Critica della ragion pura (1949)/Dottrina trascendentale degli elementi/Logica trascendentale/Analitica trascendentale/Libro I/Capitolo I/Sezione II

Analitica trascendentale - Libro I - Capitolo I - Sezione II

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SEZIONE SECONDA

Della funzione logica dell’intelletto nei giudizi.


§ 9.

Se noi facciamo astrazione da tutto il contenuto d’un giudizio in generale, e badiamo soltanto alla semplice forma dell’intelletto, troviamo che in esso la funzione del pensiero può ridursi sotto quattro titoli, ciascuno dei quali comprende sotto di sè tre momenti. Essi si possono acconciamente rappresentare nella seguente tavola:


1.
Quantità dei giudizi.
Universali
Particolari
Singolari.
2.
Qualità.
Affermativi
Negativi
Infiniti.
3.
Relazione.
Categorici
Ipotetici
Disgiuntivi.
4.
Modalità.
Problematici
Assertori
Apodittici.


[p. 112 modifica]Poichè questa divisione pare in alcuni punti, per verità non essenziali, si allontani dalla tecnica solita dei logici, gli avvenimenti che seguono non saranno superflui contro il fraintendimento che può temersi.

1. I logici dicono con ragione, che, nell’uso dei giudizi nei ragionamenti, i giudizi singolari si possono trattare come gli universali. Infatti, appunto perchè non hanno estensione, il loro predicato non può essere riferito soltanto ad una delle cose che sono raccolte sotto il concetto del soggetto, ma escluso dalle altre. Esso dunque vale di quel concetto senza eccezione, come se fosse un concetto universale, avente una estensione per la quale tutto il significato del predicato avesse valore. Se confrontiamo al contrario un giudizio singolare con un giudizio universale solo per la conoscenza della quantità, esso sta con questo nel rapporto dell’unità con l’infinità, e ne è perciò in se stesso essenzialmente distinto. Dunque, se io valuto un giudizio singolare (iudicium singulare), non solo secondo la sua validità interna, ma anche come conoscenza in generale, rispetto alla quantità che esso ha in confronto con altre conoscenze, allora esso è totalmente diverso dai giudizi universali (iudicia communia), e merita in una tavola completa dei momenti del pensiero in generale un posto a sè (sebbene, certamente, non trovi posto nella logica limitata esclusivamente all’uso dei giudizi nelle loro reciproche relazioni).

2. Bisogna pure distinguere, in una logica trascendentale, i giudizi infiniti dagli affermativi, sebbene, nella logica generale, sieno con ragione messi insieme con questi, e non costituiscano un membro particolare della divisione. Questa infatti astrae da tutto il contenuto del predicato (anche quando è negativo), e considera soltanto il giudizio anche secondo il valore o contenuto di questa affermazione logica mediante un semplice predicato negativo, e quale guadagno essa procura rispetto all’insieme del conoscere. Se io dicessi dell’anima che non è mortale, [p. 113 modifica]eviterei almeno un errore con un giudizio negativo. Laddove, in quest’altra proposizione: «l’anima è non mortale», io ho realmente affermato quanto alla forma logica, ponendo l’anima nell’ambito illimitato degli esseri che non muoiono. Ora, poichè il mortale forma una parte, e il non-mortale l’altra di tutta l’estensione degli esseri possibili, io non ho detto altro con la mia proposizione, se non che l’anima fa parte del numero infinito delle cose che restano, quando io ho sottratto interamente il mortale. La sfera infinita di tutto il possibile non è limitata quindi se non in questo senso, che tutto ciò che è mortale ne è stato separato, e l’anima vien posta nel restante spazio della sua estensione. Ma questo spazio, pur dopo questa sottrazione, rimane sempre infinito; e noi possiamo toglierne ancora molte altre parti, senza che il concetto dell’anima ne guadagni per nulla, o venga positivamente determinato. Questi giudizi, infiniti rispetto all’estensione logica, realmente dunque sono soltanto limitativi rispetto al contenuto della conoscenza in generale; e perciò non devono essere trascurati nel quadro trascendentale di tutti i momenti del pensiero nei giudizi, poichè la funzione dell’intelletto qui esercitata può essere importante probabilmente nel campo della sua conoscenza pura a priori.

3. Tutte le relazioni del pensiero nei giudizi sono: a) del predicato col soggetto; b) del principio con la conseguenza; c) della conoscenza divisa e di tutti i membri della divisione fra loro. Nella prima specie di giudizi sono considerati nel loro rapporto reciproco soltanto due concetti; nella seconda, due giudizi; nella terza, più giudizi. La proposizione ipotetica: «se c’è una giusitizia perfetta, chi persiste nel male è punito», contiene in realtà il rapporto di due proposizioni: «c’è una giustizia perfetta» e «chi persiste nel male è punito». Se le due proposizioni sieno vere in sè, qui rimane indeciso. È solo il loro nesso che vien pensato per mezzo di questo giudizio. Finalmente, il giudizio disgiuntivo contiene un rapporto di due o più proposizioni tra loro, ma non un rapporto di derivazione dell’una [p. 114 modifica]dall’altra, bensì di opposizione logica, in quanto la sfera dell’uno esclude quella dell’altro; ma ne contiene altresì uno di comunanza, in quanto quelle proposizioni riunite insieme occupano tutta la sfera di quella tal conoscenza; e però contiene un rapporto fra le parti della sfera d’una conoscenza, giacchè la sfera di ogni parte serve di complemento a quella dell’altra per formare tutto l’insieme della conoscenza di cui è parola; per es., «il mondo esiste o per opera del cieco caso, o per interna necessità, o per una causa esterna». Ognuna di queste proposizioni contiene una parte della sfera della conoscenza possibile intorno all’esistenza di un mondo in generale, e tutte quante costituiscono la sfera totale. Escludere la conoscenza da una di queste sfere significa porla in una della rimanenti; e porla invece in una sola sfera, significa toglierla dalle altre. C’è dunque in un giudizio disgiuntivo una certa comunanza, che consiste nel fatto che le proposizioni, che lo costituiscono, si escludono vicendevolmente, ma, così facendo, determinano tuttavia nell’insieme la vera conoscenza, costituendo, prese tutte insieme, il contenuto totale di un’unica conoscenza data. E questo solo è ciò che io credo necessario di avvertire qui, per rispetto a quel che segue.

4. La modalità dei giudizi è una loro funzione tutta particolare, che ha questo carattere disgiuntivo: che non contribuisce per niente al contenuto del giudizio (giacchè, oltre la quantità, la qualità e la relazione, non c’è più altro che formi il contenuto del giudizio), ma tocca solo il valore della copula rispetto al pensiero in generale. Giudizi problematici son quelli, in cui l’affermare, o il negare, si ammette come semplicemente possibile (arbitrario); assertori, quelli in cui si considera come reale (vero); apodittici, quelli in cui si riguarda come necessario1. Così i due giudizi, il cui rapporto costituisce il [p. 115 modifica]giudizio ipotetico (antecedens e consequens) e la cui azione reciproca forma il giudizio disgiuntivo (membri della divisione), sono insieme soltanto problematici. Nell’esempio di sopra, la proposizione «C’è una giustizia perfetta», non è detta in modo assertorio, ma soltanto pensata come un giudizio arbitrario, che può essere ammesso da qualcuno; e solo la conseguenza è assertoria. Perciò taluni giudizi possono essere perfino manifestamente falsi, e tuttavia, assunti come problematici, servire di condizione alla conoscenza della verità. Così il giudizio: il mondo esiste per cieco caso, nel giudizio disgiuntivo ha un significato puramente problematico: cioè, qualcuno potrebbe ammettere questa proposizione, in qualche modo, per un istante: ma essa serve (come indicazione di una strada falsa fra tutte quelle che si può prendere) a trovare la vera. La proposizione problematica è dunque quella, che esprime solo una possibilità logica (che non è punto oggettiva), ossia una libera scelta di assumere tale proposizione come valida: ammissione puramente arbitraria di essa nell’intelletto. La proposizione assertoria esprime la realtà logica o la verità; come in un sillogismo ipotetico l’antecedente è problematico nella maggiore, assertorio nella minore, e indica che la proposizione è già legata con l’intelletto in virtù delle sue leggi. La proposizione apodittica pensa il giudizio assertorio determinato secondo queste leggi dell’intelletto stesso e, per conseguenza, come affermante a priori; ed esprime in tal modo una necessità logica. Ora, poichè tutto qui si incorpora gradatamente nell’intelletto, per modo che si giudica dapprima qualche cosa problematicamente, e la si ammette in sèguito assertoriamente come vera, e la si afferma, infine, come inseparabilmente legata con l’intelletto, cioè come necessaria ed apodittica, le tre funzioni della modalità si possono considerare come altrettanti momenti del pensiero in generale.

Note

  1. Come se il pensiero fosse nel primo caso funzione dell’intelletto, nel secondo della facoltà di giudicare, nel terzo della ragione. Osservazione, che avrà in ciò che segue il suo chiarimento. (N. di K.)