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della virtù che rimpicciolisce 159


Oh cielo che t’incurvi sopra di me, tu puro! tu sublime! La tua purezza per me sta in questo, che il ragno e le reti d’una ragione eterna in te non han luogo.

Tu sei per me una sala per i capricci divini del caso, una mensa divina per divini dadi e giuocatori divini!

Ma tu arrossisci? Dissi io forse cose che si dovevan tacere? Forse bestemmiai volendo benedirti?

O forse il pudore di essere soli in due ti fa arrossire? — Forse m’imponi d’andarmene e tacere, perchè il giorno sta per giungere?

Il mondo è profondo: e più profondo di quanto il giorno credesse: non tutto è concesso dire in presenza del giorno. Ma il giorno s’appressa: separiamoci dunque.

Oh cielo che t’incurvi sopra di me, o verecondo! o ardente! o pura mia gioja prima dello spuntar del sole!

Il giorno giunge: dunque separiamoci!».

Così parlò Zarathustra.




Della virtù che rimpicciolisce.

1.

Quando Zarathustra toccò nuovamente terra, egli non s’inviò direttamente alle sue montagne e alla caverna, ma a lungo errò intorno domandando di molte cose e or questa e or quella apprendendo, sicchè diceva scherzando di sè stesso: «Ecco un fiume che per mille avvolgimenti ritorna alla sua sorgente!».

Poichè egli desiderava apprendere che cosa in quel mezzo fosse accaduto dell’uomo: se, cioè, egli erasi fatto più grande o più piccolo.

E una volta scorgendo una fila di case nuove, ne meravigliò e disse: «Che cosa significano queste case? Invero non un’anima grande le edificò secondo la propria imagine.