avari, riponendole negli scrigni, e con gran guardia soprastando a quelle, quasi come l’uomo dovesse rinascere; anzi sopra tutte le altre cose le produsse, perchè siano spese a comune utilità della compagnia degli onesti amici; e se avanzano, acciocchè ajutiamo con liberale animo a quegli che sono battuti da ingiuria di fortuna, stanchi dall’ira del cielo, gravati indegnamente dalla povertà, e a quegli che sono in prigione per altrui difetto, e ciascuni che sono soperchiati da faticosa fortuna; non per guadagno, ma per fare queste comoditadi, per lo dono e ajuto; usando quello temperamento di ragione, che noi non troviamo per noi, ajutando gli altri, la povertà per la quale noi siamo costretti metter mano alle altrui ricchezze, non dico per forza, ma ancora non desiderarle con gli occhi.
Note
- ↑ Cod. Cass. laquale io credo essere nata di nobile sanghue eper altri piumeriti efamosa o anchora per quello magnificho loquale singhulare gliantichi anno lasciato di lei. Test. Lat. quam ut ex generoso sanguine natam credam, et aliis meritis splendidam, fidem facit magnificum illud facinus, quod unicum de ea posteritati reliquit antiquitas.
- ↑ Cod. Cass. inimici. Test. Lat. vulneratos.
- ↑ Betussi. Test. Lat. ille quod sibi forsan commode servare nequibat.
- ↑ Test. Lat. Deferretur in tumulum.