Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo IV
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IV.
Indegnità cavalleresca.
Se, discutendosi della vertenza, si accusasse una delle parti di fatti che, se veri, lo priverebbero delle prerogative cavalleresche, sarà sospesa ogni discussione e la parte accusata chiederà l’appello ad un giurì d’onore per essere giudicata.
Nota. — Di massima non si discute mai la degnità cavalleresca dell’offeso gratuitamente, e cioè, senza provocazione apparente o reale da parte dell’offeso. Si discute sempre la posizione cavalleresca dell’offensore, anche nei rapporti dell’offesa; e perciò è prescritto che:
Il primo atto da compiersi dai rappresentanti le parti contrarie è quello di determinare quale fra i due contendenti è l’offeso e quale l’offensore (art 6); e se l’offesa fu o no provocata (art. 9) (C. d’On. Livorno, 25 marzo 1922; Bari, 3 maggio 1922).
All’offeso senza provocazione è dovuta sempre, senza discussione o eccezione di sorta, una soddisfazione, qualunque sia la sua posizione di fronte al Codice cavalleresco (C. d’On. Firenze, 22 ottobre 1899: Bari, 9 maggio 1922; Roma, 5 giugno 1922).
Nota. — Se così non fosse, e la soddisfazione venisse negata sotto lo specioso pretesto che l’offeso è un indegno, si ammetterebbe che l’offensore non è un uomo onesto.
Egli offese solo perchè credeva di avere tanto di buono in tasca da neutralizzare la domanda di soddisfazione (C. d’O. Firenze, 22 ottobre 1899; Bologna 5 maggio 1893; Milano, 4 novembre 1900).
Non è lecito all’offensore non provocato di sollevare eccezioni o pregiudiziali di indegnità, se questa non resulta da una precedente sentenza del Magistrato, o da un lodo di un giurì d'onore, o da un verbale dei quattro rappresentanti, o dei rappresentanti dello squalificato (C. d’On. Firenze, 22 ottobre 1899; Bari, 3 maggio 1922; Roma, 5 giugno 1922).
Nota. — Qui è opportuno ricordare che, contro il principio di dovere una soddisfazione allo squalificato, il rappresentante, e specialmente il giurì, devono esaminare con la massima oculatezza se l’offeso, già squalificato, non abbia con mezzi diretti o indiretti, o con artifizio messo l’offensore nella condizione di offenderlo senza provocazione, nel fine subdolo di rifarsi una verginità cavalleresca, procurandosi una vertenza con un gentiluomo, sebbene un duello in tali condizioni non riabiliti affatto, e tanto meno cancelli la squalifica esistente.
Tal’altra, lo squalificato sfida per un motivo insussistente, allo scopo di ottenere la negazione dell’offesa, onde far credere al grosso pubblico che lo sfidato ha ritrattato l’offesa e che lo sfidante è un gentiluomo indiscusso.
Ma se la presunta indegnità si fonda sulla sentenza del Magistrato, l’imputato ha l’obbligo di presentare la sentenza relativa nel fine di determinare se trattasi di presunzione o di realtà.
I verbali di squalifica sono nulli quando non vi sono esposte le ragioni della indegnità; e non sono validi se mancano della firma di uno dei rappresentanti, poichè essi assumono tutta la responsabilità della decisione presa (C. d’On., Livorno, 25 agosto 1921; Roma, 5 giugno 1922).
I rappresentanti di una parte non possono squalificare di loro arbitrio il primo avversario, o considerarlo squalificato, se la squalifica non resulta come è detto all’art. 223 e.
Un primo può, invece, essere squalificato dai propri rappresentanti o testimoni; ma egli ha il diritto di appellarsi ad un giurì bilaterale, o unilaterale, se i suoi rappresentanti o testimoni rifiutassero il loro concorso alla formazione del giurì bilaterale.
Un giurì, investito di decidere una pregiudiziale, non può pronunziarsi su di essa, se prima i rappresentanti non hanno attribuito la qualità di offeso con o senza provocazione (C. d’On. Livorno, 25 marzo 1922; Bari 3 maggio 1922; Roma, 5 giugno 1922).
La presunzione della indegnità cavalleresca non esime dall’obbligo della soddisfazione dovuta all’offeso, che non ha provocato (C. d’On. Firenze, 22 ottobre 1899; 25 maggio 1922; Bari, 3 maggio 1922; Roma, 5 giugno 1922).
Un giurì d’onore può assumere la presunzione d’indegnità per un giudizio successivo o contemporaneo, ma separato, alla vertenza in essere; ma non come elemento decisivo nel senso dell’art. 223 e succ. (C. d’On. Milano, 4 novembre 1910; Bari, 3 maggio 1922; Livorno, 5 marzo 1922; Roma, 5 giugno 1922).
Nota. — La presunzione non è elemento probatorio; e perciò per indegno si intende sempre colui che è già squalificato all’atto dell’offesa.
La presunzione potrà essere addotta per un giudizio successivo nel fine di stabilire, se del caso, la decadenza avvenire dell’offeso dalle prerogative cavalleresche. Ciò è logico. La presunzione della indegnità cavalleresca dell’offeso può cedere di fronte alle prove contrarie raccolte pel suo giudizio dal giurì d’onore.
La stessa presunzione, però, non consente, semprechè la buona fede sia manifesta, la perdita delle prerogative d’onore in chi offese prima e presunse poi la indegnità dell’offeso. Ed infatti una Corte d’onore di Milano il 4 novembre 1900 statuì:
a) Se l’offeso non fu provocatore, e se l’offensore presumeva che l’offeso non fosse degno di trattare vertenze d’onore, la sospensiva delle prerogative cavalleresche dovrà limitarsi alla sola vertenza in essere.
b) Se, invece, l’offensore senza provocazione fosse stato a conoscenza che sull’offeso gravava già un atto indiscutibile di squalifica, se si esclude la buona fede, la sospensione a suo riguardo delle prerogative cavalleresche potrebbe essere pronunziata per un tempo determinato, conforme la coscienza dei giudici.
c) Se la premeditazione di offendere per dispregio chi si sapeva già squalificato da un precedente deliberato, la squalifica dell’offensore dovrà dichiararsi permanente.
Nota. — È ritenuto saggio non sollevare eccezioni di indegnità sino a quando non sono stati costituiti i rappresentanti. Quando questi si saranno riuniti per discutere sull’appello dell’offeso, e per chiarire la posizione cavalleresca degli avversari, qualora fosse impossibile addivenire ad una giusta ed onesta soluzione pacifica della vertenza, si potrà richiamare l’esame della parte contraria sulle doverose eccezioni a carico di uno dei rappresentati. Se l’accusato non potesse a mezzo dei suoi rappresentanti dimostrare la infondatezza delle eccezioni, si ricorrerà a un giurì bilaterale (o unilaterale, se l’accusato rifiutasse il suo concorso alla formazione del bilaterale), con il mandato di esaminare la posizione dei contendenti e decidere in modo esauriente sulla onorabilità cavalleresca dei medesimi e sulla vertenza in essere.
Nessuna delle parti rappresentate può rifiutarsi di aderire alla domanda della controparte di sottoporre l’accusa di indegnità ad un giurì d’onore. Se il rifiuto si parte dai rappresentanti della parte accusata, verrà considerato: «conferma dell’accusa»; «ritrattazione dell’accusa», se il rifiuto viene dalla parte accusatrice (Giurì d’onore, 5 luglio 1893, Genova).
I rappresentanti dell’offeso sull’onore e sulla responsabilità loro, possono rifiutarsi di consegnare un cartello di sfida all’offensore, qualora loro consti in maniera positiva, e sia materialmente provato, che è indegno di trattare una vertenza d’onore (v. articolo 223 e segg.) (Giurì d’On. Genova, 5 luglio 1893).
In tal caso i rappresentanti dell’offeso sono in obbligo di rilasciare una dichiarazione al loro rappresentato. Di questa, che deve essere comunicata alla controparte, essi assumono ogni e qualunque responsabilità. L’offeso a sua volta si potrà appellare alla Corte d’onore.
L’accusa d’indegnità deve essere espressa in modo chiaro preciso e dettagliato in scritto dall’accusatore e controfirmata dai suoi rappresentanti, che ne assumono la responsabilità; altrimenti verrà ritenuta infondata l’accusa addotta per sfuggire alla soddisfazione richiesta.
Nota. — Così il Giurì d’onore, Firenze, maggio 1889 — giudici: Gen. Michelozzi; presidente: Col. Torre; Colonn. mar. Tolomei; mar. di Laiatico, Grande scudiere di S. M. ; Comm. J. Gelli, relatore.
Anche Bellini, II, V, e le C. d’O. Bari, 3 maggio 1922, pres. Gelli, confermarono questa massima.
Nel caso di avanzata accusa di indegnità, è obbligo dell’attore di fornire le prove dell’accusa entro ventiquattr’ore dalla sospensione delle trattative; trascorse le quali, se le prove non furono depositate, la vertenza sarà troncata e il duello non avrà più luogo. La parte accusata pubblicherà allora il verbale, nel quale si farà risultare che l’accusa di indegnità venne lanciata alla parte avversaria forse come pretesto per evitare il duello. Però, quando la vertenza viene sottoposta al giudizio della Corte d’onore, codesta accusa non ha più effetto cavalleresco e sarà sollevata solo nel fine di provare la moralità delle parti.
Nota. — I Giurì d’onore riunitisi, per appello Gelli, a Novara, Genova, Milano, Torino, Firenze in giugno 1893, in seguito alla vertenza Finzi-Intra di Mantova, confermarono lo stesso principio, che ottenne 98 voti e 2 astenuti, su cento gentiluomini interpellati, come ho detto nella nota all’art. 222 bis.
In massima, entro le ventiquattr’ore devono essere fornite le prove dell’accusa. Ciò non toglie che le parti, specialmente quella accusata (se ha la coscienza tranquilla), possano accordarsi reciproche dilazioni per raccogliere tutto quanto possa stabilire i fatti pro e contro l’accusa lanciata.
Trattandosi della indegnità cavalleresca, alla parte accusata sono concesse quarantott’ore, a partire dalla comunicazione delle prove d’accusa, perchè si provveda delle controprove.
Nota. — Questo principio, confermato dalla Corte d’onore permanente di Firenze con lodo dell’agosto 1899, non viene quasi mai osservato, con grave danno della giustizia e delle persone oneste. Quando si accusa s’ha d’avere in mano le prove dell’accusa. Codeste prove devono essere comunicate alla parte accusa, per costituire la difesa propria, altrimenti l’accusa può assumere il carattere di una pugnalata alle spalle (v. nota art. prec.).
Trascorse le quarantott’ore senza che la parte accusata abbia prodotto i documenti contradditori all’accusa, i rappresentanti della parte accusatrice possono ritenere esaurita la vertenza; a meno che le circostanze e la coscienza consiglino di concedere una nuova dilazione (C. d’On. di Firenze, agosto 1888).
La mancata presentazione di prove dell’accusa nel tempo convenuto dà diritto ai rappresentanti dell’accusato di giudicare l’avanzata accusa d’indegnità come un pretesto per sfuggire al duello.
Nota. — Si pronunciarono in questo senso anche Bellini, De Rosis, Angelini, Tavernier, Gelli, Giurì d’onore; Milano, Venezia, Torino, Genova, giugno 1893, appellante Gelli.
Se l’accusa d’indegnità, o di incompatibilità, è diretta ad uno dei rappresentanti, questi è in obbligo di ritirarsi per non creare difficoltà nelle trattative della vertenza. Esaurita la quale, l’accusato si rivolgerà ad una giurìa d’onore, perchè, provando la falsità dell’accusa, gli permetta di agire come a gentiluomo offeso si conviene.
Quando, però, si avesserò elementi sufficienti per provare che l’eccezione di indegnità fu sollevata per liberarsi da un rappresentante molesto alla controparte, il giurì sarà richiesto prima della soluzione della vertenza discussa.
Nota. — In massima, solamente i giudici costituiti per forza di legge, o nominati per libera elezione delle parti interessate in una vertenza d’onore dichiarano indegni i cittadini, che la Giustizia ha colpito con pene infamanti, o che per altre mancanze all’onore sono stati colpiti di squalifica da un lodo cavalleresco. Però, subordinatamente, la società può ritenere indegni di trattare vertenze d’onore anche coloro che senza esser caduti sotto l’azione del Codice, avendo eluso la legge, hanno notoriamente commesso atti indelicati.
Ad eccezione di questa notorietà ammessa, nessun individuo è in diritto di invocare un verdetto d’indegnità contro chicchessia. Giudicata dal punto d’onore, solo l’azione qualificata indelicata rende indegni delle armi: ma, colui che promuove l’accusa, è in obbligo di fornire la prova che l’azione indelicata veramente fu commessa e non fu attribuita all’accusato per odio di parte o per altra causa.
Se la parte accusatrice si rifiutasse di adire al giudizio di un giurì o della Corte d’onore; ovvero, se tentasse in qualsiasi modo di renderne impossibile l’appello, la costituzione o il compito; la parte accusata è in pieno diritto di appellarsi al giudizio dei gentiluomini o della Corte d’onore, anche senza l’intervento della controparte.
Nota. — I Giurì d’onore, Milano, Torino, Genova, Novara, Firenze, Venezia, Mantova, Verona, Napoli, Roma, Livorno, costituitisi ad istanza del Comm. J. Gelli nel maggio e nel giugno 1893, si dichiararono favorevoli alla opinione espressa in questo articolo.
Se si negasse al gentiluomo il diritto di appellarsi alla Corte d’onore, o secondo i casi, ad un giurì unilaterale, cioè nominato esclusivamente dai suoi rappresentanti, o su richiesta loro, da persone occupanti cariche pubbliche, si permetterebbe alle canaglie ed ai bricconi di rovinare le più stimate ed onorate reputazioni. È accaduto più d’una volta che tre birbaccioni, travestiti da gentiluomini, si sono messi d’accordo per formulare una calunnia odiosa contro una persona a modo, dall’onore intemerato.
Il calunniato manda a sfidare il calunniatore: questi, per mezzo dei suoi complici e rappresentanti, dichiara che lo sfidante è indegno di trattare una vertenza d’onore per «la calunnia dallo sfidato stesso propalata». L’accusato di indegnità, sentendosi sicuro della onoratezza di ogni sua azione, domanda l’appello ad un giurì d’onore.
Gli accusatori vi si rifiutano; o con raggiri impediscono il giudizio del tribunale cavalleresco, allo scopo di lasciare l’accusato nella impossibilità di difendersi, e quindi sotto il peso della calunnia.
Per combattere codesta triste genia di cavalieri dell’infamia, abbietti e codardi: per tutelare l’onestà di un gentiluomo, i giudizi di Corti e giurì mi confortarono a sostenere per primo in questo Codice, che l’accusato d’indegnità, a cui venisse negato, o si tentasse d’impedire la prova della propria innocenza, ha il diritto di appellarsi ad un giurì unilaterale, nominato dai suoi rappresentanti, o da autorità costituite, tra i cittadini godenti ottima reputazione, e possibilmente esperti in materia di onore. Ma, se anche questo diritto venisse contrastato, si farà appello alla Corte d’onore, che ha i mezzi opportuni per costringere gli accusatori alla prova.
Se il verdetto emesso dal giurì d’onore è favorevole all’accusato, senza però dichiarare definita la vertenza, si riprenderanno le trattative della medesima nelle 24 ore successive alla comunicazione del verdetto, sempre quando sia provata la buona fede dell’accusatore.
Se il verdetto emesso dal giurì d’onore fosse contrario alla moralità dell’accusato, verrà redatto apposito verbale, da consegnarsi alla contro parte (accusatrice) e la vertenza sarà ritenuta esaurita per la parte cavalleresca.
All’offeso resta sempre la facoltà di appellarsi, secondo i casi, al Tribunale ordinario o alla Corte d’onore, se l’offensore, dichiarato indegno, si rese colpevole d’ingiurie, che presentassero carattere criminoso.