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capitolo lxii. 281

ignorante; affermando, quella essere stata innanzi una ninfa di maravigliosa bellezza, abitatrice del luogo chiamato per nome Clora; e che ella era stata amata ardentissimamente da Zeffiro vento, lo quale in latina lingua noi chiamiamo Favonio; e finalmente che egli l’avea tolta per moglie: egli, lo quale per loro matterìa chiamarono Dio, avevale commesso per dono delle nozze a modo di dote, come suole avvenire, la deità con questo ufficio, che nel principio della primavera ella adornasse gli alberi e le montagne e i prati di fiori, e fusse donna sopra quegli; e dappoi fusse chiamata Clora Flora: e perchè di fiori seguiron frutti, acciocchè lusingata cogli occhi la sua deità, concedesse quegli con ampia liberalità, e conducesse quegli a frutto, fu conceduto a lei dagli antichi sagrificio, tempio e giuochi. Per la quale falsità mossi pensarono, quella, che avea abitato per li bordelli, e che eziandio per ogni minimo pagamento era stata adultera, sedere con Giunone reina e con l’altre Dee, quasi come Zeffiro l’avesse portata in cielo con le sue ali. E così Flora con suo ingegno, e con dono della fortuna, con la mala acquistata