Così parlò Zarathustra/Parte terza/Della virtù che rimpicciolisce

Della virtù che rimpicciolisce

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Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra (1885)
Traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)
Della virtù che rimpicciolisce
Parte terza - Prima del levar del sole Parte terza - Sul monte degli olivi
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Della virtù che rimpicciolisce.

1.

Quando Zarathustra toccò nuovamente terra, egli non s’inviò direttamente alle sue montagne e alla caverna, ma a lungo errò intorno domandando di molte cose e or questa e or quella apprendendo, sicchè diceva scherzando di sè stesso: «Ecco un fiume che per mille avvolgimenti ritorna alla sua sorgente!».

Poichè egli desiderava apprendere che cosa in quel mezzo fosse accaduto dell’uomo: se, cioè, egli erasi fatto più grande o più piccolo.

E una volta scorgendo una fila di case nuove, ne meravigliò e disse: «Che cosa significano queste case? Invero non un’anima grande le edificò secondo la propria imagine. [p. 160 modifica]

Forse uno sciocco bambino le prese dalla sua scatola di giocattoli? Oh, se qualche altro bambino potesse rinchiudervele di nuovo!

E codeste camere e stanze: come mai uomini possono entrarvi ed uscirne? Mi sembrano fatte per puppattole di seta; o per gattine ghiotte, le quali offrono anche sè stesse alla ghiottoneria altrui».

E Zarathustra si soffermò e meditò. Poi tristemente, disse: Tutto è rimpicciolito!

In ogni luogo io scorgo porte più basse: chi è della mia specie, riesce ancora a passarci, ma ei si deve curvare!

Oh, quando sarò un’altra volta nella mia patria, dove non fa mestieri curvarsi — curvarsi «dinanzi ai piccoli?». — E Zarathustra sospirò, guardando lontano.

Ma quel giorno stesso egli pronunciò il suo discorso sulla virtù che rimpicciolisce le cose.

2.

«Io passo attraverso questo popolo e tengo gli occhi aperti: gli uomini non mi perdonano di non essere invidioso delle lor virtù.

Essi tentano di mordermi, perchè io dico loro: «la gente piccola abbisogna di piccole virtù» — e perchè non so comprendere a che serve la gente piccola.

Io sono simile ad un gallo intruso nel cortile di una fattoria, cui anche le galline hanno in odio: ma per questo io non serbo rancore alle galline.

Io sono gentile con esse, come con tutte le piccole seccature. Mostrarsi selvatico verso ciò che è piccolo, mi sembra una saggezza da istrici.

Tutti parlano di me quando la sera sono seduti attorno al fuoco, — parlano di me, ma a me non pensa nessuno.

Questo è il nuovo silenzio che appresi! Il romore che fanno intorno a me stende un manto sui miei pensieri.

Essi mormorano: «Che cosa ci minaccia questa tetra nube? Stiamo in guardia perchè non ci rechi qualche pestilenza!». [p. 161 modifica]

E poc’anzi una donna trasse a sè un bambino, che mi muoveva incontro: «Allontanate i fanciulli!», essa gridò; «quegli occhi potrebbero abbruciare le anime dei bambini».

Essi tossiscono, quando io parlo: pensano, forse, che la tosse sia un’obiezione contro la violenza del vento: — nulla essi comprendono dell’impeto della mia felicità!

«Noi non abbiamo tempo per Zarathustra» — mi obiettano; che importa d’un tempo che non ha tempo per Zarathustra?

E quando mi lodano poi, come potrei addormentarmi su la fama che mi è data da loro?

Un cinto di spine mi sembra la loro lode; ne sento le punture anche quando me lo tolgo.

E anche questo imparai da essi: quegli che loda finge di restituire qualche cosa, ma in realtà egli desidera di ricevere molto di più!

Domandate al mio piede, s’egli ama il loro modo di lodare e di sedurre! In vero, al suono di quella musica egli non ama nè ballare nè star fermo.

Essi vorrebbero sedurmi e persuadermi alla piccola virtù; vorrebbero persuadere al mio cuore il tic-tac della piccola felicità.

Io passo attraverso questo popolo e tengo aperti gli occhi: costoro son divenuti e diventano sempre più piccoli: — e n’è cagione la lor dottrina della felicità e della virtù.

Essi sono modesti anche nella virtù — perchè amano la lor comodità. Ma con la comodità non può andar d’accordo che una virtù modesta.

È bensì vero che imparano a camminare e trascinarsi avanti a modo loro: ed io chiamo ciò il loro zoppicare; ma con questo essi riescon d’impaccio a chiunque abbia fretta.

E più d’uno tra loro procede innanzi e guarda dietro a sè col collo stecchito: mi piace dar di cozzo in costoro.

Il piede e l’occhio non devono mentire, nè contraddirsi l’un l’altro.

Ma tra la piccola gente è grande la mendicità.

Alcuni di essi sanno volere, ma i più non sono che dominati. Alcuni son sinceri, ma i più sono cattivi commedianti. [p. 162 modifica]

Tra loro si trovano attori incoscienti e attori involontari. I sinceri son sempre rari: particolarmente gli attori.

Di virile han poco o nulla: per ciò le loro donne tendono a mascolinizzarsi. Giacchè soltanto chi è veramente uomo, può salvar nella donna la donna.

E tra le loro ipocrisie questa mi parve la peggiore: che anche quelli che comandano simulano le virtù di quelli che servono.

« Io servo, tu servi, essi servono», — così prega anche qui l’ipocrisia dei governanti; — ma guai quando il primo tra i padroni non è altro che il primo dei servi!

Ah, nelle loro ipocrisie penetrò curioso il mio sguardo; e divinai in essa tutta la loro felicità di mosche che ronzano intorno alle finestre illuminate dal sole.

Quanta bontà, altrettanta debolezza. E altrettanta giustizia e compassione, quanta debolezza.

Franchi, onesti e benevoli essi sono gli uni con gli altri, come i granelli di sabbia son franchi, onesti e benevoli verso i granelli di sabbia.

Essi chiamano rassegnazione l’accettare modestamente una piccola felicità; ma nello stesso tempo sogguardano intorno per scoprire qualche nuova piccola felicità.

In fondo essi desiderano semplicemente una cosa: che nessuno rechi loro danno. Perciò precorrono ai desideri degli altri e fanno agli altri il bene.

Ma questa è «codardia», se pur abbia nome di virtù.

E quando questa piccola gente parla aperto, io non riconosco nella sua voce che la raucedine che s’aggrava a ogni nuovo soffio di vento.

Essi sono prudenti: le loro virtù hanno dita accorte. Ma mancano del pugno; le lor dita non sanno chiudersi in pugno.

Per essi la virtù è quella cosa che rende modesti e mansueti: con ciò convertono il lupo in cane, e l’uomo stesso nel più domestico degli animali.

«Noi abbiamo posta la nostra seggiola nel mezzo — questo mi dite voi con una smorfia che vorrebb’essere un sorriso: — a una distanza eguale dai gladiatori morenti e dai porci beati».

Ma questa è mediocrità: sebbene voi la chiamate moderazione. [p. 163 modifica]


3.

Io passo attraverso questo popolo e lascio cadere più d’una parola: ma esso non sa nè prendere nè ritenere.

Stupiscono, essi, ch’io non sia venuta a insultare ai loro piaceri e ai lor vizi; ma io non venni già per metterli in guardia contro i borsaiuoli!

Si meravigliano che io non sia pronto ad aguzzare e ad affinare la lor prudenza: come se già non fossero troppi tra essi gli sputasentenze, la cui voce mi lacera l’orecchio come una matita che strida su di una lavagna.

E quando grido: «Siano maledetti in voi tutti i diavoli codardi i quali amano piangere, unire le mani e adorare», essi gridano: «Zarathustra è un empio».

E specialmente gridano così i loro maestri; — ma agli orecchi dei maestri io grido anche più volentieri: «Si, io sono Zarathustra, l’empio!».

Oh, questi maestri della rassegnazione! Dovunque c’è qualche cosa di piccolo, di morboso, di scabbióso, essi s’avvicinano strisciando, simili ai pidocchi, e soltanto il ribrezzo m’impedisce di schiacciarli.

Orbene! Questo è il sermone ch’io dedico alle loro orecchie: «Io sono Zarathustra, l’empio, il quale vi dice: «Chi è tanto più empio di me che possa dilettarmi col suo insegnamento?

«Io sono Zarathustra, l’empio: dove troverò un mio uguale? Uguali a me sono quelli soltanto che impongono a sè stessi la propria volontà e respingono la rassegnazione.

«Io sono Zarathustra, l’empio: nella mia pentola faccio cuocere ogni mio avvenimento. E solo quando è cotto bene, gli dò il benvenuto, perchè è il mio cibo.

«In verità, più d’un fatto mi giunse imperioso: ma più imperiosa parlò ad esso la mia volontà, sì ch’io lo vidi inginocchiarsi davanti a me — supplicando di trovare in me un asilo ed un cuore e cercando di lusingarmi con ingannevoli parole: «Vedi, Zarathustra, come l’amico accorre all’amico!». [p. 164 modifica]

Ma a che parlo io mai, quando nessuno possiede i miei orecchi? Io voglio proclamare a tutti i venti:

Voi v’impicciolite sempre più, gente piccina! Voi vi sgretolate sempre più, o amici di ciò che è facile! Voi finirete a perdervi per cagione delle molte vostre piccole virtù, delle molte vostre piccole ommissioni, della vostra troppo piccola rassegnazione!

Troppo molle, troppo arrendevole è il vostro suolo! Ma perchè un albero possa crescer alto, esso deve attorcigliarsi con solide radici intorno a solide roccie.

Anche le vostre ommissioni forman parte della trama dell’avvenire umano: anche il vostro nulla è una tela di ragni, un ragno che vive del sangue dell’avvenire.

E il vostro prendere vai quanto il rubare, o piccoli virtuosi; ma anche tra i furfanti l’onore comanda: «Non si deve rubare che quando non si può togliere con la forza».

«Si dà», è questa anche una dottrina della rassegnazione. Ma io vi dico, o amanti del comodo: «Si toglie», e sempre più vi si toglierà!

Ah, se voi voleste liberarmi da tutto ciò ch’è un mezzo volere, e risolvervi o per la pigrizia o per l’azione!

Ah, se voi poteste comprendere la mia parola: «Fate pure ciò che volete — ma almeno siate di quelli che sanno volere

«Amate pure il vostro prossimo come voi stessi — ma prima di tutto siate di quelli che amano sè stessi. Che amano sè stessi con grande amore, e con grande disprezzo!».

Così vi parla Zarathustra, l’empio.

Ma che vi vado dicendo, poi che nessuno possiede i miei orecchi? Qui io vi ho precorso d’un’ora.

Tra questo popolo io sono il precursor di me stesso; il mio grido di gallo attraversa le oscure contrade.

Ma la loro ora sta per giungere! E giungerà anche la mia! Di tempo in tempo essi si fanno più piccoli, più poveri, più infecondi. Poveri ortaggi! Povero suolo!

E tra breve essi staranno dinanzi a me simili all’erba secca e alla stoppia, stanchi di loro stessi — e assetati, più che di acqua, di fuoco! [p. 165 modifica]

Ora benedetta della folgore! Mistero che precede il meriggio! In fuochi divampanti vi voglio un giorno mutare, e in apostoli dalle lingue di foco!

Essi dovranno annunziare un giorno con lingue di foco: «Egli giunge, egli è vicino — il grande meriggio».

Così parlò Zarathustra.