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nera, un tavolino e un letto di legno dove coperta fin sul collo da una coltre grigiastra, con un fazzoletto bianco intorno alle orecchie, dormiva una persona che a tutta prima, sembrava una donna. I lineamenti erano delicati, la fronte alta nascosta sulle tempia da due bande di capelli neri finissimi: sotto la pelle di un grigio azzurrognolo si delineavano le ossa, e le palpebre larghe dalle lunghe ciglia sembravano tinte col bistro. Ma la lieve peluria che anneriva il labbro superiore, sotto cui si notavano i denti, rivelava il sesso del dormente.

Un’espressione di pietà raddolcì il viso tetro della vecchia; piano piano ella andò a sedersi sullo sgabello accanto al letto e dopo aver guardato i libri e gli altri oggetti — una bottiglia, un bicchiere, un coltello a serramanico, — deposti sul tavolino senza tappeto, osservò che sulla parete, nonostante la fama di miscredente che Jorgj Nieddu godeva, un piccolo Cristo nero su una croce di metallo bianco curvava la testa e pareva guardasse il malato.

— E curioso che non ci sieno medicine, — osservò fra sè la vecchia, — eppure dicono che egli sta per morire.

Quasi per smentire questa pietosa diceria il malato aprì gli occhi, grandi occhi lucenti d’un nero dorato, e si animò come un morto che risuscita: il suo viso si colorì, e fra le labbra aride apparvero i denti intatti bianchissimi.

La vecchia gli prese la lunga mano scarna dalle unghie violacee tenute con cura.

— Jorgeddu mio! Come ti rivedo!

— Come il Signore vuole, — egli disse, ritirando la mano. La sua voce era sonora ed echeggiava nella desolazione della stamberga.

La vecchia tentò di riprendergli la mano.

— Mi si spezza il cuore, a vederti così! Ma spe-