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cappuccio in testa, e sentivano il sangue scorrere caldo nelle vene. Sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest’illusione.
Tutti salutarono la vecchia al suo passaggio: ella rispose con un lieve cenno del capo e sceso la scalinata che dalla piazza metteva in una ripida strada in discesa. Anche dalla fontana, chiusa in una specie di tempietto con un cancello di ferro, le donne imbacuccate come arabe nelle sottane nere, mentre riempivano le loro brocche di creta e strillavano litigando, salutarono la vecchia rivolgendole parole scherzose.
— Vi siete alzata presto, oggi, zia Giuseppa Fiore! E dove andate? Se avessi la vostra pecunia starei a letto fino a mezzogiorno.
— Zia Giuseppa Fiò! Andate in chiesa? pregate Cristo che venga presto il tempo del latte e della mietitura.
— Tanti saluti al vostro vicino, il Rettore. È passato poco fa e tremava come uno stelo. Lui e voi, zia Fiò, in fede mia, siete due idioti: potete stare al caldo e ve ne andate in giro con questo tempo. Si gela, si muore....
— La tua lingua non è gelata, — rispose la vecchia, e passò oltre sdegnosa.
Il rigagnolo d’acqua che scorreva giù per la strada era coperto da un velo di ghiaccio, e dai tetti delle casette basso fumiganti pendevano ghiacciuoli enormi simili a stalattiti; qualche rimasuglio di neve scintillava qua e là sugli embrici nerastri e negli angoli ove non batteva il sole, e in ogni sfondo di straducola apparivano le montagne lontane, bianche e nere fra la nebbia che svaniva.
La vecchia scese la strada in pendìo, che era la principale del paese, svoltò, risalì una specie di viottolo, si trovò nel piazzale della chiesa