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già la vinse, ma non una lagrima bagnò i suoi occhi. Senza pronunciare più una parola si riavvolse nella sua gonna e se ne andò, decisa a cercar giustizia contro il nemico comune, giustizia per sè, giustizia per l’infelice fanciullo.


II.


Subito dopo arrivò il servetto.

Giorgio si asciugò gli occhi per non farsi scorgere a piangere, ma anche perchè ogni volta che entrava nella stamberga quel bel ragazzetto sano ed agile i cui occhioni neri scintillanti erano come illuminati da una gioia inesauribile, i cui capelli riccioluti e polverosi ricordavano il vello degli agnellini di primavera, egli provava un senso di sollievo. Il servetto vestito con un costumo di orbace nero e di saja giallognola gli ricordava la sua infanzia, i luoghi più amati, la salute perduta; inoltre gli era necessario, era l’unica persona di cui egli si fidava ancora e da cui si sentiva amato.

— Pretu, — gli disse, mentre il ragazzo versava l’acqua dalla brocca e insaponava uno straccio, — prima di lavarmi pulisci un po’ intorno, perchè deve venire qualcuno.

Sorpreso, il ragazzo si sollevò col catino dell’acqua tremolante fra le mani.

— Ma se ho detto a tutti che voi non volete veder nessuno?

— Eppure qualcuno verrà.

— Be’ cacciatelo via! — consigliò Pretu aggrottando la fronte; — tanto tutti parlano male di voi e dicono che Dio vi castiga perchè siete un miscredente, e che la vostra è una malattia