Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo VII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Libro I - Capitolo VI | Libro I - Capitolo VIII | ► |
VII.
Nomina dei rappresentanti o dei testimoni1
Se le parole, o i fatti, che si ritengono offensivi, possono prestarsi ad una interpretazione dubbia, s’incarica un amico, possibilmente reciproco, di scandagliare e approfondire l’intenzione del supposto offensore.
Nota. — Siccome a completare, o ad aggravare, o a scusare un’ingiuria, concorrono numerosi e disparati fattori, s’impone la necessità di essere valutati solo da chi, estraneo all’ingiuria, giudica della vertenza senza passione di parte, al solo scopo di conciliare gli avversari, o di limitare i danni che dall’offesa sono derivati, o che potrebbero derivare.
Questi estranei all’ingiuria, che intervengono nella questione per impedire una esagerata interpretazione o valutazione dell’offesa, si chiamano rappresentanti.
Nell’esaminare la causa, della quale sono giudici inappellabili, i rappresentanti non dovranno basare il loro giudizio sulla potenza materiale dell’offeso, nè sulla opulenza sua e tanto meno sulla rinomanza della famiglia, più o meno illustre per gli avi; non sulla posizione sociale dell’offensore; ma sulla essenza della personalità; sulla impronta morale e sulla dignità di chi ingiuria e di chi fu ingiuriato. I titoli alla stima non sono i doni del caso, ma le azioni, le quali affermano il bene reale e il perfezionamento morale dei contendenti.
Talvolta, chi si ritiene offeso chiede direttamente a voce, o con lettera, al presunto offensore chiarimenti o conferma della supposta offesa. Il primo mezzo è biasimevole quanto il secondo, solo perchè possono, irritando la parte contraria, rendere sostanziale una offesa apparente, e impedire che una vertenza di nessuna importanza per l’eccitamento degli uomini volga al tragico. Ma, se codesto intervento diretto è biasimevole, non dà, però, il diritto alla parte avversa di considerarlo come elemento di mancanza all’onore, e tanto meno diritto di respingere la domanda di soddisfazione. Bisognerebbe essere idioti per dare alla forma il valore della sostanza.
Se l’offesa è patente, o se i fatti e le parole si prestano ad una interpretazione offensiva, si nominano due rappresentanti (Châteauvillard. cap. IV, 1°; Viti, art. 9; Bellini, cap. I, III; Angelini, cap. VII, 2°).
Ciascuna parte deve essere rappresentata da due delegati. La domanda di riparazione portata da un rappresentante solo, e le deliberazioni prese con l’intervento di un solo delegato di una delle parti non hanno valore alcuno, a meno di speciale accordo scritto, consacrato in verbale precedente (Châteauvillard, cap. IV, 1°; Viti, art. 9; Bellini, cap. I, III; Angelini, cap. VIII, 2° e cap. IX, 1°, sono dello stesso parere; C. d’O. Livorno, 21 agosto 1821, appellante Maveri)
I rappresentanti devono essere nominati entro ventiquattr’ore dall’offesa, o dal momento in cui si venne a cognizione dell’offesa, o se ne ebbe la conferma (v. art. 58). — Tutti gli autori italiani e stranieri finora citati, i soli che meritano deferenza, sono concordi in ciò.
Se nominati trascorse le ventiquattro ore, l’offeso deve provare che ciò accadde per forza maggiore (così opinò pure la Corte d’onore di Firenze, 28 novembre 1889).
Se nominati dopo le ventiquattr’ore dall’offesa, o dal momento in cui l’offeso venne a cognizione dell’ingiuria, o n’ebbe conferma (art. 38), il supposto o reale offensore, senza venir meno ai suoi doveri di gentiluomo, può respingere l’appello cavalleresco, salvo il caso previsto dall’articolo precedente.
Nota. — Questo sacro diritto fu invocato dai rappresentanti del cav. capitano Fabio Ranzi, allorquando il tenente colonnello Bertotti richiese il Ranzi di riparazione.
In seguito all’uso di codesto sacro diritto, il Ranzi fu sottoposto a Consiglio di disciplina e revocato dal grado. Il fatto destò stupore, poichè le consuetudini cavalleresche non possono, nè devono essere ritenute valide per i gentiluomini che vestono marsina e non valide per quelli che portano uniforme.
Questo fatto anormale ebbe termine, però, col Giurì d’onore del 2 aprile 1911 (composto del tenente generale conte Giacchi, maggiori generali Fadda e Rossi, on. Colonna di Cesaro, on. prof. P. Chiudenti presidente e relatore) il quale riconobbe nel Ranzi tutti i buoni diritti del gentiluomo malgrado i precedenti causati dalla questione Bertotti e da quella col prof. Barone.
Però, è bene qui ricordare che un gentiluomo generalmente non si appiglia alla tempestività o meno della domanda di soddisfazione, a meno gli giunga dopo un certo tempo, perchè in allora è evidente che la domanda non risponde ad un alto senso di decoro dell’offeso; ma è la conseguenza di pressioni ecc. esercitate su di lui da estranei alla vertenza.
Se per una ragione indipendente da lui, l’offensore non trova chi lo rappresenti, pregherà i rappresentanti dell’avversario di persuadere due loro amici di assisterlo. Anche in questo caso vale il disposto dell’art. 62.
Nota. — Qui è utile ripetere: le consuetudini vorrebbero che in caso di assoluto bisogno nessun gentiluomo, se richiesto, dovrebbe rifiutare la propria assistenza ad altro gentiluomo, anche se al richiesto sconosciuto personalmente. L’assistenza cavalleresca è e deve essere riservata agli amici, alle persone che si conoscono, cioè, e che ci sono care.
Quello che poi tocca l’assurdo, si è l’abitudine invalsa di rivolgersi al primo ufficiale incontrato per domandargli che ci rappresenti. Ciò non regge. L’ufficiale è un gentiluomo come tutti gli altri, anzi un gentiluomo tra i gentiluomini, per la divisa che indossa; ma, tra i suoi obblighi speciali nessuno gli prescrive di prestarsi a fare da padrino al primo capitato.
Nel fine di evitare possibili obiezioni, i rappresentanti, accettando l’incarico, devono essere muniti di una lettera di nomina.
La lettera di nomina deve contenere in succinto, ma tassativamente, le ragioni vere dell’appello, e non vuol essere confusa con la domanda di riparazione.
I rappresentanti non devono, nè possono accettare di portare un cartello di sfida, nel quale non sieno riassunte le vere e precise ragioni dell’appello, altrimenti può non essere accolto dallo sfidato (art. 86, 87, 119, 153, 225); e tanto meno accetteranno di portare un cartello, nel quale sieno contenute parole o affermazioni offensive per reale o supposto offensore. Ciò sarebbe disonesto, e chi se ne rendesse colpevole perderebbe la qualità di gentiluomo.
Nota. — Il Giuri d’onore in causa De Biase-Masiello-Ciullini, Firenze, 15 febbraio 1888, e il Bellini, Cap. I, II, confermano questo asserto; e Giurì d’onore, appellante Gelli, Milano, 1904. — L’Angelini e il Du Verger du Saint-Thomas vogliono che il cartello sia scritto e che contenga le ragioni dell’appello, nell’intento di provare esattamente e la domanda della soddisfazione, e l’ora della domanda, ecc., nel fine di evitare contestazioni, mentite e dibattiti inopportuni. Sulla forma poi del cartello i due autori parlano ancora più chiaramente; e dopo aver dimostrato la necessità morale della correttezza nella forma, biasimano con parole gravi l’operato di coloro che, inesperti del vivere civile e dei doveri che l’educazione impone ad ogni gentiluomo, si fanno lecito d’inserire nel cartello di sfida, o nelle lettere di nomina a rappresentanti, parole o affermazioni che possono ledere l’amor proprio, o l’onore, o l’onestà dello sfidato. Chi opera in tal guisa è un mascalzone, e chi riceve comunicazioni di tal fatta, ha il sacrosanto diritto di respingere il cartello, e anche di reagire con la violenza contro codesti volgari, ignoranti e falsi gentiluomini. Tutto ciò che tocca la cavalleria deve essere corretto sino allo scrupolo; nè la domanda di una soddisfazione deve assumere il carattere di grave provocazione novella.
Felice Cavallotti, che in fatto di pratica cavalleresca fu maestro ai maestri, in una sua lettera del 26 ottobre 1880 (Rivista di Roma, novembre 1904), narra come egli accolse una lettera di sfida ingiuriosa direttagli dal conte Nasalli.
«A seguito delle mie dichiarazioni il tenente Araldi, uno dei due padrini, dichiarossi latore di una lettera del suo rappresentato capitano Nasalli. Alla mia immediata domanda se era offensiva, risposto che sì, io replicavo che gli inibivo di leggerla, dandogliela per letta, e ritenuto che qualunque parola del Nasalli non sarebbe stata più altro rilevata da me; che per solo riguardo ai latori, trovantisi in casa mia, non la laceravo sotto i loro occhi, e mi accontentavo senza leggerla di bruciarla».
I rappresentanti non accettano di portare la provocazione inviata in nome di più persone; e pena la squalifica, la domanda di riparazione inviata da un padre, da un figlio, o da un fratello, al figlio, al padre, al fratello; o da un parente, o da un amico di colui che è stato ferito, o ucciso in uno scontro, nel quale furono osservate le leggi dell’onore (art. 225), o dagli interessati direttamente o indirettamente in una vertenza all’arbitro, o ad uno, o a tutti i componenti un giurì, per cose che abbiano una qualsiasi relazione con la vertenza giudicata (Angelini al cap. I, 2°; Giurì d’onore, appellante Gelli, 10 novembre 1900).
Nota. — Lettera di nomina a rappresentanti:
Milano 18 ore
- Signori A. B.
Ritenendomi offeso dal signor D. (motivazione dell’appello), Vi prego di volermi rappresentare presso la controparte, allo scopo di ottenere spiegazioni in rapporto ai fatti accennati e, se del caso, una soddisfazione, o una riparazione atta a salvaguardare il mio onore. — Ringraziandovi, ecc.
(firma) C.
È opportuno ricordare che il cartello di sfida è sostanzialmente cosa diversa dalla lettera di nomina a rappresentanti. Questa fa fede dell’incarico dato dall’appellante; quello è il documento nel quale sono raccolti i precisi termini delle ragioni d’appello, e le domandate soddisfazioni.
Alla comunicazione della lettera di nomina deve seguire immediatamente la consegna del cartello di sfida; senza di che il supposto offensore dovrà ritenere la comunicazione ora detta, — come una dimostrazione platonica di risentimento e un pio desiderio di soddisfazione.
Mancando quindi il cartello di sfida si dovranno applicare gli art. 116 e 117.
Note
- ↑ Gelli, Manuale del duellante, parte terza: Scelta e missione dei rappreientanti.