Codice cavalleresco italiano/Libro II/Capitolo I

Sfida e sua forma

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Libro II Libro II - Capitolo II

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I.

Sfida e sua forma.

ART. 115.

Il cartello di sfida è quel documento, sotto forma di lettera, col quale, esponendo tassativamente le ragioni, chi si ritiene leso nell’onore chiede una soddisfazione al supposto o reale offensore. Il cartello di sfida scritto talvolta è sostituito nelle vertenze lievi dalla sfida comunicata verbalmente all’avversario dai rappresentanti dello sfidante, il quale può esigere il cartello scritto (conforme agli art. 67, 119, 153 e 240 k.) per ovviare alle innumerevoli contestazioni che dalla sfida verbale derivano, e che si evitano appunto con la domanda scritta.

Nota. — Opinarono così pure: Viti, art. 5; Bellini, I, 1°. La domanda di soddisfazione scritta è da preferirsi alla richiesta orale, perchè non tollera dubbi, nè equivoci, nè malintesi, ecc.

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Del resto, siccome il supposto offensore è in pieno diritto di pretendere la richiesta scritta, così, è sempre meglio e più pratico portarla seco e consegnarla, per non fare due volte la strada e per evitare discussioni inutili (v. articoli 67 e 117).

ART. 116.

La dichiarazione di un gentiluomo di mettersi a disposizione di un altro gentiluomo non costituisce sfida, nè come tale deve essere considerata.

Nota. — In questo senso si pronunciò pure la Corte d’onore permanente di Firenze, 27 agosto 1888, appellante L. Sestini; e così pure opinò Bellini, II, I. La domanda di soddisfazione (sfida), come ogni altro atto che si riferisce ad una vertenza d’onore, deve essere precisa, chiara, indubbia. E perciò l’affermare: «Sono a sua disposizione» ed espressioni consimili, devono considerarsi sempre come parole vuote di significato. Chi ha offeso o chi si sente offeso deve dare o chiedere la soddisfazione legittima nelle forme non dubbie stabilite dalle consuetudinarie leggi d’onore.

ART. 117.

Così, se un gentiluomo viene a conoscenza che un eguale ha dichiarato di mettersi a sua disposizione con un mezzo che non sia una vera e propria domanda di soddisfazione, non deve considerarsi sfidato e tanto meno in obbligo di nominare due suoi rappresentanti.

Nota. — Opinione espressa pure dalla Corte d’onore permanente di Firenze, verdetto 27 aprile 1888, appellante L. Sestini. A conferma dell’asserto, ecco ripetuta una massima di giurisprudenza sul duello più nota dei boccali di Montelupo: «La sfida deve essere espressa in termini categorici, altrimenti non è che un semplice avvertimento» (Reggio, R. giur., Bologna 1891, 143).

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ART. 118.

Chi manda a sfidare deve munire i suoi padrini di una lettera di sfida e di una lettera di nomina a rappresentanti.

Nota. — La lettera di sfida è una domanda di soddisfazione e non di riparazione. Redatta in forma educata e quale a gentiluomo si conviene, non deve contenere frasi capaci di offendere chi la riceve. Qualora vi fossero inserite, il ricevente ha il diritto di respingerla e di licenziare, anche con violenza, i rappresentanti sì poco accorti. Veggansi pure: Bellini, V, II; Angelini, X, 2°; Du Berger, Châteauvillard, ecc., già citati altrove. Qualunque eccezione che il supposto o reale offeso possa avanzare a danno dell’offensore, deve farsi dai rappresentanti ai rappresentanti avversari. Chi sfida e avanza nel cartello di sfida la indegnità, p. es., dello sfidato, fa la figura di un coniglio, che ha voluto rappresentare per un momento la parte del.... leone.

Ad evitare, dunque, inutili complicazioni in una vertenza, la lettera di sfida sarà concepita nei termini seguenti:

Lettera di sfida.

Il sottoscritto, ritenendosi offeso dalla S. V., perchè (esporre le ragioni) ha pregato i signori A. e B. di chiederle in suo nome una spiegazione, una ritrattazione o una riparazione, a seconda di quanto crederanno, per la tutela del suo onore.

Avendo i sunnominati signori, accettato questo mandato, la S. V. vorrà considerarli quali rappresentanti del sottoscritto e muniti all’uopo di pieni poteri.

                                                                                                    Firma.

Al Signor N. N.
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ART. 119.

Nel cartello di sfida devono essere chiaramente e tassativamente determinati i fatti che provocarono la sfida.

Nota. — Così sentenziò il Giurì d’onore nella vertenza Di Biase-Masiello-Ciullini, Firenze, 15 febbraio; vedi articoli 66-86 e 152. E di tale opinione sono pure Gelli, articoli 150 e 225; Viti, art. 5, d); Bellini, II, I e V, II; De Rosis, III, 6°. Ed è appunto per codesta precisione dei fatti che si evitano discussioni inutili e s’impedisce quella irritazione, che finisce quasi sempre ad impedire la soluzione pacifica, onesta e leale delle vertenze.

ART. 120.

Trovati gli amici che accettano di rappresentarlo, l’offeso deve munirli di pieni poteri e mettersi a loro completa disposizione; ai rappresentanti spetta tutta la responsabilità dell’onore e della vita del rappresentato.

ART. 121.

I rappresentanti devono, perciò, esigere che nel cartello di sfida risulti che sono muniti di pieni poteri. Se questa delega manca, essi devono rifiutarsi di portare il cartello di sfida.

Nota. — Così opinano pure: Bellini, VII, III; Angelini, X, 2°. I pieni poteri devono risultare in modo chiaro e positivo dalla lettera di nomina, e non devono essere soggetti a dubbi di sorta. Altrimenti il mandato non sarà considerato illimitato. Così, ad esempio, se l’offeso dicesse: «Vi do il più ampio mandato per ottenermi una soddisfazione anche per le armi»; il mandato sarebbe imperativo come se dicesse «vi do il più ampio mandato per [p. 67 modifica]ottenermi una riparazione con le armi»; ciò che escluderebbe ogni altra soluzione.