Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo XIII
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XIII.
Ritardo per regolare una partita d’onore.
Il gentiluomo richiesto di soddisfazione è in obbligo di far conoscere i suoi rappresentanti alla parte sfidante entro 24 ore sono concesse dall’accettazione della sfida, e altre 24 ore per la presentazione di essi alla controparte. Trascorse le 48 ore, l’offeso può reclamare un verbale di negata riparazione (Corte d’onore permanente di Firenze, 22 ottobre 1888).
Nota. — Due giorni sono sufficienti per la scelta dei rappresentanti e perchè questi si mettano d’accordo su i dispareri delle parti, tranne il caso riflettente la minorità civile, poichè, in generale è doveroso tentare tutti i mezzi onesti affinchè una vertenza d’onore venga esaurita nelle quarantott’ore successive all’offesa. Però, nella pratica, questa raccomandazione resta desiderio, non tanto per la negligenza dei rappresentanti, quanto per le molteplici circostanze dei fatti che hanno provocato un’offesa, per la gravità di questa, e per le persone implicate nella partita d’onore; tutte cose che devono essere necessariamente esaminate dai rappresentanti.
Altre volte, invece, un tal ritardo dipende dalla lontananza degli avversari, o da un male involontario, o da altra causa qualunque, che impedisce ad uno degli antagonisti di scendere sul terreno. In tale eventualità il duello può essere rimandato ad altro momento da destinarsi di pieno accordo tra i rappresentanti.
Talvolta, invece, l’avanzata difficoltà rappresenta un trucco volgare per acquistar tempo, o per prepararsi allo scontro; e perciò:
La domanda di dilazione perchè una delle parti possa mettersi in condizione d’impugnare le armi, costituisce un abuso e come tale deve essere, in tesi generale, respinta da qualunque parte essa venga.
Nota. — Se l’offeso, dopo aver lanciata la sfida, domanda la dilazione, si mette nella ridicola posizione di colui che dopo aver richiesta una riparazione per le armi (nella lusinga d’intimorire l’offensore e di indurlo alla scusa), si pente del temerario passo fatto, e piange al momento in cui i rappresentanti gli vengono ad annunciare che il suo cartello di sfida ha ottenuto buona accoglienza. Se l’offeso non sapeva maneggiare le armi, aveva aperta la via ai tribunali. Data la preferenza alla via cavalleresca, doveva assoggettarsi alle consuetudini sue: buone o cattive, non monta. Tra queste non ultima quella che stabilisce: «una vertenza d’onore deve essere risolta nel più breve termine possibile». Non si può pretendere che l’offensore, il quale per esser tale (fu forse provocato) resti settimane, o mesi, con grave danno morale o materiale, a disposizione dell’offeso, che deve apprendere l’uso dell’arme da lui stesso scelta pel combattimento. Sarebbe equa la domanda, obbligatoria la concessione, se la scelta dell’arme spettasse all’offensore; ma, come questa spetta all’offeso, così egli può scegliere la pistola, che pareggia le sorti degli avversari e non pretende studio per essere adoperata efficacemente. Di più; l’offeso può dettare le distanze ed altre condizioni dello scontro e rendere ridicolo un duello che ha tutte le parvenze di un combattimento pericoloso e serio.
Se la domanda viene dall’offensore sarà respinta. Chi offende non ha il diritto di fare assegnamento sulla generosità dell’offeso per apprendere la difesa; il labbro non doveva dire più di quanto il braccio sarebbe stato capace di sostenere.
In senso negativo alla domanda di dilazione per apprendere il maneggio delle armi si pronunciarono: la Corte d’onore permanente di Firenze (maggio 1891) e il Giurì d’onore, presidente Gelli, tenutosi in Bologna nel febbraio 1891.
L’offensore che si trovi già impegnato in altra partita d’onore (art. 122) o in giudiziale dibattimento, in qualità di querelante e parte civile in diffamazione, per offese ricevute e per azione spiegata precedentemente al fatto cui dà luogo la seconda vertenza, può pretendere che lo scontro abbia luogo non oltre le ventiquattr’ore successive a quella in cui il tribunale si ritirò per la deliberazione della sentenza definitiva (Genova, 16 maggio 1893, Giurì d’onore: Mosetig-Bixio).
Se l’offensore, invece di essere querelante, fosse imputato, perde il diritto di cui all’articolo precedente, perchè questa sua qualità, che dipese dal proprio fatto, non può costituirlo in una condizione privilegiata.
Nota. — Il Mosetig (Secolo XIX) querelò in diffamazione Gustavino (Caffaro), autorizzandolo alla prova e costituendosi parte civile.
Il Gustavino querelò Mosetig di diffamazione, autorizzandolo alla prova, costituendosi parte civile.
Il signor Bixio, chiamato da Gustavino a teste nel giudizio unico in cui discutevansi le due querele, diede occasione a un dibattito fra lui e Mosetig. In seguito al quale Bixio, ritenendosi offeso, mandò a sfidare Mosetig. Da qui il Giurì citato all’art. 104.
Il militare, che durante la guerra è assegnato ad un reparto mobilitato, deve chiedere ed ottenere che lo scontro abbia luogo a pace firmata.
Se l’offeso dovesse assistere un parente in primo grado, gravissimamente ammalato; o se potesse provare che prima dell’offesa aveva stabilito d’intraprendere un viaggio, per attendere ad interessi importanti; o che le conseguenze eventuali di un duello immediato potessero compromettere affari di somma importanza, darà subito il cartello e la vertenza avrà il suo corso normale quando gli ostacoli avranno cessato d’esistere.
Nota. — Queste prescrizioni impediscono ad un’anima vile di avvalersi del pretesto di offendere, per provocare una sfida e recare così danno ad un’onesta persona nei suoi interessi e nelle sue affezioni.
Però, questo diritto restrittivo, predicato dall’Angelini (Cap. X, 34°) è una specializzazione inutile, perchè parziale. Evvi una infinità di casi capaci di ritardare il duello, e quindi si deve lasciare all’arbitrio, alla pratica, al buon senso e alla coscienza dei rappresentanti, la facoltà di rimandare lo scontro ad un tempo più o meno lontano, ma determinato.
Sieno, però, circospetti i rappresentanti nell’accordare una dilazione, e sia loro guida principale la reputazione di moralità dell’avversario che la domanda, tenendo sempre presente che il militare appartenente a reparti guerreggianti gode del diritto di risolvere le vertenze, nelle quali fosse attore o convenuto, alla cessazione dello stato di guerra, o per lo meno al momento in cui egli cessa di far parte del reparto guerreggiante. Un permesso (licenza), breve o lungo, non modifica codesto diritto.
Concedendosi una dilazione alla risoluzione della vertenza, dovrà essere fissato in precedenza il termine della scadenza (Corte d’O. permanente di Firenze, 22 agosto 1888).
Allo spirare della dilazione ottenuta, e persistendo le cause che consigliarono i rappresentanti a concederla, l’interessato può domandare una nuova dilazione (Corte d’O. ecc., 22 agosto 1888).
La parte contraria può non concederla, a meno che non si tratti di malattia della parte richiedente (Corte d’O. ecc., 22 agosto 1888).
Se la ragione addotta per ottenere un ritardo allo scontro è una malattia di uno dei contendenti, i rappresentanti si recheranno dall’infermo con i medici delle due parti, per constatare, se colui che domanda una dilazione, sia veramente nell’impossibilità di scendere sul terreno.
Trascorse le quarantott’ore dalla consegna dell’appello, senza che lo sfidato vi abbia risposto, l’ingiuriato può ritenere come negata la riparazione d’onore, e dai propri rappresentanti si farà rilasciare un verbale, che giustifichi la sua condotta. Però, non si dimentichi quanto prescrive l’art. 516 (Angelini, I, 4).
Questo verbale sarà reso di pubblica ragione, se l’offesa fu pubblica, e deve essere redatto in guisa da non cadere sotto il disposto dell’art. 244 del Codice penale1 (si vegga l’art. 516).
Deve negarsi una riparazione ad un gentiluomo che, dopo avere mandato un cartello di sfida, lascia trascorrere un periodo di tempo maggiore a quarantott’ore, prima di far conoscere i propri rappresentanti, salvo il caso di forza maggiore, debitamente comprovata (Corte d’onore, ecc., 22 ottobre 1889; Angelini, I, 4°).
Lo sfidato può rifiutare una ulteriore riparazione allo sfidante, senza esporsi alla taccia di aver profittato del ritardo frapposto dallo sfidante stesso nell’inviare i rappresentanti per sottrarsi alla riparazione domandata, quando lo sfidante non possa giustificare il ritardo frapposto (Corte d’onore, ecc., 22 ottobre 1889; De Rosis, II, 85°-86°).
Nota. — L’offensore per principio non si avvantaggia mai di codesta situazione. Ciononpertanto è dovere dei rappresentanti suoi di ben ponderare se circostanze speciali consiglino ad essere ligi nel rispetto dei diritti del loro rappresentato, il quale non deve assolutamente rimanere a perpetua disposizione di un offeso che... non si decide (v. art. 42, nota).
Note
- ↑ Art. 244 Codice Penale.
«Chiunque pubblicamente offende una persona o la fa segno in qualsiasi modo a pubblico disprezzo perchè essa o non abbia sfidato o abbia ricusato il duello, ovvero, dimostrando o minacciando disprezzo, incita altri a duello, è punito con la detenzione da un mese ad un anno».