Flora, meretrice Romana

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Flora, meretrice Romana
LXI LXIII
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CAPITOLO LXII.

Flora, meretrice Romana.

Gli antichi parono provare, che Flora fu una donna romana, alla quale quanto tolse lo vituperoso guadagno, tanto le aggiunse di nominanza la favorevole fortuna. E questa, secondo che conferma ogni uomo, fu ricchissima femmina; ma è discordia come ella acquistasse le ricchezze; perchè alcuni dicono, che ella consumò tutto il fiore di sua gioventù [p. 278 modifica]e di bellezza del corpo per gli bordegli cogli ruffiani e scellerati giovani in pubblica lussuria; e spogliando delle ricchezze or questo or quello con lascivie e con lusinghe, come è usanza di così fatte femmine, da ogni parte radendogli e pelandogli, venne a sì gran ricchezze. Altri hanno pensato di lei più onestamente; e di lei contano piacevole e sollazzevole storia, affermando, che essendo in Roma il tempio d’Ercole Ozioso, essa incominciò il giuoco del tessere con amendue le mani1; e avendo diterminato a Ercole la destra, e a sè la sinistra; fece pericolo a sè che se Ercole fusse vinto, apparecchiasse della rendita del tempio la cena a lei come amica; e se Ercole fusse uccisore, disse, de’ suoi danari fare quel medesimo. Dappoichè Ercole vinse, usato eziandio di vincere le cose maravigliose, dicono, che gli apparecchiò la cena Flora nobile meretrice; alla quale, dicesi che dormendo ella nel tempio, le parve avere commesso adulterio con Ercole; e che da lui le fu detto, che ella riceverebbe2 lo [p. 279 modifica]pagamento dell’adulterio da quello che ella trovasse prima uscendo dal tempio. La mattina scontrando uno ricchissimo uomo, innamorossi di quella, e menolla a casa: e dormendo lungo tempo con lui, quando egli venne a morte lasciolla sua erede, e così arricchì. E sono alcuni che dicono, che questa non fu Flora, anzi fu Accia Laurenzia, la quale aveva nutrito innanzi Romolo e Remo, ovvero nutrito quegli dappoi; ma di questa discordia non curo; perchè sia manifesto che Flora sia stata meretrice e ricca. E questa, acciocchè io arrivi a quello che io voglio dire, venendo al termine della mortale vita, non avendo ella alcuno figliuolo; e avendo voglia di fare perpetuo lo suo nome, secondo che io penso, con uno scaltrimento di femmina, per futura gloria di sua fama, lasciò suo erede lo popolo di Roma delle sue ricchezze; salvando nondimeno parte di quelle a questo fine, che quella utilità che si ricevesse ogni anno, per annuale della sua natività fusse speso tutto in giuochi fatti pubblicamente. E non fu ingannata di sua opinione; perchè avendo acquistato la grazia del popolo di Roma per la eredità lasciata, lievemente ottenne, avere [p. 280 modifica]giuochi a memoria di suo nome. Nei quali giuochi in presenza del popolo (secondo che io penso, a mostrare come ella avea acquistato) tra l’altre brutte cose meretrici nude si esercitavano nell’ufficio de’ mimi con sommo diletto di quelli che guardavano, facendo atti brutti e disonesti. Per lo quale disonesto spettacolo avvenne, che quelli giuochi furono chiamati Florali dal nome di quella che gli trovò; e, o che fusse per lo modo, o che fusse per la pubblica moneta, furono dimandati ogni anno dal popolo con istanza sì fatti giuochi come cosa santissima, lo quale popolo era corrivo3 a lascivia. Ma per ispazio di tempo sapendo lo senato l’origine di quegli, e vergognandosi, che la città, già donna del mondo, fusse bruttata come di scellerata macchia, e che tutta la città corresse alle lodi di una meretrice; e conoscendo che non potevano lievemente tor via la vergogna, aggiunse alla bruttezza un detestabile e sollazzevole errore. E finse per fama, di Flora gloriosa testatrice, una favola, e fu recitata al popolo ancora [p. 281 modifica]ignorante; affermando, quella essere stata innanzi una ninfa di maravigliosa bellezza, abitatrice del luogo chiamato per nome Clora; e che ella era stata amata ardentissimamente da Zeffiro vento, lo quale in latina lingua noi chiamiamo Favonio; e finalmente che egli l’avea tolta per moglie: egli, lo quale per loro matterìa chiamarono Dio, avevale commesso per dono delle nozze a modo di dote, come suole avvenire, la deità con questo ufficio, che nel principio della primavera ella adornasse gli alberi e le montagne e i prati di fiori, e fusse donna sopra quegli; e dappoi fusse chiamata Clora Flora: e perchè di fiori seguiron frutti, acciocchè lusingata cogli occhi la sua deità, concedesse quegli con ampia liberalità, e conducesse quegli a frutto, fu conceduto a lei dagli antichi sagrificio, tempio e giuochi. Per la quale falsità mossi pensarono, quella, che avea abitato per li bordelli, e che eziandio per ogni minimo pagamento era stata adultera, sedere con Giunone reina e con l’altre Dee, quasi come Zeffiro l’avesse portata in cielo con le sue ali. E così Flora con suo ingegno, e con dono della fortuna, con la mala acquistata [p. 282 modifica]moneta, di puttana diventò ninfa, e avendo acquistato lo matrimonio di Zeffiro, e da quello la deità, fu onorata dagli uomini per li templi con divini onori, intanto che non solamente di Clora Flora, ma in ogni luogo di famosa meretrice a suo tempo, diventò famosa dea.

Note

  1. Betussi.
  2. Cod. Cass. ucciderebbe. Test. Lat. suscepturam mercedem.
  3. Cod. Cass. chontro. Test. Lat. a plebe in libidinem prona.