De mulieribus claris/Avviso ai Leggitori

Avviso ai Leggitori

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Avviso ai Leggitori
Dedica Memorie Storiche su la Vita di M. Donato da Casentino
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AVVISO AI LEGGITORI


SEMBRA che a quei monaci, cui fu dato dalla Provvidenza campare alla nequizia dei secoli barbari le opere dell’umano ingegno, sia commesso il nobile ufficio di renderle di pubblico diritto all’incremento delle umane conoscenze. L’odierno incivilimento, che vuole adempiuto un tanto ufficio specialmente da quei di Monte Cassino, come custodi di prestantissimo Archivio, muoverebbe giusta querela contro di questi se fra tanta dovizia letteraria, poltrendo nell’ignavia, non si avvisassero donare altrui qualche incognito scritto utile o alla mente o al cuore. Ne i Cassinesi obbliarono un sì santo dovere. Nello scorso secolo, per dire dei tempi men lontani dall’etá nostra, il Gattola [p. 8 modifica]scriveva la Storia della Badia di Monte Cassino, ed il P. Federici quella degl’Ipati di Gaeta; ed entrambi, producendo Bolle, Diplomi, ed altre memorie, tolsero queste alľ obblio, e vennero sempre piú ponendo in luce gli umani avvenimenti. Per opera del P. Fraja, prefetto dell’Archivio Cassinese, a di nostri videro la luce dieci Sermoni di S. Agostino per la prima volta, e quegli meritò bene della repubblica letteraria. Lo sconvolgimento cui andò soggetta Europa, la voce di un secolo che grida la croce sulle congreghe monastiche, se sconfortò l’animo dei Cassinesi dalle imprese letterarie, non gli ebbe inviliti; e il talento di giovare altrui, di non rimanersi inutili membra della societá, e la memoria di essere stati conservatori della Sapienza, li rende tuttora promulgatori di quella.

Anche i meno saputi delle cose italiane han contezza dell’Archivio Cassinese, e della dovizia de’ manoscritti che in esso si conservano, e delle molte cose le quali incognite si rimangono, e che tornerebbe utile pubblicare. Fra i settecento Codici, o vergati per mano de’ monaci, o per loro cura [p. 9 modifica]raccolti, ve n’ha uno cartaceo del secolo XIV, nel quale leggesi il Volgarizzamento di Maestro Donato di Casentino dell’opera di Messer Boccaccio, intitolata De Claris Mulieribus. Un indice de’ Capitoli, ed un brieve Prologo dello stesso Donato precede in questo Codice le Vite di Boccaccio. Di questo, e degli altri traduttori farò motto, seguendo quello che ne scrive l’Argelati ed il Villa, che all’opera di lui fece le note.

Il Bagli ed il Betussi tradussero le Vite delle Donne illustri; e le Traduzioni di loro vennero a luce. Il primo la volle dedicata a Lucrezia, figliuola del magnifico signore Ridolpho dei Baglioni; e venne pubblicata per i tipi di Giovanni de Trino in Venezia nell’anno 1506, nel giorno 6 di marzo, edizione rarissima, della quale Maittair fa menzione1.

La traduzione del secondo venne per la prima volta a luce in Venezia nell’anno 1547, dedicata all’Illustrissima signora Camilla Pallavicino, Marchesa di Cortemaggiore, e fu ristampata nella stessa cittá nel 1558: [p. 10 modifica]e finalmente il Giunti in Firenze riprodusse la traduzione del Betussi nel 1596 con le aggiunzioni del Serdonati, il quale raccontò delle Donne illustri, che dal tempo di Boccaccio fino a’ suoi giorni fiorirono; e questa edizione fu dedicata a Cristiana di Lorena, Gran Duchessa di Toscana. E ciò delle traduzioni conosciute per la stampa.

Di quelle poi che tutt’ora inedite si conservano negli archivj, due solo possono numerarsi; quella del Sassetti Fiorentino, esistente nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana, e della quale parlano il Manni nella Storia del Decamerone, il P. Montfaucon2 ed il Negri3; e l’altra di M Donato da Casentino. Due codici di questa traduzione esistono nella Biblioteca Reale di Torino; dei quali il primo è scritto nel XIV secolo in un Codice papiraceo di bellissimi caratteri, ed adorno di aurei lavori; ed il secondo scritto anche in pergamena nel secolo XV.

Ma oltre a questi due codici citati [p. 11 modifica]dall'Argelati e dal Villa, ve n’ha uno nel famoso Archivio di Monte Cassino finora incognito, e pregevole più di quelli di Torino per l’aggiunzione del Protesto fatto per comandamento de’ S. di Firenze a’ Rettori, ed altri ufficj, che ministrano ragione, fatto per Francesco di Pagholo Vettori a dí 15 settembre 1455; e di due lettere, delle quali una è indiritta dal Gran Turco a Papa Nicolò V, e l’altra da questi al medesimo: la prima è volta dall’idioma arabico nel greco, dal greco in latino, e dal latino in volgare.

Va per altro ricco il Codice Torinese dell’Epistola del magnifico signore Astorre de’ Manfredi, mandata ad una splendida donna da lui sommamente amata, dalle carceri Fiorentine.

Questa lettera non si legge nel Codice Cassinese, e perciò ne vo’ riportare il principio, che rinvenni nell’opera del Pasini. «Gentilissima, e valorosa donna nella cui somma virtù e bellezza io ho tutta la mia speranza collocata et in chui etiandio scolpito risiede l’abitacolo di tutti i miei amorosi desiri. Egle vulgare opinione che colpi della adversa fortuna abino forza co loro molesti, [p. 12 modifica]et pungenti strali di spegnere le cocenti fiamme di cupido, le quali secondo l’autoritá de gentili fanno mossa dalla terza spera. Et nel umano spirito disposto a gentilezza fermano il segio della loro dolcissima residentia, ecc.»

Sembra che questo Astorre sia stato della famiglia di que’ Manfredi, che tenevano la signoria di Faenza; e sia quel desso, che, militando sotto i comandi di Niccolò Piccinino, seguendo le parti di Filippo Maria Duca di Milano, fu sconfitto a Borgo San Sepolcro dai Fiorentini nel dì 29 di giugno, 1440, fatto prigione, e cacciato nelle Stinche, o pubbliche carceri di Firenze con Sacramoro Visconti, Antonello della Torre, ed altri4: e forse da quelle carceri scrisse questa lettera alla donna che amava. E parlando Astorre nella Epistola, dell’avversa fortuna, possiamo dire per congettura, aver voluto Astorre alludere all’avversitá della fortuna nella giornata di Borgo S. Sepolcro, ed alla sua prigionia.

In un secolo, nel quale, la Dio mercè, son [p. 13 modifica]tornate le menti italiane alla purità del loro linguaggio, bruttato e imbastardito da modi stranieri, quando non solo i corpi, ma le menti, e fino la favella doveva gemere sotto il giogo transalpino; crediamo far cosa utile alla patria producendo una scrittura, che come nascosto tesoro di molte bellezze, in fatto di lingua va ricca. Anzi di modi eleganti abbonda, i quali si desiderano nello stesso Vocabolario della Crusca.

E perciò non credano i leggitori essere la traduzione di M.° Donato uno di quegli scartabelli del Trecento, i quali pochissimo oro ti offrono e grande mondiglia; ma è fonte di peregrina venustà, del quale noi doniamo coloro, che all’italiana favella danno opera, e della purità di questa sono teneri.

Speriamo che i leggitori non vorranno incolparci di troppo ardimento se la vieta ortografia del Codice sia stata a moderna foggia ridotta in guisa che nelle parole e nel senso non siavi cangiamento di sorta. E poichè nel nostro esemplare non avvi segno veruno che divida i periodi e l’un senso dall’altro, a questa mancanza supplimmo non secondo ne talentava, ma secondo il testo latino del Boccaccio lo richiedeva. [p. 14 modifica]

Solleciti che il nostro Codice venga in luce in tutta sua interezza, que’ passi oscuri che non davano senso, forse per colpa di chi lo scrisse, noi emendammo, ponendoli a confronto coll’opera latina del Boccaccio e colla traduzione del Betussi; riportando per altro a piè di pagina le parole o i luoghi guasti, tali quali si leggono nel Codice. In oltre essendo scemo il nostro Codice del Proemio che Boccaccio premise all’opera sua, abbiamo riprodotto quello volgarizzato dal Betussi, e così a tutti verrà aperta la mente dell’autore di queste Vite.

Facciano buon viso i leggitori a questo nostro lavoro impreso per la utilità di loro, e per chiarire altrui non rimettere i Cassinesi dalla operosità negli studj, memori della gloria che fruttò al nostro paese la sapienza degli antichi Monaci di Monte Cassino.

Note

  1. Annales Typogr. tom. 2, pag. 180.
  2. Bibl. dei MSS., pag. 365.
  3. Degli Scrit. Fior., pag. 431.
  4. Murat. Ann. It.