Capitolo XX

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Jules Verne - Dalla Terra alla Luna (1865)
Traduzione dal francese di C. o G. Pizzigoni (1872)
Capitolo XX
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BOTTA E RISPOSTA.

Pareva che questo incidente dovesse por termine alla discussione. Era la chiusa, e non sarebbesi potuto trovare di meglio. Pure, quando l’agitazione si fu calmata, si udirono le seguenti parole, pronunciate con voce forte e severa:

« Adesso che l’oratore ha accordato larga parte alla sua fantasia, vorrebbe ritornare nell’argomento, dar meno teorie e discutere il lato pratico della sua spedizione? »

Tutti gli sguardi si rivolsero verso il personaggio che così interpellava. Era un uomo magro, secco, con un viso di molta espressione, colla barba tagliata all’americana, che di sotto il mento appariva ricchissima. Guizzando tra i varî gruppi formatisi nell’adunanza, a poco a poco egli era riuscito a portarsi nella prima fila. Quivi, colle braccia incrociate, l’occhio scintillante ed ardito, guardava fisso ed imperturbabile l’eroe del [p. 173 modifica]meeting. Dopo di aver espressa la sua domanda, tacque, fece le finte di non sentirsi scosso dalle migliaia di sguardi diretti su lui, nè dal mormorìo disapprovatore eccitato dalle sue parole. Siccome la risposta facevasi aspettare, egli ripetè nuovamente la domanda, collo stesso accento chiaro e preciso, poi aggiunse:

« Noi siamo qui per occuparci della Luna e non della Terra.

— Avete ragione, signore, rispose Michele Ardan; la discussione è fuori di carreggiata. Ritorniamo alla Luna.

— Signore, riprese lo sconosciuto, voi pretendete che il nostro satellite sia abitato. Va bene. Ma se esistono de’ seleniti, costoro, senza verun dubbio, vivono senza respirare, chè — ve ne avverto pel vostro meglio — non v’è la menoma molecola d’aria sulla superficie della Luna. »

A quest’affermazione, Ardan scosse la sua fulva capellatura; comprese che stava per impegnarsi una lotta con quest’uomo sul punto vitale della questione. A sua volta, lo guardò fisso in volto e disse:

— Ah! non c’è aria nella Luna! E chi lo pretende, di grazia?

— I dotti.

— Davvero?

— Davvero.

— Signore, riprese Michele: lasciando da banda gli scherzi, io ho una profonda stima pei dotti che sanno, ma un profondo disprezzo pei dotti che non sanno. [p. 174 modifica]— Ne conoscete di quelli che appartengono all’ultima categoria?

— Appunto. In Francia, ve n’ha uno il quale sostiene che matematicamente l’uccello non può volare, ed un altro le cui teorie dimostrano che il pesce non è fatto per vivere nell’acqua.

— Non si tratta di quelli, signore, ed io potrei citare in appoggio della mia proposta de’ nomi che voi non isconfessereste.

— Allora mettereste in grande impaccio un povero ignorante, che, del resto, non chiede di meglio che d’istruirsi.

— Perchè dunque entrate in quistioni scientifiche, se non le avete studiate? domandò lo sconosciuto con aria un po’ brutale.

— Perchè? replicò Ardan. Per la ragione che è sempre coraggioso chi non sospetta il pericolo! Io non so nulla, è vero, ma è precisamente la debolezza che costituisce la mia forza.

— La vostra debolezza va fino alla follia, esclamò lo sconosciuto con aria imbronciata.

— Eh! meglio anzi, ribattè il francese, se la mia pazzia mi conduce fino alla Luna! »

Barbicane ed i suoi colleghi mangiavansi cogli occhi quell’intruso che sì arditamente veniva a gettarsi attraverso l’impresa. Nessuno lo conosceva, ed il presidente, poco rinfrancato nelle conseguenze di una discussione posta innanzi con tanta franchezza, guardava il nuovo amico con certa trepidanza.

L’assemblea era attenta e seriamente inquieta, giacchè quella lotta aveva per risultato di richiamare [p. 175 modifica]la sua attenzione sui pericoli od anche sulla vera impossibilità della spedizione.

« Signore, riprese l’avversario di Michele Ardan, sono numerose e indiscutibili le ragioni che provano la mancanza di qualsiasi atmosfera intorno alla Luna. Dirò anzi, a priori, che se quest’atmosfera fosse mai esistita, ha dovuto essere sottratta dalla Terra. Ma io preferisco opporvi dei fatti innegabili.

— Opponete, signore, rispose Michele Ardan con perfetta galanteria; opponete tutto quello che vi piacerà!

— Voi sapete, disse lo sconosciuto, che allorquando i raggi luminosi attraversano un mezzo qual è l’aria, sono deviati dalla linea retta, o in altri termini, subiscono una rifrazione. Ebbene! quando le stelle sono occultate dalla Luna, i loro raggi, radendo i controni del disco, non hanno mai provato la menoma deviazione, nè hanno dato il più leggero indizio di rifrazione. D’onde l’evidente conseguenza che la Luna non è avviluppata da un’atmosfera. »

Tutti guardarono il Francese, chè, una volta ammessa l’operazione, le conseguenze diventavano rigorose.

« Infatti, rispose Michele Ardan, ecco il vostro miglior argomento per non dire il solo, ed un dotto sarebbe forse imbarazzato a rispondervi; io invece vi dirò soltanto che questo argomento non ha valore assoluto, perchè suppone il diametro angolare della Luna perfettamente determinato, ciò che non è. Ma transigiamo, e ditemi, caro signore, [p. 176 modifica]se ammettete l’esistenza dei vulcani alla superficie della Luna.

— Vulcani spenti sì, attivi no.

— Lasciatemi credere però, e senza varcare i limiti della logica, che questi vulcani sono stati in attività durante un certo periodo!

— Quest’è certo; ma siccome potevano essi stessi fornire l’ossigeno necessario alla combustione, il fatto della loro eruzione non prova in nessuna guida la presenza di un’atmosfera lunare.

— Andiamo innanzi, riprese Michele Ardan, e lasciamo in disparte questo genere d’argomenti, per arrivare alle osservazioni dirette. Ma vi avverto che citerò dei nomi.

— Citate.

— Cito. Nel 1715, gli astronomi Louville e Halley, osservando l’eclisse del 3 maggio, videro certe fulminazioni d’una natura bizzarra. Questi lampi di luce, rapidi e spesso rinnovati, furono da essi attribuiti ad uragani che si scatenavano nell’atmosfera della Luna.

— Nel 1715, ribattè lo sconosciuto, gli astronomi Louville e Halley hanno preso per fenomeni lunari fenomeni puramente terrestri, come bolidi od altri, che si producevano nella nostra atmosfera. Ecco quanto hanno risposto i dotti all’esposizione di questo fatto, e quanto io rispondo con loro.

— Andiamo pure innanzi, soggiunse Ardan senza mostrarsi turbato. Herschel, nel 1787, non ha osservato un gran numero di punti luminosi sulla superficie della Luna?

— Certamente, ma senza dare spiegazione sull’origine [p. 177 modifica]di questi punti luminosi; lo stesso Herschel, dalla loro apparizione, non ha dedotta la necessità di un’atmosfera lunare.

— Bene risposto, disse Michele Ardan inchinandosi al suo avversario; vedo che siete molto dotto in selenografia.

— Dottissimo, signore; e aggiungerei che i più abili osservatori, coloro che meglio degli altri hanno studiato l’astro delle notti, i signori Beer e Moedler sono d’accordo circa l’assoluta mancanza d’aria sulla sua superficie. »

Si osservò un moto tra gli astanti, i quali parve dessero molto peso agli argomenti del bizzarro personaggio.

— Tiriamo via, proseguì Michele Ardan colla maggior calma, ed arriviamo ora ad un fatto importante. Un abile astronomo francese, il signor Laussedat, osservando l’eclisse del 18 luglio 1860, constatò che le corna della parte visibile di sole erano arrotondate e tronche; ora, questo fenomeno non ha potuto essere prodotto che da una deviazione dei raggi del sole attraverso l’atmosfera della Luna, e non v’ha altra spiegazione possibile.

— Ma il fatto è certo? domandò vivamente lo sconosciuto.

— Assolutamente certo! »

Un contrario movimento ricondusse gli astanti al loro eroe favorito; l’avversario se ne stette muto, Ardan ripigliò la parola, e senza invanire per la sua ultima vittoria, disse semplicemente:

« Vedete dunque, mio caro signore, che non [p. 178 modifica]bisogna pronunciarsi in modo assoluto contro l’esistenza di un’atmosfera sulla superficie della Luna; quest’atmosfera è assai poco densa, sottile, ma oggi la scienza ammette generalmente che esista.

— Non già sulle montagne, ribattè lo sconosciuto, che non voleva perdere una linea di terreno.

— No, ma in fondo alle valli, nè superando in altezza alcune centinaia di piedi.

— Ad ogni buon fine, fareste bene di pigliare le necessarie precauzioni, giacchè quell’aria sarà oltre ogni dire rarefatta.

— Oh! mio caro signore, ce ne sarà sempre abbastanza per un uomo solo; del resto, una volta lassù, procurerò di economizzarla più che potrò e di non respirare che nelle occasioni principali! »

Un omerico scoppio di risa rintronò nelle orecchie del misterioso interlocutore, che girò gli sguardi sull’adunanza sfidandola superbamente.

« Dunque, ripigliò Michele Ardan con fare spigliato, poichè siamo d’accordo sulla presenza di una atmosfera, eccoci costretti ad ammettere anche la presenza di una certa quantità d’acqua. È una deduzione che per conto mio mi rallegra assai. Però, gentilissimo mio oppositore, permettetemi di sottomettervi ancora un’osservazione. Noi non conosciamo che parte del disco della Luna, e se v’ha poca aria sulla faccia che ci guarda, è possibile che ve ne sia molta nella faccia opposta.

— E per qual ragione? [p. 179 modifica]— Perchè la Luna, sotto la forza dell’attrazione terrestre, ha preso la forma di un uomo che noi vediamo dalla parte più allungata. Di qui la conseguenza dovuta ai calcoli di Hansen, che il suo centro di gravità è situato nell’altro emisfero; di qui la conclusione che tutte le masse d’aria e di acqua hanno dovuto essere trascinate sull’altra faccia del nostro satellite nei primi giorni della creazione.

— Puri voli di fantasia! esclamò lo sconosciuto.

— No! pure teorie che sono appoggiate sulle leggi della meccanica, e parmi difficile di confutarle. Ne faccio appello a quest’adunanza, e cioè pongo ai voti la questione di sapere se la vita, tal qual è sulla terra, è possibile sulla superficie della Luna! »

Trecentomila uditori, all’unisono, fecero plauso alla proposta. L’avversario di Michele voleva ancora parlare, ma non poteva più farsi udire. Le grida, le minaccie piovevano su lui come grandine.

« Basta! basta! dicevano gli uni.

— Scacciate quell’intruso! ripetevano gli altri.

— Alla porta! alla porta! esclamava la folla irritata. »

Ma colui, fermo, avvinghiato alla tribuna, non movevasi e lasciava passare il temporale, che avrebbe preso proporzioni formidabili, se Michele Ardan non l’avesse fatto tacere con un gesto. Era troppo cavalleresco per abbandonare il suo oppositore in simile frangente.

« Desiderate di aggiungere alcune parole? gli domandò coll’accento più grazioso. [p. 180 modifica]— Sì! cento, mille, rispose lo sconosciuto con violenza. O meglio, no, una sola! Per perseverare nella vostra impresa, bisogna che siate...

— Imprudente? Come mai potete trattarmi così, mentre io ho chiesto una palla cilindro-conica all’amico Barbicane, per non girare per via a mo’ di uno scoiattolo?

— Disgraziato, la spaventosa scossa vi farà in pezzi alla partenza!

— Mio caro oppositore, voi avete posto il dito sulla vera e sola difficoltà. Tuttavia, ho troppo buona opinione dell’ingegno industrioso degli Americani per credere che non giungeranno a risolverla.

— Ma il calore sviluppato dalla velocità del proiettile, attraversando gli strati d’aria?...

— Oh! le sue pareti sono grosse, e farò tanto presto a passar oltre l’atmosfera!

— Ma i viveri? l’acqua?

— Ho calcolato che posso portarne via per un anno, e la mia traversata durerà quattro giorni!

— Ma l’aria da respirare per istrada?

— Ne farò con de’ processi chimici.

— Ma la vostra caduta sulla Luna, se mai vi giungeste...

— Sarà sei volte meno rapida che una caduta sulla Terra, perocchè il peso è sei volte minore alla superficie della Luna.

— Ma sarà ancora sufficiente per farvi in pezzi!

— E chi m’impedirà di ritardare la caduta col mezzo di razzi convenientemente disposti e infiammati in tempo utile? [p. 181 modifica]— Infine, supponendo che tutte le difficoltà siano risolte, appianati tutti gli ostacoli, riunendo tutte le probabilità in vostro favore, ammettendo che giungiate sano e salvo nella Luna, in qual modo ne ritornereste?

— Non ritornerò! »

A questa risposta, sublime quasi per la sua semplicità, l’adunanza se ne stette muta. Ma il silenzio fu più eloquente delle grida di entusiasmo.

Lo sconosciuto ne profittò per protestare un’ultima volta.

« Vi ucciderete infallibilmente, egli esclamò, e la vostra morte, che non sarà stata che la morte di un insensato, non avrà neppur servito alla scienza!

— Continuate, mio generoso sconosciuto, che in vero i vostri pronostici mi sono graditissimi!

— Ah! questo è troppo! esclamò l’avversario dì Michele Ardan, e non so perchè continui una discussione così poco seria! Proseguite a vostro bell’agio queste pazze imprese! Non è con voi che bisogna prendersela!

— Oh! non vi pigliate soggezione.

— No! è un altro che avrà la responsabilità dei vostri atti!

— E chi dunque, di grazia? domandò Michele Ardan con voce imperiosa.

— L’ignorante che ha discusso questo tentativo, altrettanto ridicolo che impossibile! »

L’attacco era diretto. Barbicane, dal primo istante dell’intervento dello sconosciuto, faceva violenti sforzi per contenersi e divorare la propria stizza [p. 182 modifica]come certi focolai di caldaie divorano il proprio fumo; ma vedendosi designato sì oltraggiosamente, si alzò di botto, e stava per movere verso l’avversario che lo affrontava alla scoperta, quando d’improvviso si vide separato da lui.

La tribuna fu portata via da cento vigorose braccia, ed il presidente del Gun-Club dovette dividere con Michele Ardan gli onori del trionfo. Il carico era pesante, ma i portatori si sostituivano di continuo, ed ognuno contendeva, lottava, combatteva per offrire l’appoggio delle proprie spalle a tale manifestazione.

Tuttavolta lo sconosciuto non aveva approfittato del tumulto per lasciare il suo posto. E poi, lo avrebbe potuto, pigiato in mezzo a quella folla compatta? No, senza dubbio. Ei se ne stava nelle prime file, colle braccia conserte e divorando cogli occhi il presidente Barbicane.

Questi non lo perdeva di vista, e gli sguardi dei due avversarî rimanevansi incrociati come due spade frementi.

Le grida dell’immensa moltitudine si mantennero al maximum d’intensità durante la marcia trionfale. Michele Ardan lasciava fare, e vi pigliava gusto. Il suo viso era radiante. Talvolta la tribuna pareva presa da ondeggiamenti e da rullìo, come una nave in balìa delle onde. I due eroi del meeting avevano il piede marino; non si movevano, e la loro nave giunse senza avarìe al porto di Tampa-Town.

Michele Ardan pervenne felicemente a sottrarsi alle ultime strette di quei vigorosi ammiratori; [p. 183 modifica]riparò all’albergo Franklin, salì in tutta fretta alla propria camera e guizzò rapidamente sotto le coltri, mentre un esercito di centomila uomini vegliava sotto le sue finestre.

Intanto una scena breve, grave, decisiva, aveva luogo fra il personaggio misterioso ed il presidente del Gun-Club.

Barbicane, libero alla fine, era andato dritto incontro al suo avversario.

« Venite! » dissegli con voce spiccata.

Questi lo seguì, e tosto ambidue trovaronsi soli all’entrata di un wharf aperto sul Jone’s-Fall.

Quivi giunti, i due nemici, ancora sconosciuti l’uno all’altro, si guardarono.

« Chi siete voi? domandò Barbicane.

— Il capitano Nicholl.

— Lo sospettava. Fino ad ora il caso non vi aveva mai posto attraverso il mio cammino.

— Sono venuto a mettermici!

— Voi mi avete insultato!

— Pubblicamente.

— E mi renderete ragione di questo insulto.

— Sul momento.

— No. Desidero che tutto avvenga segretamente fra di noi. C’è un bosco situato a tre miglia da Tampa, il bosco di Shersnaw. Lo conoscete?

— Lo conosco.

— Vi degnerete di entrarvi domattina, alle cinque, da una parte?

— Sì, se alla stess’ora voi entrerete dall’altra.

— E non dimenticherete la vostra carabina? disse Barbicane. [p. 184 modifica]— Come voi non dimenticherete la vostra, risposte Nicholl. »

Dopo queste parole freddamente pronunciate, il presidente del Gun-Club ed il capitano si separarono. Barbicane ritornò alla sua casa, ma invece di prendere alcune ore di riposo, passò la notte a cercare i mezzi di evitare il contraccolpo del proiettile, e risolvere il difficile problema enunciato da Michele Ardan nella discussione del meeting.

Note