Critica della ragion pura (1949)/Dottrina trascendentale degli elementi/Logica trascendentale

Logica trascendentale

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Estetica trascendentale - Del tempo Analitica trascendentale
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PARTE SECONDA

LOGICA TRASCENDENTALE



INTRODUZIONE

IDEA DI UNA LOGICA TRASCENDENTALE


I

Della logica in generale.

La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali è la facoltà di ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per la prima, un oggetto ci è dato; per la seconda esso è pensato in rapporto con quella rappresentazione (come semplice determinazione dello spirito). Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza; per modo che, nè concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una intuizione, nè intuizione, senza concetti, possono darci una conoscenza. Entrambi sono puri o empirici. Empirici, quando contengano una sensazione (che suppone la presenza reale dell’oggetto); puri, invece, quando alla rappresentazione non sia mescolata alcuna sensazione. La sensazione si può dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa è intuito, e un concetto puro solamente la forma del pensiero d’un oggetto in generale. Ma [p. 96 modifica]le intuizioni e i concetti puri possibili sono a priori, gli empirici soltanto a posteriori.

Se noi chiamiamo sensibilità la recettività del nostro spirito a ricevere rappresentazioni, quando esso è in un qualunque modo modificato, l’intelletto è invece la facoltà di produrre da sè rappresentazioni, ovvero la spontaneità della conoscenza. La nostra natura è cosiffatta che l’intuizione non può essere mai altrimenti che sensibile, cioè non contiene se non il modo in cui siamo modificati dagli oggetti. Al contrario, la facoltà di pensare l’oggetto dell’intuizione sensibile è l’intelletto. Nessuna di queste due facoltà è da anteporre all’altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. È quindi necessario tanto rendersi i concetti sensibili (cioè aggiungervi l’oggetto nell’intuizione), quanto rendersi intelligibili le intuizioni (cioè ridurle sotto concetti). Queste due facoltà o capacità non possono scambiarsi le loro funzioni. L’intelletto non può intuire nulla, nè i sensi nulla pensare. La conoscenza non può scaturire se non dalla loro unione. Ma non perciò si devono confondere le loro parti; chè, anzi, si ha grande ragione di separarle accuratamente e di tenerle distinte. Noi distinguiamo dunque la scienza delle leggi della sensibilità in generale, l’estetica, dalla scienza delle leggi dell’intelletto in generale, la logica.

A sua volta, dunque, la logica può esser presa da due punti di vista, o come logica dell’uso generale dell’intelletto, o come logica dell’uso speciale. La prima comprende le leggi assolutamente necessarie del pensiero, senza le quali non esiste punto uso dell’intelletto; e riguarda perciò l’intelletto, astraendo dalla diversità degli oggetti ai quali può rivolgersi. La logica dell’uso speciale dell’intelletto, invece, comprende le leggi per pensare rettamente una specie determinata di oggetti. Quella si può chiamare elementare, questa invece organo di tale o tal’altra scienza. La seconda è fatta precedere per lo più nelle scuole a mo’ di [p. 97 modifica]propedeutica delle scienze; sebbene, a seguire il cammino dell’umana ragione, essa segni in realtà l’ultimo termine, al quale essa arriva, quando la scienza è già da lungo tempo bella e fatta, e non le occorra se non l’ultima mano per essere rettificata e completata. Giacchè, se si vogliono dare le leggi secondo le quali una scienza può essere fondata, bisogna già aver conoscenza degli oggetti in grado sufficientemente elevato.

La logica generale poi è o pura o applicata. Nella prima noi facciamo astrazione da tutte le condizioni empiriche nelle quali il nostro intelletto viene esercitato, per esempio dall’azione dei sensi, dal giuoco, dall’immaginazione, dalle leggi della memoria, dalla forza delle abitudini, dall’inclinazione, ecc.; quindi anche dalle cause di pregiudizio, e in generale da tutto ciò, che dà o si può supporre che dia origine a determinate conoscenze, giacchè tutto questo riguarda semplicemente l’intelletto in peculiari circostanze della sua applicazione, per la conoscenza delle quali si richiede l’esperienza. Una logica generale, ma pura ha da fare dunque soltanto con meri principii a priori, ed è un canone dell’intelletto e della ragione, ma soltanto rispetto a ciò che vi è di formale nel loro uso, sia qualsivoglia il contenuto (empirico o trascendentale). Ma una logica generale allora si chiama applicata, quando mira alle leggi dell’uso dell’intelletto nelle condizioni soggettive empiriche, che c’insegna la psicologia. Essa dunque ha principii empirici, sebbene sia generale, in quanto concerne l’uso dell’intelletto senza distinzione di oggetti. Per la qual cosa essa non è nè canone dell’intelletto in generale, nè organo di scienze speciali, ma soltanto un catartico del pensiero volgare.

Ond’è che nella logica generale quella parte, che deve costituire la dottrina pura della ragione, occorre sia interamente distinta da quella che costituisce la logica applicata (ancorchè questa sia sempre generale). La prima soltanto è, a rigore, propriamente scienza, benchè breve ed arida, e quale esige l’esposizione scolastica di una dottrina elemen[p. 98 modifica]tare dell’intelletto. In essa dunque i logici debbono sempre aver innanzi agli occhi queste due regole:

1) che essa, come logica generale, astrae da ogni contenuto della conoscenza intellettuale e dalla diversità de’ suoi oggetti, e non tratta se non della semplice forma del pensiero;

2) che, come logica pura, non ha principii empirici, e perciò non ritrae (come talora si è creduto) nulla dalla psicologia, la quale perciò non ha, assolutamente, nessuna influenza sul canone dell’intelletto. Essa è una dottrina dimostrata, e tutto in essa dev’essere certo interamente a priori.

Quanto a ciò che io chiamo logica applicata (contro il comune significato di questa parola, secondo il quale essa deve contenere certi esercizi, a cui fornisce la legge la logica pura), essa è una rappresentazione dell’intelletto e delle leggi del suo uso necessario in concreto, cioè nelle condizioni accidentali del soggetto, che possono impedire o promuovere quest’uso, e che possono essere date soltanto empiricamente. Essa tratta dell’attenzione, de’ suoi ostacoli e de’ suoi effetti, dell’origine dell’errore, dello stato di dubbio, di scrupolo, di convinzione, e così via: e la logica generale e pura sta a lei come la morale pura, la quale contiene semplicemente le leggi morali necessarie di una volontà libera in generale, sta alla dottrina della virtù propriamente detta, la quale considera queste leggi in contrasto con gli ostacoli dei sentimenti, delle inclinazioni, delle passioni, a cui gli uomini più o meno soggiacciono, e che non può mai formare una scienza vera e dimostrata, poichè ha bisogno appunto, al pari della logica applicata, di principii empirici e psicologici.


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II

Della logica trascendentale.

La logica generale, come abbiamo avvertito, astrae da ogni contenuto della conoscenza, cioè da ogni rapporto di questa conoscenza con l’oggetto, e considera soltanto la forma logica nel rapporto delle conoscenze fra di loro, cioè la forma del pensiero in generale. Ma, poichè vi sono tanto intuizioni pure quanto intuizioni empiriche (come dimostra l’estetica trascendentale), così potrebbe anche esserci una distinzione fra pensiero puro e pensiero empirico degli oggetti. Nel qual caso si darebbe una logica, nella quale non si farebbe astrazione da ogni contenuto della conoscenza; perchè quella, che contenesse semplicemente le leggi del pensiero puro d’un oggetto, escluderebbe tutte quelle conoscenze, che fossero di contenuto empirico. Essa tratterebbe altresì dell’origine delle nostre conoscenze degli oggetti, in quanto questa origine non può essere attribuita agli oggetti, poichè la logica generale, invece, non ha nulla da vedere con questa origine della conoscenza, ma considera le rappresentazioni, siano esse originariamente in noi a priori, o date soltanto empiricamente, attenendosi semplicemente alle leggi, secondo le quali l’intelletto, quando pensa, le adopera le une in rapporto con le altre; essa perciò non considera se non la forma intellettuale, che si può far avere alle rappresentazioni, da qualunque parte esse possano provenire.

E qui io fo un’osservazione, che riguarda tutte le considerazioni che seguiranno, e che converrà aver sempre innanzi agli occhi: non bisogna, cioè, chiamare trascendentale ogni conoscenza a priori, ma soltanto quella, onde conosciamo che e come certe rappresentazioni (intuizioni o concetti) vengono applicate o sono possibili esclusivamente a priori (cioè la possibilità della conoscenza o dell’uso di essa a priori). Quindi nè lo spazio, nè una qualun[p. 100 modifica]que determinazione geometrica a priori di esso sono rappresentazioni trascendentali: ma soltanto la conoscenza dell’origine non empirica di queste rappresentazioni, e la possibilità che hanno tuttavia di riferirsi a priori agli oggetti dell’esperienza, può dirsi trascendentale. Così, l’uso dello spazio degli oggetti in generale è pure trascendentale; ma, se esso è unicamente limitato agli oggetti dei sensi, allora esso si dice empirico. La distinzione dunque del trascendentale dall’empirico appartiene alla critica delle conoscenze, e non riguarda il rapporto di queste col loro oggetto.

Nell’aspettazione dunque che si dieno forse concetti che si possano riferire a priori ad oggetti, non come intuizioni pure o sensibili, ma semplicemente come funzioni del pensiero puro, e quindi come concetti, ma non di origine empirica nè estetica, noi ci formiamo anticipatamente l’idea di una scienza dell’intelletto puro e della conoscenza razionale, onde pensiamo certi oggetti completamente a priori. Una scienza siffatta, che determini l’origine, l’estensione e la validità oggettiva di tali conoscenze, si deve chiamare logica trascendentale, poichè essa riguarda semplicemente ed esclusivamente le leggi dell’intelletto e della ragione, in quanto si riferisce ad oggetti a priori, e non, come la logica generale, a conoscenze tanto empiriche quanto pure, senza distinzione.


III

Della divisione della logica generale in analitica e dialettica.

L’antica e famosa questione con la quale si credeva di mettere in imbarazzo i logici, e si cercava di portarli a tale da lasciarsi cogliere in una misera diallele, o da dover riconoscere la propria ignoranza, perciò la vanità di tutta quanta la loro arte, è questa: che cosa è la [p. 101 modifica]verità? La definizione nominale della verità, come l’accordo della conoscenza col suo oggetto, è qui ammessa e presupposta; ma si desidera sapere qual sia mai il criterio generale e sicuro della verità in ciascuna conoscenza.

È già una grande e necessaria prova di saggezza di acume il sapere che cosa ci si debba razionalmente domandare. Giacchè, se la domanda in sè è assurda e vuol risposte inutili, presenta, oltre alla vergogna di colui che la solleva, anche l’inconveniente di spingere l’incauto uditore a risposte inconcludenti, e di dare così ridicolo spettacolo che uno, come dicevano gli antichi, munge il becco, e l’altro tiene sotto uno staccio.

Se la verità consiste nell’accordo di una conoscenza col suo oggetto, bisogna per ciò stesso che questo oggetto sia distinto dagli altri; giacchè una conoscenza è falsa, se non contenga qualche cosa che potrebbe bene valere per altri oggetti. Ora, un criterio generale della verità potrebbe esser quello che fosse valido per tutte le conoscenze, senza distinzione dei loro oggetti. Ma è chiaro che, se si fa astrazione in esso da ogni contenuto della conoscenza (rapporto col suo oggetto), poichè la verità riguarda appunto questo contenuto, riesce assolutamente impossibile e privo di senso andare in cerca di una nota della verità per questo contenuto della conoscenza; ed è chiaro perciò che è impossibile che sia dato un carattere distintivo sufficiente e a un tempo universale della verità. Come noi più sopra abbiamo già chiamato il contenuto di una conoscenza materia di essa, così si dovrà dire, che non si può chiedere un carattere generale della verità della conoscenza quanto alla sua materia, perchè ciò è in se stesso contraddittorio.

Ma, per ciò che riguarda la conoscenza quanto alla semplice forma (mettendo da parte ogni contenuto), è altrettanto chiaro che una logica, in quanto espone le leggi generali e necessarie dell’intelletto, deve appunto in queste leggi fornire i criteri della verità. Infatti, ciò che contraddice ad esse, è falso, perchè l’intelletto allora contrasta [p. 102 modifica]con le sue leggi generali del pensiero, e perciò con se stesso. Ma questi criteri riguardano soltanto la forma della verità, cioè del pensiero in generale, e sono perciò verissimi, ma non tuttavia sufficienti. Giacchè una conoscenza potrebbe esser benissimo conforme alla forma logica, cioè non contraddittoria in se stessa, e tuttavia essere sempre in contraddizione con l’oggetto. Dunque, il criterio semplicemente logico della verità, cioè l’accordo di una conoscenza con le leggi generali e formali dell’intelletto e della ragione, è bensì una conditio sine qua non, quindi la condizione negativa di ogni verità; se non che la logica non può andare più oltre, e non ha pietra di paragone con cui possa scoprire l’errore, che tocchi non la forma, ma il contenuto.

La logica generale risolve dunque l’intera opera formale dell’intelletto e della ragione nei suoi elementi, ed espone questi elementi come principii di ogni valutazione logica della nostra conoscenza. Questa parte della logica si può quindi chiamare analitica, ed è appunto per ciò la pietra di paragone, almeno negativa, della verità; poichè bisogna anzi tutto esaminare e valutare le conoscenze secondo la forma, prima di scrutarle nel loro contenuto, per vedere se contengono una verità positiva in rapporto con l’oggetto. Ma, poichè la sola forma della conoscenza, per quanto si accordi con le leggi logiche, è ben lungi dall’esser sufficiente a stabilire la verità materiale (oggettiva) della conoscenza, così nessuno, col semplice aiuto della logica, può giudicare od affermare checchessia degli oggetti senza aver prima raccolto, al di là della logica, una fondata informazione intorno ad essi, per tentarne poi l’utilizzazione o connessione in un tutto coerente secondo le leggi logiche, o meglio ancor, per farne la prova unicamente secondo queste leggi. C’è tuttavia qualcosa di così attraente nel possesso di un’arte tanto appariscente, qual’è quella di dare a tutte le nostre conoscenze la forma dell’intelletto, — sebbene in relazione al loro contenuto si possa tuttavia restar vuotissimi e poverissimi, — che quella [p. 103 modifica]logica generale, la quale è semplicemente un canone di valutazione, viene impiegata altresì come organo di effettiva produzione, o almeno d’illusione di affermazioni oggettive; e quindi, in realtà, l’uso che se n’è fatto, è stato abusivo. Ora, la logica generale, come tale preteso organo, si chiama dialettica.

Per vario che sia il significato, in cui gli antichi usarono questa denominazione di una scienza od arte, si può tuttavia desumere con sicurezza dall’uso, che di fatto ne fecero, che la dialettica, per loro, altro non fosse che la logica dell’apparenza. Arte sofistica di dare alla propria ignoranza, anzi alle proprie volontarie illusioni la tinta della verità, imitando il metodo del pensare fondato (Grundlichkeit) che prescrive la logica generale, e servendosi della sua topica per colorire ogni vuoto modo di procedere. Ora, come un avvertimento sicuro e utile, si può osservare, che la logica generale, considerata come organo, è sempre logica dell’apparenza, cioè dialettica. Infatti, poichè essa non c’insegna nulla circa il contenuto della conoscenza, ma semplicemente le condizioni formali dell’accordo con l’intelletto; le quali del resto, rispetto agli oggetti, sono assolutamente indifferenti; così, la pretesa di servirsene come di strumento (organo) per allargare ed estendere, almeno secondo si pretende, le conoscenze non può riuscire se non a una vuota ciancia, onde si affermi con qualche apparenza o s’impugni a capriccio ciò che si vuole.

Un tale insegnamento non si addice in nessun modo alla dignità della filosofia. E perciò si è attribuito questo nome di dialettica alla logica piuttosto come una critica dell’apparenza dialettica, e come tale lo vogliamo anche inteso.


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IV

Divisione della logica trascendentale in analitica e dialettica trascendentale.

In una logica trascendentale noi isoliamo l’intelletto (come sopra, nell’Estetica trascendentale, la sensibilità), e rileviamo di tutta la nostra conoscenza soltanto la parte del pensiero, che ha la sua origine unicamente nell’intelletto. Ma l’uso di questa conoscenza pura si fonda su ciò, come sua condizione: che gli oggetti, ai quali può essere applicata, ci vengano dati nell’intuizione. Giacchè senza intuizione ad ogni nostra conoscenza manca l’oggetto, ed essa allora rimane affatto vuota. La parte dunque della logica trascendentale, che espone gli elementi della conoscenza pura dell’intelletto e i principii senza i quali nessun oggetto può assolutamente essere pensato, è l’analitica trascendentale, e insieme una logica della verità. Infatti, nessuna conoscenza può contraddire ad essa senza perdere insieme ogni contenuto, cioè ogni rapporto a un oggetto qualsiasi, e quindi ogni verità. Ma, poichè è molto seducente e pieno di attrattiva servirsi solo di queste conoscenze pure dell’intelletto e de’ suoi principii puri anche oltre i limiti dell’esperienza, la quale solamente, per altro, può fornirci la materia (gli oggetti), e alla quale quei concetti puri dell’intelletto possono essere applicati; così l’intelletto corre il rischio di fare con vani sofismi un uso materiale di quelli che sono soltanto principii formali dell’intelletto puro, e di giudicare indifferentemente di oggetti, che non ci sono punto dati, anzi probabilmente non possono esserci dati in alcun modo. Poichè dunque essa propriamente non può essere altro che un canone di giudizio nell’uso empirico, se ne abuso quando si fa valere come organo di uso generale ed illimitato, e ci si arrischia, col solo intelletto puro, a pronunziar giudizi sintetici, ad affermare e a decidere sopra oggetti in generale. L’uso in[p. 105 modifica]fatti dell’intelletto puro sarebbe in tal caso dialettico1. La seconda parte della logica trascendentale perciò deve essere una critica di questa apparenza dialettica, e si chiama dialettica trascendentale, non quasi un’arte che susciti dommaticamente una tale apparenza (arte, pur troppo corrente, di svariate ciurmerie metafisiche), ma come critica dell’intelletto e della ragione rispetto al loro uso iperfisico2, a fine di svelare l’apparenza fallace delle sue infondate presunzioni e ridurre le sue pretese di scoperta e ampliamento di conoscenze, che essa s’illude di ottenere mercè principii trascendentali, al semplice giudicamento dell’intelletto puro e al suo preservamento dalle illusioni sofistiche.

Note

  1. Questa parola come già s’è visto, è adoperata da Kant in significato dispregiativo, quando non è accompagnata da nessun chiarimento che gliene dia uno migliore. La dialettica vale «presunto organo del conoscere», come in questo passo: «logica dell’apparenza», accostata alla «sofistica» degli antichi (cfr. Introd. alla seconda parte della logica trascendentale), chiamata «infeconda», «rifiutata dalla ragione critica» (§ 4 del cap. 1° della Dottrina del metodo). In miglior senso, ma sempre come umana deficienza, è preso in molti altri passi: «connaturata e irrimediabile illusione» (nella Introd. citata).
  2. Ossia, che procede oltre la natura, al sovrannaturale; com’è proprio, secondo Kant, della ragione.