Critica della ragion pura (1949)/Dottrina trascendentale degli elementi/Logica trascendentale/Analitica trascendentale/Libro I/Capitolo I/Sezione III

Analitica trascendentale - Libro I - Capitolo I - Sezione III

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SEZIONE TERZA

Dei concetti puri dell’intelletto o categorie.


§ 10.

Come è gia stato detto parecchie volte, la logica generale astrae da tutto il contenuto della conoscenza, e aspetta quindi che le rappresentazioni le siano date dondechessia, per trasformarle in concetti; il che ha luogo analiticamente. La logica trascendentale, al contrario, trova dinanzi a sè il molteplice della sensibilità a priori, che l’estetica trascendentale le presenta per dare una materia ai concetti puri dell’intelletto; senza la quale essa sarebbe priva di qualsiasi contenuto, e perciò assolutamente vuota. Ora, lo spazio e il tempo contengono il molteplice dell’intuizione pura a priori, ma fanno tuttavia parte di quelle condizioni della recettività del nostro spirito, nelle quali soltanto questo può accogliere le rappresentazioni degli oggetti, e che non possono quindi non entrare ogni volta anche nel concetto di cotesti oggetti. Solo però che la spontaneità del nostro pensiero esige, che questo molteplice sia dapprima in certo modo penetrato, raccolto e unificato, per cavarne quindi una conoscenza. Questo atto io lo chiamo sintesi.

Ma intendo per sintesi, nel senso più generale di questa parola, l’atto di unire diverse rappresentazioni, e comprendere la loro molteplicità in una conoscenza. Tale sintesi è pura, se il molteplice è stato dato non empiricamente, ma a priori (come quello nello spazio e nel tempo). Prima di ogni analisi delle nostre rappresentazioni, queste già devono esserci date, e nessun concetto per il suo contenuto può nascere analiticamente. Ma la sintesi di una molteplice (data empiricamente o a priori) produce una conoscenza, che può certo, a principio, essere ancora grossolana e confusa e, per conseguenza, aver bisogno dell’analisi; la sintesi è tuttavia ciò che propriamente raccoglie [p. 117 modifica]gli elementi per la conoscenza, e li unifica per formarne un certo contenuto; essa è dunque il primo fatto, sul quale dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, volendo giudicare dell’origine prima della nostra conoscenza.

La sintesi in generale è, come vedremo in sèguito, il semplice effetto dell’immaginazione, cioè di una funzione dell’anima, cieca, e nondimeno indispensabile, senza la quale noi non avremmo mai veruna conoscenza, ma della quale solo di rado noi siamo consapevoli. Si badi per altro che ricondurre questa sintesi a concetti è funzione che appartiene all’intelletto, e per cui esso ci dà subito la conoscenza, nel senso proprio di questa parola.

La sintesi pura, intesa in generale, ci dà ora il concetto puro dell’intelletto. Ma io intendo per sintesi pura quella che si fonda su un principio dell’unità sintetica a priori: così il nostro numerare (e si vede soprattutto nelle cifre più grandi) è una sintesi secondo concetti, poichè essa ha luogo secondo un comune principio della unità (per esempio, quello della decina). Sotto questo concetto, dunque, nella sintesi del molteplice diventa necessaria l’unità.

Diverse rappresentazioni sono ricondotte analiticamente sotto un concetto (compito di cui si occupa la logica generale). Ma la logica trascendentale insegna a ricondurre a concetti, non le rappresentazioni ma la sintesi pura delle rappresentazioni. La prima cosa che ci dev’esser data, affinchè la conoscenza a priori di tutti gli oggetti sia possibile, è il molteplice delle intuizioni pure; la sintesi di questo molteplice per mezzo della immaginazione vien dopo, ma non ci dà ancora nessuna conoscenza. I concetti, che conferiscono unità alla sintesi pura, e che consistono unicamente nella rappresentazione di questa unità sintetica necessaria, fanno il terzo passo verso la conoscenza di un dato oggetto, e sono fondati sull’intelletto.

Questa funzione, che dà unità alle diverse rappresentazioni in un giudizio, dà dunque unità anche alla semplice sintesi delle diverse rappresentazioni in una [p. 118 modifica]intuizione; unità, che, generalmente parlando, si chiama il concetto puro dell’intelletto. Così lo stesso intelletto, appunto con le stesse operazioni, per cui nei concetti, mediante l’unità analitica, produce la forma logica di un giudizio, produce altresì, mediante l’unità sintetica del molteplice nell’intuizione in generale, un contenuto trascendentale nelle sue rappresentazioni; in grazia del quale esse prendono nome di concetti puri dell’intelletto, che si applicano a priori agli oggetti; ciò che la logica in generale non può fare.

In tal modo sorgono precisamente tanti concetti puri dell’intelletto, che si applicano a priori agli oggetti della intuizione in generale, quante funzioni logiche si avevano in tutti i giudizi possibili nella tavola precedente; perchè le dette funzioni esauriscono completamente l’intelletto, e ne misurano perciò tutto il potere. Chiamiamo questi concetti categorie, sull’esempio di Aristotele, giacchè il nostro intento è, nella prima origine, in tutto identico al suo, sebbene molto se ne allontani nell’esecuzione.

Tavola delle categorie.

1.
Della quantità:
Unità
Pluralità
Totalità.
2.
Della qualità:
Realtà
Negazione
Limitazione.
3.
Della relazione:

dell’Inerenza e sussistenza (substantia et accidens)

della Causalità e dipendenza (causa ed effetto)

della Reciprocità1 (azione reciproca fra agente e paziente).

[p. 119 modifica]4.
Della modalità:
Possibilità — impossibilità
Esistenza — inesistenza
Necessità — contingenza.


Ecco dunque l’enumerazione di tutti i concetti puri originari della sintesi, che l’intelletto contiene in sè a priori, e soltanto in virtù dei quali è anche intelletto puro; solo per mezzo di essi potendo comprendere qualche cosa nel molteplice della intuizione, cioè pensare un oggetto di essa. Questa divisione ricavata sistematicamente da un principio comune, cioè dalla facoltà di giudicare (che equivale a facoltà di pensare); non deriva, rapsodisticamente2, da una ricerca dei concetti puri fatta affidandosi della buona ventura, della cui compiutezza non si può mai essere certi, poichè non procede se non per induzione, senza che si pensi mai a domandarsi in questo modo, perchè sono precisamente questi e non altri i concetti inerenti all’intelletto puro. Ricercare questi concetti fondamentali era un’impresa degna di quella mente acuta di Aristotele. Ma, non avendo nessun principio, Aristotele li raccolse affrettatamente, come gli si presentavano, e ne mise insieme dieci, che chiamò categorie (predicamenti). Dopo, credette averne trovate altre cinque, che aggiunse alle precedenti, col nome di post-predicamenti. Ma la sua tavola rimase sempre incompleta. Oltre di che, vi si trovano anche modi della sensibilità pura (quando, ubi, situs, e così prius, simul) e anche un modo empirico (motus), il quale non appartiene punto a questo albero genealogico dell’intelletto; e vi s’incontrano pure concetti derivati, frammisti ai con[p. 120 modifica]cetti originari (actio, passio), e parecchi di questi ultimi mancano affatto.

Quanto a questi ultimi concetti, resta infatti ancor da notare che le categorie, essenso i veri concetti primitivi dell’intelletto puro, hanno per ciò stesso i loro concetti derivati, ugualmente puri, che non si possono in niun modo trasandare in un completo sistema di filosofia trascendentale; ma io, in un semplice saggio critico, posso accontentarmi di una semplice menzione.

Mi sia concesso di chiamare questi concetti puri, ma derivati, dell’intelletto, predicabili (in contrapposto ai predicamenti) dell’intelletto puro. Quando si hanno i concetti originari e primitivi, è facile poi aggiungere ad essi i concetti derivati e subalterni, e disegnare così in modo definitivo l’albero genealogico dell’intelletto puro. Non dovendomi occupare qui della esecuzione completa del sistema, ma solamente dei principii per fare un sistema, riservo questo completamento ad altro lavoro. Ma si può ottenere sufficientemente questo scopo, prendendo i manuali di ontologia, e aggiungendo, per es., alla categoria della causalità i predicabili della forza, dell’azione, della passione; alla categoria della reciprocità, i predicabili della presenza, della resistenza; ai predicabili della modalità, i predicabili del sorgere, del perire, del cangiamento, ecc. Le categorie, combinate coi modi della sensibilità pura, o fra di loro, forniscono un gran numero di concetti a priori derivati; segnalarli ed esporli il più compiutamente che sia possibile, non sarà certo senza utilità e interesse; ma qui sarebbe fatica superflua.

Mi dispenso, a ragion veduta, di dare in questo trattato le definizioni di queste categorie, per quanto ne possa essere già in possesso. Analizzerò questi concetti, in seguito, quando ciò sarà necessario alla dottrina del metodo, alla quale attendo. In un sistema della ragion pura si potrebbe, a buon diritto, chiedermele; ma qui non servirebbero se non a distrarre l’attenzione dal punto principale della ricerca, sollevando dubbi e obbiezioni, che si possono, senza [p. 121 modifica]detrarre nulla al nostro scopo essenziale, rimandare benissimo ad altro lavoro. Dal poco, intanto, che fin qui ne ho accennato, risulta chiaramente che non solo è possibile, ma altresì facile fornire un dizionario completo di questi concetti, con tutti i chiarimenti desiderabili. Una volta che esistono le caselle, non resta che da riempirle, e una topica sistematica, com’è la presente, difficilmente può sbagliare il posto, al quale ciascun concetto appartiene, mentre può facilmente additare quelli che sono tuttavia vacanti.


§ 11.3

Intorno a questa tavola delle categorie si possono fare diverse considerazioni, che forse potrebbero aver importanti conseguenze, rispetto alla forma scientifica di tutte le conoscenze razionali. Che infatti questo quadro nella parte teoretica della filosofia sia straordinariamente utile, anzi indispensabile, ad abbozzare completamente il disegno della totalità di una scienza, in quanto essa si appoggia su principii a priori, e a ricavarne matematicamente le parti secondo determinati principii, risulta chiaro da questo, che la detta tavola comprende tutti quanti i concetti elementari dell’intelletto, anzi la forma d’un sistema di essi nell’intelletto umano; e per conseguenza una guida a tutti i momenti di una data scienza speculativa, nonchè al suo ordinamento, come io ne ho dato anche una prova altrove4. Ecco ora alcune osservazioni.

La prima è: che questa tavola, contenente quattro classi di concetti dell’intelletto, si può subito suddividere in due parti, delle quali la prima è indirizzata agli oggetti della intuizione (così pura, come semplice), la seconda invece alla esistenza di questi oggetti (o in rapporto reciproco tra loro, o in rapporto con l’intelletto).

[p. 122 modifica]La prima classe io la chiamerei delle categorie matematiche, la seconda delle dinamiche. La prima classe non ha, come si vede, alcun correlato, che s’incontra soltanto nella seconda classe. Questa differenza deve tuttavia trovar la sua ragione nella natura dell’intelletto.

Seconda osservazione: che è sempre uguale in ogni classe il numero delle categorie, cioè tre; la qual cosa invita proprio a riflettere, giacchè altrimenti ogni divisione a priori per concetti deve essere una dicotomia. Si noti, inoltre, che la terza categoria deriva sempre dall’unione della seconda con la prima della sua classe.

Così la totalità non è altro che la molteplicità, considerata come unità; la limitazione, la realtà unita colla negazione; la reciprocità è la causalità di una sostanza in vicendevole determinazione con un’altra; e, finalmente, la necessità, l’esistenza che è data dalla possibilità stessa. Non si pensi però che la terza categoria si riduca in tal modo a un semplice concetto derivato, e non sia un concetto primitivo dell’intelletto puro. Perchè l’unione del primo col secondo concetto per poter produrre il terzo richiede uno speciale atto dell’intelletto, che non fa tutt’uno con quello che si è esercitato nel primo e nel secondo. Così il concetto di numero (che appartiene alla categoria della totalità), non è sempre possibile dovunque sieno gli altri due di molteplicità e di unità (per es. nella rappresentazione dell’infinito); nè pel fatto che io collego i due concetti di causa e di sostanza, è possibile intendere l’influsso, cioè come una sostanza possa essere causa di qualche cosa in un’altra sostanza. Donde, si rileva, che a ciò si richiede un atto speciale dell’intelletto; e così negli altri casi.

Terza osservazione. Di una sola categoria, quella della reciprocità, che si trova sotto il terzo titolo, la coincidenza con la forma del giudizio disgiuntivo, che le corrisponde nel quadro delle funzioni logiche, non salta così agli occhi come per le altre.

Per assicurarsi di tale coincidenza, devesi notare che in [p. 123 modifica]tutti i giudizi disgiuntivi la loro sfera (l’insieme di tutto ciò che è in essi contenuto) vien rappresentata come un tutto diviso in parti (i concetti subordinati); e poichè non si può ridurre nessuna di queste parti sotto l’altra, esse vengono pensate come vicendevolmente coordinate, non subordinate; per modo che si determina l’una con l’altra non in un senso solo, come in una serie, ma vicendevolmente, come in un aggregato (posto un membro della divisione, tutti gli altri sono perciò esclusi, e viceversa).

Ora quando un simile concatenamento vien pensato in una totalità di cose, allora una di esse, non è subordinata, come effetto, all’altra, quale causa della sua esistenza, ma insieme anche e reciprocamente coordinata come causa rispetto alla determinazione della altre (come in un corpo, le cui membra si collegano scambievolmente l’uno con l’altro, e l’uno con l’altro si contrastano); ed è questa una specie di unione affatto diversa da quella che si trova nel semplice rapporto di causa e di effetto (di principio e di conseguenza), dove la conseguenza non determina alla sua volta il principio, e perciò (come nel caso del creatore e del mondo) non forma con essa un tutto. Lo stesso procedimento che l’intelletto osserva quando si rappresenta la sfera d’un concetto diviso, lo osserva pure quando pensa una cosa come divisibile; e come i membri della divisione nel primo si escludono l’un l’altro, e tuttavia sono collegati in una sfera, così l’intelletto pone le parti della seconda come tali, la cui esistenza (come sostanza) deriva a ciascuna esclusivamente dalle altre, e pure sono insieme unite in un tutto.


§ 12.

Ma nella filosofia trascendentale degli antichi si trova ancora un capitolo, che comprende i concetti puri dell’intelletto; i quali, sebbene non fossero annoverati fra le ca[p. 124 modifica]tegorie, per loro dovevano tuttavia valere come concetti a priori degli oggetti; nel qual caso il numero di categorie crescerebbe; ciò che non è possibile. A questi concetti accenna la famosa proposizione degli scolastici, quodlibet ens est unum, verum, bonum. Ora, benchè veramente l’uso di questo principio rispetto alle conseguenze (che diedero mere frasi tautologiche) abbia avuto un valore così miserevole, che ai tempi nostri quasi solo per convenienza si deve farne menzione nella metafisica; tuttavia un pensiero, che ha resistito sì lungo tempo, per vuoto che sembri, merita sempre una ricerca della sua origine, e giustifica la supposizione che abbia il proprio fondamento in qualche regola dell’intelletto, la quale sia stata soltanto, come spesso accade, falsamente interpretata. Questi presunti predicati trascendentali delle cose non sono altro che esigenze logiche e criteri di ogni conoscenza delle cose in generale, e riposano sulle categorie della quantità, ossia della unità, pluralità e totalità; solo che queste categorie, le quali si sarebbero dovute prendere propriamente nel significato materiale, come appartenenti alla possibilità delle cose stesse, gli antichi le adoperavano in realtà solo in un valore formale, come appartenenti all’esigenza logica nel riguardo di ogni conoscenza; e nondimeno di questi criteri del pensiero facevano inavvertitamente proprietà delle cose in se stesse. In ogni conoscenza cioè d’un oggetto l’unità del concetto che si può chiamare unità qualitativa, — in quanto in esso è pensata solo l’unità dell’insieme del molteplice della conoscenza, — è qualche cosa di simile all’unità del tema in un dramma, in un’orazione, in una favole. In secondo luogo, la verità delle conseguenze. Più sono le conseguenze vere di un concetto dato, più sono le prove della sua realtà oggettiva. Questo si potrebbe chiamare la molteplicità qualitativa delle note, che appartengono a un concetto come principio comune (e che non sono in esso concepite come quantità). In terzo luogo, finalmente, la perfezione; la quale consiste in ciò, che questa molteplicità è alla sua volta ricon[p. 125 modifica]dotta all’unità del concetto, e con esso, e con nessun altro, si accorda completamente; ciò che si potrebbe chiamare la compiutezza qualitativa (totalità). Donde risulta che questi criteri logici della possibilità della conoscenza in generale mutano le tre categorie della quantità, nelle quali l’unità dev’esser considerata sempre omogeneamente nella produzione del quantum, solo allo scopo di introdurre elementi conoscitivi eterogenei in una coscienza, mediante la qualità di una conoscenza come principio. Così il criterio della possibilità di un concetto (non del suo oggetto) è la definizione, nella quale l’unità del concetto, la verità di tutto ciò che da esso si può ricavare immediatamente, e infine la compiutezza di quello che ne è stato ricavato, costituiscono la condizione richiesta per la costituzione dell’intero concetto; e così il criterio di una ipotesi è la intelligibilità del principio di esplciazione assunto, ovvero la sua unità (senza ipotesi sussidiarie), la verità delle conseguenze che se ne cavano (accordo fra di loro stesse, e con l’esperienza), e, finalmente, la compiutezza del principio di esplicazione rispetto alle conseguenze, quando queste non danno nè più nè meno di ciò che era stato ammesso nella ipotesi, e riproducono analiticamente a posteriori ciò che era stato pensato sinteticamente a priori, e vi si accordano. — Perciò coi concetti di unità, verità, perfezione, la tavola trascendentale delle categorie non è completata, quasi fosse stata incompleta; ma soltanto, essendo posto da parte il rapporto di questi concetti cogli oggetti, l’uso che se ne fa, vien ridotto entro le regole generali dell’accordo della conoscenza con se stessa.

Note

  1. Propriamente, Gemeinschaft, comunanza, l’aver qualcosa in comune.
  2. Rhapsodie, rhapsodistisch sono parole adoperate spesso da Kant: rapsodia della percezione (in contrapposto a connessione, unità); delle conoscenze (in contapposto a sistema). Sono sinonimi di Principlosigkeit, principles (= asistematicità, asistematico).
  3. I §§ 11 e 12 sono una aggiunta della 2ª edizione.
  4. Principii metafisici della fisica. (N. di K.) Questi Principii erano stati pubblicati da K. l’anno innanzi (1786).