De mulieribus claris/Memorie Storiche su la Vita di M. Donato da Casentino

Memorie Storiche su la Vita di M. Donato da Casentino

../Avviso ai Leggitori ../Proemio IncludiIntestazione 27 maggio 2024 75% Da definire

Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Memorie Storiche su la Vita di M. Donato da Casentino
Avviso ai Leggitori Proemio
[p. 15 modifica]

MEMORIE STORICHE

SU LA VITA

DI M. DONATO DA CASENTINO.

DELL’EDITORE

Forse alcuno si maraviglierá, aver io trapassato con silenzio nel brieve Avviso ai leggitori della persona di Mastro Donato da Casentino autore di questo pregevole libro, e forse in suo pensiero mi avrá dato dell’infingardo o dell’ignorante. Ma se io tacqui della vita di lui, fu desiderio di offerire in separato discorso quello che mi venisse fatto rinvenire in altri libri della Vita e delle Opere di Mastro Donato. Ed ecco di mie fatiche, se piccolo, non inutile frutto.

Correva il secolo decimoquarto: e sebbene questa povera terra d’Italia fosse tribolata di [p. 16 modifica]discordia, inondata di sangue cittadino per le svariate dominazioni che ne facevano or felice, ora sciagurato governo, pur tuttavia forse non vi fu mai tempo nel quale gl’ingegni italiani fruttassero maggior gloria nelle lettere alla patria di loro. La divina mente dell’Alighieri co’ suoi Canti aveva scossi gli animi trascorsi in miseranda ferocia e presi da lagrimevole talento di parteggiare, e li chiamava a più nobile scopo di gloria; e direi quasi, creando la italiana favella, prestò il mezzo primiero alla manifestazione di una virtù, che nei petti italiani avevano assopita e non morta le umane vicissitudini, le politiche condizioni del paese. Il cenere di Dante era caldo: e, come da scintille da quello destate, si crearono le menti di Petrarca, di Boccaccio, e di altri che fecero più illustre la terra che gli ebbe prodotti: questi furono ammirati nelle corti; e la sapienza di loro consigliava i principi a farla germogliare nelle menti dei sudditi. Si fondavano università, pubbliche scuole di eloquenza e di gramatica, ed al nobile ufficio di sedervi ed insegnarvi erano deputati uomini valentissimi. Fra la schiera dei gramatici e de’ retori del secolo XIV, [p. 17 modifica]levò fama più splendida di sè Donato da Casentino, e per le opere che lo predicano maestro di forbita favella, e per l’amicizia che l’ebbe dolcemente unito a Petrarca, a Boccaccio, e ad altri illustri letterati.

Fu maestro Donato dal Petrarca quasi sempre nominato Appenninigena[1], e dall’abate Mehus gli vien dato anche il nome di Albanzani[2]. Se la prima denominazione viene dall’avere avuto nascimento Donato appresso gli Appennini, ove si giace la provincia del Casentino, non possiamo dire col Tiraboschi, avere il Mehus senz’argomenti data la seconda a Donato, poichè quegli[3] noverando i nomi di coloro cui indirizzò sue lettere Coluccio Salutato, dà il casato di Albanzani a Donato, avendo così letto nei codici in cui erano scritte le lettere di Coluccio. Certamente Donato ebbe nascimento in Pratovecchio, luogo del Casentino, poichè Petrarca parlando di lui nel suo testamento, dice: Magistro Donato de Prato veteri: ma [p. 18 modifica] non è facile cosa rinvenire in quale anno egli nascesse. Vero è che dalle seguenti parole nella lettera che Petrarca gli volle indiritta per temperare l’acerbo dolore di che fu commosso per la morte d’un suo figliuolo nomato Solone, chiaro si addimostra, non esser nato Donato prima del 1330. Augustus pronepotuli sui, hac Aetate qua filius tuus erat extincti imaginem in cubiculo suo consecratam posuisse traditur. Moriva Solone[4] nell’anno 1368, nel quale Petrarca lo consolava con questa lettera, ed essendo vissuto diciotto anni come il nipote di Augusto, venne al mondo nel 1350, e perciò Donato, avendolo generato nell’età almeno di venti anni, potè nascere verso l’anno 1336. Dall’essere Donato uomo onorando per sapere, veniva il desiderio che aveano di sua amicizia, e lo studio col quale la coltivavano i più famosi personaggi di quel secolo. Imperocchè, povero come egli era, al dir di Boccaccio[5], non ancora entrato nella corte di Ferrara, nè per ricchezze nè per favore che avesse goduto ap[p. 19 modifica]presso i grandi, poteva eccitare in altri desiderio di sè. Se ebbe amico Petrarca, Boccaccio, Salutato Coluccio ed altri; questi lo amarono e l’onorarono, perchè chiaro per sapere, commendevole per probità. E specialmente quel Salutato Coluccio che ebbe fama splendidissima di valente scrittore, segretario di papa Urbano V e di Gregorio XI, e segretario della Signoria di Firenze sua patria, gli scritti del quale erano sì potenti, che Gio. Galeazzo, duca di Milano, guerreggiando contro Firenze, diceva a sè tornare più nocivi gli scritti di Coluccio, che le armi di quella[6]; tanta estimazione concepì di Donato, che dell’amicizia sua era bramosissimo come di quella di principe potente. L’abate Mehus[7] novera quattro lettere scritte da Coluccio a Donato, in una delle quali a questi dà contezza, aver ricevuto un suo libretto, e gliene riferisce grazie: lo stesso Mehus congettura essere questo libro il Volgarizzamento delle Donne Illustri, congettura che a me non sembra improbabile, poichè il libro veniva [p. 20 modifica] di Ferrara ove Donato scrisse quella traduzione.

Fra le città italiane, Venezia era pur decorata di cospicua università: in essa venne chiamato Donato, perchè vi sedesse maestro di gramatica. Della qual cosa ne chiarisce Petrarca, il quale nel suo testamento dice: Sciogliere Donato da Prato-vecchio, in quel tempo precettore di gramatica in Venezia, di qualunque debito, se mai gli avesse data cosa ad imprestito, perchè non fosse tenuto verso il suo erede a restituzione di sorte. Ma quale fu l’anno nel quale Donato andasse in Venezia, non si addimostra chiaramente. Certo è che nell’anno 1363, imperversando la peste in Italia, e per morìa desolate le più popolose città; Petrarca[8] invitava Boccaccio a ricoverare in Venezia; e perchè quell’invito lo allettasse, dicevagli: Sè avere stanza comune con Donato, il quale, abbandonati i colli Toscani, da più anni abitava le spiagge dell’Adriatico; e perciò il tempo della venuta di Donato in Venezia è da assegnarsi non poco prima del 1363. [p. 21 modifica]

Mentre in questa città viveasi Donato dando opera alla pubblica istruzione, ricevette non poche lettere dal Petrarca, nelle quali questi in certa guisa stemprava tutto il cuor suo; e torna grato leggerle, per conoscere di quanto amore si amassero que’ due valenti letterati. Fra le altre è bellissimo argomento di loro amicizia quella che Petrarca gli scrisse per confortarlo dopo la morte del suo figlio Solone: la quale sciagura fu poi seguita dalla perdita dell’unico figliuolo che rimaneagli Antonio. E se nella prima amarezza del cuor suo ebbe a confortatore Petrarca, nella seconda ebbe Coluccio, che lo volle consolato di una lettera ed in questa lo chiede di sua amicizia, e lo fa consapevole di suo grandissimo desiderio di usar con lui per mezzo di lettere, perchè udivalo in predicamento di uomo sapientissimo[9]. La lettera poi del Petrarca[10] a Donato, nella quale lo esorta a cessare dai doni, poichè Donato non inviavagli messo con lettere, che non avesse le mani piene di qualche donativo, se mostra [p. 22 modifica] l’animo di Petrarca tenero del proprio onore, non volendo comparire amico venale, ci addimostra il cuore di Donato formato a cortesia e ad affezione.

Vediamo ora il frutto delle lezioni di Donato nelle scuole di Venezia. La storia non ne ha lasciato ricordanza de’ suoi discepoli che del loro sapere onorarono la persona di Donato. Solo Giovanni Malpaghino da Ravenna a buon diritto forma l’elogio del precettore di lui, Donato. Fu quegli ristoratore dell’antica lingua del Lazio: Coluccio Salutato lo predica in una lettera.[11] qual uomo maraviglioso per copia di sapere, per maestà e forza di stile, e lui ammira quale scrittore scevro di que’ vizi dei quali gli altri andavano bruttati. Giovanni nella prima età mosse di Ravenna in Venezia, e fu discepolo di Donato Appenninigena: e sebbene quegli avesse avuto a maestro anche il Petrarca, pure a Donato si spetta la gloria di averlo prima quasi a mano condotto nel santuario delle Lettere[12]. Infatti il Petrarca, che pure do[p. 23 modifica]veva andar superbo di aver avuto a discepolo Giovanni da Ravenna, non negò a Donato da Casentino il merito di essere stato il primo a coltivare l’ingegno di quel chiaro retore, ad informarne i costumi, a favorirne le inclinazioni agli studj. Anzi Donato, poichè istruì nelle lettere Giovanni, provvide al perfezionamento dell’ingegno, ed alla gloria di lui, chiamandolo a parte dell’amicizia che godeva di Petrarca; sì che poi quegli, usando familiarmente col Cantore di Laura, e prestandogli mano ne’ travagli di Lettere[13], tolse grandissima utilità, e venne in fama di retore eloquentissimo. Ed in vero scrivendo Petrarca a Giovanni Malpaghino, che tuttora avea stanza in Venezia, quasi non sa esprimere sua gratitudine per Donato, perchè gli avea fatto dono dell’amicizia di lui. La fama, di Donato spiegava ampio volo per l’Italia sì che fu chiamato in Ferrara alla istruzione di Niccolò d’Este, che fu poi Signore di quella città. Sul tempo della sua andata in Ferrara, non assistito dalla Storia, non posso se non formare congettura, che forse darà nel vero. [p. 24 modifica]

Napoli, Bologna, Padova ed altre città italiane, nel secolo XIV avevano le loro università; e Ferrara sebbene aprisse in sua corte orrevole stanza ai letterati, pur tuttavia si rimaneva priva dell’utile che quelle arrecar sogliono all’incivilimento de’ popoli. Il secolo era in sul finire, quando nel 1361 ad Alberto Marchese di Ferrara cadde in animo il nobile divisamento di fondare una università, ottenutane licenza da papa Bonifazio IX[14]: e chiamò in Ferrara Bartolomeo di Saliceto, Giliolo da Cremona, ed altri valentissimi personaggi. Se nella Cronaca Estense pubblicata dal Muratori non vi è nominato Donato, forse questi sarà uno di quelli celati nelle parole aliosque in reliquis facultatibus valentissimos. Ed al certo se fu aggregato al collegio de’ Professori, potè il Marchese Alberto chiarirsi di propria esperienza non solamente del sapere, ma anche della probità di quegli che destinò alla istruzione del suo figlio Niccolò. Nè possiamo fissare un tempo anteriore al 1361, nel quale siasi recato in Ferrara Donato per istruir Niccolò, poichè [p. 25 modifica]questi in quell’anno era appena nel settimo anno di sua vita; ed in una più tenera età sarebbe stata inutile cosa affidarlo alle cure di sì scienziato precettore.

Nel 1393 moriva il Marchese Alberto, è lasciava la signoria a Niccolò suo figliuolo che era di nove anni. Dopo che questi tenne le redini del governo di Ferrara per quattro anni, Francesco II di Carrara, signore di Padova, cavalcò per Ferrara con quattrocento uomini d’arme e cento soldati, tolse di carica tutti quelli che formavano il consiglio di Ferrara, ed il Marchese Niccolò III, scegliendo altri a quegl’impieghi, elesse cancelliere il suo maestro Donato[15]. Coluccio Salutato, che gli fu confortatore dopo la morte del suo figlio Antonio, non lasciò congratularsi secolui in una lettera citata dal Mehus[16], pel suo innalzamento a quel grado: ed in quella esprime chiaramente, essere venuto Donato dalla scuola di gramatica alla istruzione di Niccolò III, ed in età provetta innalzato alla carica di cancelliere. [p. 26 modifica]

Mentre Donato dimorava nella corte di Ferrara, scrisse pel Marchese Niccolò suo discepolo il Volgarizzamento dell’opera latina di Boccaccio De Claris Mulieribus. Ecco quel che leggesi intorno a ciò alla fine del Codice di Donato esistente in Torino: Finito libro de famose donne compilado per messer Zuane Boccaccio ad petition della famosissima Reina Zuana de Puglia. Poi traslatado in idioma volgar per maestro Donato di Casentino al magnifico Marchese Niccolò d’Este principe e signor di Ferrara. È probabile, avere scritto Donato questo Volgarizzamento nel 1397, quando Niccolò menò sposa la figliuola di Francesco II di Carrara, signor di Padova, forse per far cosa grata alla novella Marchesana, risguardante il libro delle Donne che erano venute in celebrità. Ma questa è congettura, e non fondasi sopra argomenti validi.

Il Tiraboschi[17] produce la opinione del P. degli Agostini, il quale si avvisa Donato avere anche traslatato in volgare le Vite degli Uomini illustri di Petrarca, fatte scrivere per [p. 27 modifica]comandamento di Francesco detto il Vecchio, signor di Padova, e continuate per Lombardo di Serico: ed il suo avviso si poggia sull’autorità di un codice a penna conservato presso i PP. Riformati di Trevigi. Ma alla opinione del P. degli Agostini io non voglio tener dietro, imperocchè di questa traduzione Petrarca non fa motto nelle sue Lettere a Donato: e pure questo era un lavoro che doveva calere al Petrarca, perchè fatto dal suo amico dolcissimo, e perchè risguardava l’opera sua.

Jacopo Delayto, il Cronista Estense, parla dell’innalzamento di Donato all’ufficio di cancelliere, ma non della morte di lui: non facendone altri parola, n’è incerto il tempo.

Tanto ho potuto raccorre sulla Vita di questo illustre Grammatico, e perciò fo fine al mio discorso, dicendo: Donato aver avuto nascimento in Prato Vecchio nel Casentino circa l’anno 1330; essere stato professore di gramatica in Venezia, maestro del Marchese di Ferrara Nicolò III, cancelliere di quella Signoria; essere stato padre di due figli Solone ed Antonio, ed esser morto in età avanzata.

Note

  1. Petr. Rer. Sen., Ep. ad Donat. Appen.
  2. Mehus, Vit. Ambr. Camal., tom. I, pag. 261.
  3. Ibid., pag. 306.
  4. Sen., Lib. X, Ep. IV.
  5. Geneal. Deor., lib. XV, Cap. XIII.
  6. Cresc., Volg. Poes. Vol. II, P, II, n. LXV.
  7. Vit. Ambr. Camal., tom. I, pag. 252.
  8. Senil., Lib. III, Ep. 1.
  9. Senil., Lib. XIV, Ep. IX.
  10. Petrar., Sen. Epist. V, Lib. 5.
  11. Coluc., Epist., Vol. II, p. 137.
  12. Mehus., Vit. Amb. Cam., tom. I, pag. 348.
  13. Mehus., Vit. Amb, Cam., tom. 1, pag. 348.
  14. Murat., Script. Rer. Ital., vol XV, pag. 524.
  15. Murat., Script. Rer. Ital., vol. XVIII, p. 933.
  16. Vit. Amb. Camal., tom. I, p. 262.
  17. Stor. Letter. Ital., tom, IV, lib. III, p.510,