Colombi e sparvieri/Parte I/I

Parte I - Capitolo I

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Parte I Parte I - II
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I.


Dopo una settimana di vento furioso, di nevischio e di pioggia, le cime dei monti apparvero bianche tra il nero delle nuvole che si abbassavano e sparivano all’orizzonte, e il villaggio di Oronou, con le sue casette rossastre fabbricate sul cocuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio.

Ai suoi piedi i torrenti precipitavano rumoreggiando nella vallata, e in lontananza, nelle pianure e nell’agro di Siniscola, le paludi e i fiumicelli straripati scintillavano ai raggi del sole che sorgeva dal mare. Tutto il panorama, dai monti alla costa, dalla linea scura dell’altipiano sopra Oronou fino alle macchie in fondo alla valle, pareva stillasse acqua.

Ma il paesetto era asciutto; e i vecchi e gli sfaccendati avevano già ripreso i loro posti sulle panchine davanti al Municipio, su nella piazza che sovrasta la valle come una grande terrazza.

Da una delle tre case rossastre, — il Municipio, [p. 2 modifica]la casa del parroco e quella di zia Giuseppa Fiore, — le cui finestruole munite d’inferriata e i balconi di ferro al primo piano guardavano sulla piazza, uscì una vecchia di bassa statura, col viso pallido seminascosto da una gonna nera in cui ella avvolgeva la testa e metà della persona come in un mantello; e prima di scendere gli scalini di granito che da una specie di «patiu» come quello dei «nuraghes» mettevano sulla piazza, volse in giro i grandi occhi cerchiati e un’espressione di sarcasmo le circondò d’un solco la bocca sdentata.

Eccoli tutti lì, sulle panchine e lungo il parapetto, gli sfaccendati del paese. Un tempo non era così, quando il villaggio, diviso in due partiti da un’inimicizia che appassionava anche i vecchi e i ragazzi, viveva d’una vita violenta ma anche attiva, e tutti stavano nelle loro case o nelle loro terre per badare alla propria roba e salvaguardarsi dai nemici. Ma da qualche anno, per intervento delle autorità ecclesiastiche e civili, le famiglie nemiche avevano fatto pace: gli animi, almeno in apparenza, si erano acquietati, e una specie di mollezza, di decadenza di costumi rendeva il paese sonnolento.

Tutto il santo giorno gli uomini giuocavano alla morra come fanciulli, e i vecchi tacevano, seduti all’orientale sopra la pietra delle panchine, immobili e già morti prima di aver chiuso per sempre gli occhi. La piccola vecchia scosse la testa sotto il suo bizzarro mantello nero, e scese lentamente gli scalini. Il vento sibilava ancora, a intervalli, e gli alberi spogli della piazza si agitavano sullo sfondo brillante del cielo come grandi polipi nell’acqua. Faceva freddo, ma i paesani barbuti e robusti, rossi in viso, con occhi nerissimi e denti candidi, erano vestiti di orbace, di pelli, di saja, con cappotti stretti e [p. 3 modifica]cappuccio in testa, e sentivano il sangue scorrere caldo nelle vene. Sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest’illusione.

Tutti salutarono la vecchia al suo passaggio: ella rispose con un lieve cenno del capo e sceso la scalinata che dalla piazza metteva in una ripida strada in discesa. Anche dalla fontana, chiusa in una specie di tempietto con un cancello di ferro, le donne imbacuccate come arabe nelle sottane nere, mentre riempivano le loro brocche di creta e strillavano litigando, salutarono la vecchia rivolgendole parole scherzose.

— Vi siete alzata presto, oggi, zia Giuseppa Fiore! E dove andate? Se avessi la vostra pecunia starei a letto fino a mezzogiorno.

— Zia Giuseppa Fiò! Andate in chiesa? pregate Cristo che venga presto il tempo del latte e della mietitura.

— Tanti saluti al vostro vicino, il Rettore. È passato poco fa e tremava come uno stelo. Lui e voi, zia Fiò, in fede mia, siete due idioti: potete stare al caldo e ve ne andate in giro con questo tempo. Si gela, si muore....

— La tua lingua non è gelata, — rispose la vecchia, e passò oltre sdegnosa.

Il rigagnolo d’acqua che scorreva giù per la strada era coperto da un velo di ghiaccio, e dai tetti delle casette basso fumiganti pendevano ghiacciuoli enormi simili a stalattiti; qualche rimasuglio di neve scintillava qua e là sugli embrici nerastri e negli angoli ove non batteva il sole, e in ogni sfondo di straducola apparivano le montagne lontane, bianche e nere fra la nebbia che svaniva.

La vecchia scese la strada in pendìo, che era la principale del paese, svoltò, risalì una specie di viottolo, si trovò nel piazzale della chiesa [p. 4 modifica]simile anch’esso ad una terrazza sospesa su un precipizio.

Di là si godeva la vista dell’altipiano; si vedeva la strada comunale serpeggiare sulle chine rocciose che dominano la chiesa e sparire nella linea coperta di boschi che chiude l’orizzonte. E la chiesa con la sua torre di pietra, l’abside e la facciata corrose qua e là coperte di edere e gramigne, pareva su quello sfondo grandioso un avanzo di castello abbandonato.

La vecchia attraversò il piazzale sterrato ed entrò; anche nell’interno della chiesa tutto era freddo, nudo e triste: solo alcune vecchie e un mendicante assistevano alla messa, e la voce lenta del giovine prete risuonava chiara nel vuoto, fra i sibili del vento che si sbatteva contro la torre come contro le rupi d’una cima deserta.

Finita, la messa la vecchia aspettò che tutti se ne andassero e fece in modo d’incontrarsi sotto l’arcata della porta col sacerdote che usciva frettoloso, stretto in un grosso tabarro, con le mani dentro le maniche e il viso bianco e lentigginoso d’albino seminascosto da una sciarpa nera. Egli tremava visibilmente dal freddo e i suoi piccoli occhi grigi velati da lunghe ciglia, bianche erano umidi di lagrime.

— Buon giorno, — salutò la vecchia, fissandolo in viso coi suoi grandi occhi tetri. — Mi rallegro molto di vedervi guarito. State bene adesso?

— Non c’è male, — egli disse con voce triste. — Speriamo che il tempo si rimetta: così ci rimetteremo anche noi.

— Aria fina non ne manca! — aggiunse un po’ ironica la donna, seguendolo attraverso lo spiazzo.

— Troppa fina, zia Giusé! — rispose il prete sul medesimo tono, precedendola senza [p. 5 modifica]guardarla. — In tre mesi che sono quassù due li ho passati a letto a starnutire, zia Giusé! Speriamo almeno d’aver fresco in estate.

— Ah, l’estate è proprio un paradiso, quassù. Missignoria1 vedrete. Del resto è che missignoria non si ha riguardo: oggi, per esempio, non era un giorno da uscire. State, state riguardato! Legna non ve ne manca, ben di Dio non ve ne manca. Del resto un raffreddore non è una malattia; anch’io sono stata a letto, questi giorni, e da fare certo non me ne manca. Stamattina sono uscita per la santa messa e perchè voglio visitare un malato: quello sì, è un malato per davvero! È un disgraziato ragazzo.... uno studente....

— Ah, sì, ho capito!

— È un disgraziato ragazzo, — ripetè la vecchia, senza badare all’esclamazione vivace del prete. — È stato calunniato, qualche mese fa, e precisamente quest’estate scorsa, prima che missignoria arrivasse in paese: ed egli dal dolore s’è ammalato gravemente.... e, pare, non guarirà.... È stato all’ospedale di Cagliari fino a pochi giorni fa, ma adesso si è fatto trasportar qui perchè, dicono, vuol morire nel suo paese natio.... Dicono che non vuol vedere nessuno.... ma io procurerò di vederlo, adesso....

Il prete si fermò.

— Di che cosa è stato accusato?

La vecchia lo fissava in viso e strizzò un occhio come per significargli: «voi sapete la storia meglio di me e fingete di non saperla: ci intendiamo, però!»

— Cuore di babbo mio! — esclamò con accento drammatico. — Nessun figlio di madre venga accusato di quello che è stato accusato lui! Di [p. 6 modifica]furto, missignoria mia; di aver rubato denari in casa della sua fidanzata; cioè, per meglio dire, del nonno di questa, Remundu Corbu. Missignoria lo conosce.

Il prete accennò di sì, e traendo dalle maniche le mani coperte di guanti di lana marrone le guardò fisso, una dopo l’altra.

— Quando è tornato, quel giovine?

— Avant'ieri, credo. Quasi nessuno se n’è accorto.

— Non ha parenti?

– Nessuno: egli sta con la sua mala sorte. Si fa servire da un ragazzetto di dieci anni.

Il prete s’era mosso di nuovo e camminava frettoloso.

– Missignoria andrà certo a trovare il povero Jorgeddu, — riprese la vecchia seguendolo fino allo svolto della strada. — Glielo dirò, al povero disgraziato; gli dirò che voi non siete ancora andato perchè non sapevate del suo ritorno. Ah, non è cattivo, quell’infelice. C’è molta gente che tenta di screditarlo, dicendo che è un miscredente, un cattivo soggetto; e molti fingono di ignorare il suo ritorno in paese per non avvicinarsi a lui; ma fosse anche quale i suoi nemici lo dipingono, è una ragione per non aiutarlo? Egli è paralitico; è povero come Cristo: si aiutano anche i lebbrosi, anche i giudei: perchè non dobbiamo aiutare un cristiano?

— Va bene, va bene, — disse il prete, distratto e anche un po’ annoiato, — più tardi andrò a trovarlo; basta che egli, che mi dicono un tipo prepotente, non faccia qualche scandalo. Addio.

— Ah, dunque lo sapevate che egli è tornato? — esclamò la vecchia discendendo giù per il viottolo, mentre il prete risaliva la strada della fontana.

Le porticine delle casette preistoriche [p. 7 modifica]s’aprivano su altissimi scalini di roccia, come se gli abitanti avessero le gambe gigantesche o si fossero premuniti contro qualche possibile inondazione: solo la penultima casa del viottolo, al di là della quale sorgeva una muriccia che recingeva un cortile sterrato, aveva due piani, con tre porte d’ingresso, di cui quella centrale grande è a livello della strada. I muri anneriti dal tempo e le piccole finestre irregolari munite di inferriata facevano anche qui pensare a un avanzo di castello medioevale.

Dal portone centrale socchiuso la vecchia intravide una specie di rimessa lastricata di macigni e in fondo un cortile ove un cavallo già sellato e carico di bisacce batteva la zampa al suolo, impaziente di partire. Ella diede uno sguardo bieco ed entrò nell’abitazione attigua.

Il luogo era triste e deserto; pozzanghere d’acqua gelata riempivano il cortiletto in pendio, e la catapecchia che sorgeva in fondo sembrava disabitata. Una scaletta esterna, senza ringhiera, con gli scalini a metà rovinati conduceva alla stanza del piano superiore. La vecchia però, dopo aver attraversato il cortiletto badando di non rompere il ghiaccio delle pozzanghere spinse la porta della stanza terrena. Un tanfo di umido la colpì. Entrò senza salutare, quasi furtivamente, e si guardò attorno.

La camera vasta e bassa con le pareti color terra e il soffitto di assi nere di fuliggine, un tempo doveva aver servito da cucina perchè nel centro, sul pavimento di fango battuto, si notavano ancora le quattro liste di pietra del focolare; sarebbe parsa un sotterraneo senza un filo di luce azzurrognola che penetrava dallo sportello di una porticina che dava sul ciglione opposto al cortile.

Il tenue barlume illuminava una cassapanca [p. 8 modifica]nera, un tavolino e un letto di legno dove coperta fin sul collo da una coltre grigiastra, con un fazzoletto bianco intorno alle orecchie, dormiva una persona che a tutta prima, sembrava una donna. I lineamenti erano delicati, la fronte alta nascosta sulle tempia da due bande di capelli neri finissimi: sotto la pelle di un grigio azzurrognolo si delineavano le ossa, e le palpebre larghe dalle lunghe ciglia sembravano tinte col bistro. Ma la lieve peluria che anneriva il labbro superiore, sotto cui si notavano i denti, rivelava il sesso del dormente.

Un’espressione di pietà raddolcì il viso tetro della vecchia; piano piano ella andò a sedersi sullo sgabello accanto al letto e dopo aver guardato i libri e gli altri oggetti — una bottiglia, un bicchiere, un coltello a serramanico, — deposti sul tavolino senza tappeto, osservò che sulla parete, nonostante la fama di miscredente che Jorgj Nieddu godeva, un piccolo Cristo nero su una croce di metallo bianco curvava la testa e pareva guardasse il malato.

— E curioso che non ci sieno medicine, — osservò fra sè la vecchia, — eppure dicono che egli sta per morire.

Quasi per smentire questa pietosa diceria il malato aprì gli occhi, grandi occhi lucenti d’un nero dorato, e si animò come un morto che risuscita: il suo viso si colorì, e fra le labbra aride apparvero i denti intatti bianchissimi.

La vecchia gli prese la lunga mano scarna dalle unghie violacee tenute con cura.

— Jorgeddu mio! Come ti rivedo!

— Come il Signore vuole, — egli disse, ritirando la mano. La sua voce era sonora ed echeggiava nella desolazione della stamberga.

La vecchia tentò di riprendergli la mano.

— Mi si spezza il cuore, a vederti così! Ma [p. 9 modifica]speriamo che le tue pene cessino presto, anima mia bella! Ieri soltanto ho saputo del tuo ritorno: sarei corsa subito, ma stavo poco bene anch’io.

— Eppoi pioveva!

— Questo non mi avrebbe trattenuto, figlio caro. Ma ho avuto anche altri impicci: sto accomodando la casa perchè devo alloggiare il Commissario regio. Tu sai che hanno sciolto il Consiglio comunale, perchè c’era chi mangiava a due palmenti, figliuolo mio, e siccome anche gli altri volevano mangiare ne nasceva questo: che tutti si azzuffavano come i cani davanti all’osso....

Ella parlava rapidamente come cercando di stordirlo con le sue notizie; ma egli non si placava, e se il suo viso ridiventava pallido gli occhi continuavano ad esprimere un’ira interna, un senso di diffidenza angosciosa.

— Adesso, come ti dico, arriva il Commissario: dicono sia un cavaliere, un uomo come si deve, che metterà a posto tutti; e chissà che non faccia qualche atto di giustizia! Tu forse mi capisci, Jorgeddu mio, tu capisci di. chi voglio parlare....

— Io sto davanti a Dio, zia Giusé! Egli solo può rendermi giustizia!

— Non parlare così! Sei giovane e guarirai presto. Che malattia è la tua?

— Non lo so neppure io. Ho le gambe paralizzate, e alle mani sento sempre un formicolìo e se tento di sollevare la testa una vertigine terribile mi assale.... Non lo so.... non lo so.... — egli proseguì con voce tremula, morsicandosi le labbra per frenare il pianto. — Sono come lo stelo del frumento, che la tempesta ha spezzato.... La spiga è matura... e giace al suolo.... e nessuno la raccoglierà....

— Ma i medici, cosa dicono? Quello di qui è [p. 10 modifica]mezzo matto e non capisce nulla, ma gli altri, quelli della città? Quelli son sapientoni…

Al ricordo dei medici e delle loro contradizioni, il malato si sdegnò; il suo viso fino riprese una espressione di energia che contrastava col tremito delle labbra, con le lagrime che bagna-vano l’orlo delle palpebre. E come un gioco di luce e di ombra, di vita e di morte, passò su quel viso cadaverico, entro quegli occhi ove brillava un’anima ribelle.

— Che sanno i medici? Anch’essi!... Siamo tutti eguali, zia Giusé; tutti ignoranti! Uno mi disse che dovevo morire fra otto giorni, e un altro fra dieci anni! Uno mi disse che dovevo restare laggiù, un altro mi consigliò di tornare qui…

— Hai fatto bene a tornare. E dimmi una, cosa: sei solo? Chi ti ajuta? È la tua madrigna?

— State zitta! Essa mi odia! Son solo, sì, come la belva ferita nella sua tana: tutti mi credono un ladro e nessuno si avvicina a me… anche perchè tutti han paura che io domandi loro l’elemosina…. No, zia Giusé! Non ho bisogno di nulla, io; non domando che di lasciarmi morire in pace. Non venite a tormentarmi…

Ma la vecchia impassibile riprese le sue domande:

— Il dottore di qui è venuto? Che dice quel matto?

— Dice che guarirò: invece io so che morrò: e son tornato qui apposta, perchè qualcuno dica: l’ho fatto morire io…

— E tu credi che chi ti ha calunniato possa pentirsi? Ti inganni, figlio mio: quella è razza di assassini, – aggiunse a bassa voce, curvandosi sul malato, – sparvieri sono, maledetti sieno! Sono abituati ad uccidere, quelli; e l’unica arma che possa ferirli è quella che adoperano loro… [p. 11 modifica]

Egli agitò la mano come per respingere la vecchia e mormorò:

— Basta.... Tutti son morti, per me....

— No, non tutti. Io sono qui per aiutarti... se tu vuoi. Poco fa ho incontrato il nuovo parroco, che abita vicino a me: io lo vedo poco, perchè anche lui è sempre malaticcio. Egli dice che non sapeva del tuo ritorno. Chissà!... Ad ogni modo io l’ho informato, ed egli ha promesso di venire a trovarti. È il suo dovere, del resto. Trattalo bene; non è cattivo; solo, dicono, non vive volentieri quassù, è da tre mesi che è arrivato, nessuno lo ha più veduto sorridere. Ricevilo con rispetto; vedendolo venir qui, la gente avrà miglior opinione di te....

— Diranno che l’ho chiamato per confessarmi!

— Bene! Tutti i cristiani vivi pecchiamo, figlio mio: sono soltanto i grandi peccatori, le anime dannate all’inferno, che non si confessano: vedi loro? Essi non vanno quasi mai in chiesa.... Dicevano, anzi, che la ragazzi ti piaceva perchè miscredente.... Ti capisco, anima mia, — aggiunse, vedendo il malato mettersi la mano sotto la guancia e chiuder gli occhi con stanchezza, — ti fa male sentir parlare dei tuoi nemici: lo so, è come frugarti una piaga. Ma tu fai male a perdonare. Neppure Dio perdona i calunniatori, i perversi. Tu hai fatto male a non querelarli.... ma sei sempre a tempo; ed io, se vorrai, ti servirò da testimone. Io conosco da lunghi anni quella gente malvagia, ed io sola so di che cosa è capace il vecchio sparviero. Egli è stato la mia rovina, la rovina della mia casa.... Adesso che verrà il Commissario e metterà molte cose a posto, adesso tu devi tutelare il tuo onore: adesso che il vecchio non fa più parte del Consiglio, forse sarà facile ottenere giustizia. Io ti troverò i testimoni, figlio mio caro: troverò [p. 12 modifica]molta gente che non avrà più paura di dire che Remundu Corbu ti ha calunniato. Io farò per te quello che una madre potrebbe fare per il suo figlio: io cercherò l’avvocato, andrò a Nuoro io stessa in persona.... Ma tu non stare così, come la lucertola sotto la pietra. Un uomo deve sempre difendere il suo onore....

Giorgio tremava di sdegno, ma chiudeva gli occhi e stringeva i denti per frenarsi. Incoraggiata dal suo silenzio la vecchia proseguì:

— Io darò alloggio al Commissario; e ti dico una cosa, che lo faccio perchè spero che egli ci renda un po’ di giustizia: altrimenti non lo avrei fatto, perchè, sia lodato il Signore, io non avrei bisogno di disturbarmi. Son vedova, son sola.... e benchè il vecchio sparviero abbia cercato di ridurmi alla miseria non c’è riuscito.... Egli mi ha frodato, egli mi ha rubato, ma non del tutto. Tu sai la storia; sua moglie, Mariagrassia Fiore, era mia cugina: entrambe avevamo un zio prete, il vecchio Rettore Fiore, che lasciò i suoi beni metà a me e metà a lei. Ebbene, e che cosa fece Remundu Corbu? Egli si impossessò di tutto; la casa dove sta lui era mia, la tanca dove pascola il suo bestiame era mia.... E cominciò la lite; ma era il tempo delle inimicizie e la giustizia non giudicava bene le cose nostre perchè credeva che tutte le testimonianze fossero false, che tutti parlassero e agissero secondo il proprio odio personale. Così io perdetti la lite e mio marito morì di crepacuore: egli era un sant’uomo, Dio lo abbia accolto nel suo seno, ma era dolce e molle come il miele.... Anche lui era come sei tu, anima mia: moriva di dolore piuttosto che farsi giustizia da sè. Ad ogni modo egli era sempre la colonna della mia casa, perchè val sempre più un uomo debole che sette donne forti, e dopo la sua scomparsa io son rimasta come [p. 13 modifica]una cerva ferita; a che servono le sue gambe se essa non può correre? Ma la donna è paziente, figliuolino mio; essa non muore di crepacuore perchè aspetta, perchè crede nel giorno della giustizia; e Giuseppa Fiore è una donna! Tu mi capisci....

— Vi capisco, sì! — egli disse spalancando gli occhi luminosi di sdegno. — Voi non siete venuta qui per carità; siete venuta per odio. Andatevene!

Ella capì che per il momento non doveva insistere. Gli mise una mano sul capo, mentre con l’altra frugava nella sua saccoccia curvandosi sul fianco per cercar meglio, e riprese con voce dolce:

— Non adirarti; ti farà male.... Io non odio nessuno; ma desidero che venga fatta giustizia. Ma tu non sdegnarti, anima mia, sta tranquillo, cerca di curarti. Hai bisogno di nulla?

Trasse di tasca una moneta di argento e cercò di metterla sotto il guanciale; ma Jorgj se ne avvide e respinse la mano di lei.

— Non voglio nulla! per carità, lasciatemi in pace.... Andatevene!

La vecchia si alzò e rimise in tasca la moneta.

— Tu fai male a ricevere così la gente, Jorgeddu mio! Tu che perdoni ai tuoi nemici dovresti almeno accoglier bene gli amici!

— Amici! — egli disse con fiera, tristezza. — Da tre giorni che son qui, nessuno è venuto a portarmi una parola di amore. La primi a ricordarsi di me siete voi; voi.... ma spinta dal vostro odio!... Basta.... neppure nel sepolcro mi lasciate in pace....

Il suo viso si contrasse come ad un sorriso amaro e uno scoppio di pianto infantile agitò il suo povero corpo ischeletrito.

La vecchia era intelligente: capì che nulla poteva confortare tanto dolore, e una pietà [p. 14 modifica]selvaggia la vinse, ma non una lagrima bagnò i suoi occhi. Senza pronunciare più una parola si riavvolse nella sua gonna e se ne andò, decisa a cercar giustizia contro il nemico comune, giustizia per sè, giustizia per l’infelice fanciullo.

Note

  1. Mia Signoria