Ciuffettino/Capitolo XII
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XII.
Il giorno dopo, verso il tramonto, Ciuffettino e il cane giunsero ad un crocicchio, al quale mettevano capo quattro strade. Una di queste, innalzandosi su le pendici de’ colli, serpeggiava e si perdeva in alto, fra il verde delle pianta.
Il cane la indicò a Ciuffettino.
— Ecco - disse.
— Che cosa?
— La via di Cocciapelata.
— Oh! guarda! ci siamo di già... - mormorò il bambino, sorpreso.
— Sicuro: e fra un paio d’orette, camminando lesti, arriviamo a casa tua...
Ciuffettino si grattò un orecchio.
— Un paio d’ore sole?
— Poco più, poco meno.
— Senti, senti!
E ci fu un lungo silenzio.
— Andiamo? - fece il cane. - Per essere un bambino sperduto, hai una bella fretta di rivedere il tu’ babbo e la tu’ mamma!
Ciuffettino si diede un’altra buona grattata all’orecchio.
— Egli è, vedi, che per l’appunto, mi son dimenticato di una cosa.
— Che cosa?
— Che tra poco è sera...
— Ebbene?
— I miei vanno a letto con le galline...
— Non capisco... Che c’entra?
— C’entra sicuro: mi dispiace di andarli a svegliare.
— Per una volta tanto!
— Eh! tu dici bene; ma se tu sapessi che benedett’omo gli è il mi’ babbo!
— Sarebbe capace di strillarti?
— Purtroppo!
— Eh! via! dopo tanto tempo che non ti vede!... avrà il cuore grosso grosso, poveraccio... via... via... andiamo... te ne trovarai contento...
Ciuffettino nicchiava.
— E per quella strada lì in faccia, dove si va? chiese dopo un istante.
— In un paesello su la riva del mare...
— E’ lontano?
— Che! appena un mezzo miglio...
— Chi sa che bel paese!...
— Uhm! ci sono stato una volta col mi’ padrone e non m’è parso nulla di straordinario...
— Ma tu, scusa se te lo dico, sei un cane, e i cani certe cose non le possono capire... Io, per esempio, lo vedrei volentieri, quel paese...
Ciuffettino si tacque, e tese l’orecchio. Gli era parso di udire come un lontano frastuono composto di squilli di trombe, di colpi di grancassa e di grida umane.
— Senti, Melampo!...
— Si vede che al villaggio c’è la musica...
— Che bella cosa!...
— Il sole sta per calare... andiamo, Ciuffettino, via...
Il cane e il ragazzo fecero qualche passo su la via di Cocciapelata: ma, ad un tratto, Ciuffettino si fermò, e disse risolutamente:
— Oh! io voglio andare a sentire la musica. Oramai, per tornare a casa è tardi. Domattina, all’alba...
— Per tornare alla propria casa, quando si è pentiti del male fatto, non è mai tardi - sospirò il cane.
- Anch’io, se quand’ero cucciolo non fossi fuggito dalla mia famiglia...
— Tutte storie. In fin dei conti la famiglia è una tirannia bella e buona!
— Ma se tu stesso ieri dicevi che volevi tornare a tutti i costi presso il tu’ babbo...
— Lo dicevo.. lo dicevo sicuro! Ma adesso voglio andare a sentire la musica.
— Ciuffettino, da’ retta a chi ti vuol bene... torna a casa.
— Stasera no: domattina.
— Ciuffettino, sii buono: pensa che spesso, nella vita, certe leggerezze si pagano care.
— Caro Melampo, sei proprio un cane uggioso, o se seguiti, sarò costretto a pregarti di andartene per i fatti tuoi...
Melampo si asciugò con la zampa una grossa lacrima.
— Ciuffettino, te ne pentirai...
— E seguita!...
— Fa’ quel che ti pare, ma te ne pentirai.
Quella birba alzò le spalle, e, dopo un momento di indecisione, prese la strada che andava al villaggio sul mare.
Man mano che Ciuffettino si avvicinava, il frastuono si faceva maggiore. La quiete solenne del tramonto ne era turbata.
Peperepepepè!.. peperepepepè!.. pum! pum! pum!
— Ma che ci sarà? - si chiese Ciuffettino - un circo equestre?... oppure una giostra meccanica?... o un museo di figure di cera?...
E si mise a correre con tanta velocità, che Melampo, per gli anni e per gli acciacchi, rimase indietro un bel pezzo. Ed ecco Ciuffettino alle prime case del villaggio.
Da un lato, su di una montagnola, si ergeva una gran baracca di burattini: intorno si affollavano i bambini, gridando e schiamazzando; dall’interno partivano i suoni discordi delle trombe e dei pifferi e i tonfi sordi della grancassa, abbozzanti una specie di marcia guerresca, che avrebbe fatto accapponare la pelle a un elefante.
Il nostro eroe fece una capriòla.
— I burattini! ci sono i burattini! che bella cosa! era tanto che mi struggevo di assistere ad una rappresentazione di burattini!
E si mischiò alla folla.
Un ragazzo, su la porta della baracca, gridava con voce stentorea:
— Venghino, signori! un ultimo colpo di musica, e si va dar principio alla rappresentazione strasordinaria. Loro vedranno la gran tragedia delle avventure inconcepibili del terribile Orlando a Roncisvalle, che va a liberare la sua propria fidanzata e sposa dalle spire del mostro marino, con Arlecchino servo fedele e Brighella spaventato dal serpente rosso. Loro vedranno le più grandi scene con combattimento a fuoco ed arma bianca inclusive, nonchè le gesta del cavaliere Ispano oste degli infedeli, che uccide i maghi e le streghe come fossero mosche cavalline e, viceversa, tutti gli spiriti infernali dell’emisfero settentrionale. Cinque soldi i primi posti, due soldi i secondi... Avanti, avanti!... venghino, signori...
Ciuffettino brontolò:
— Ah! se avessi un paio di soldi...
Si frugò in tasca, instintivamente, e non trovò che delle briciole di pane e un’ala secca di farfalla.
I ragazzi del paese, a frotte, entravano nella baracca. E Ciuffettino, guardandoli:
— Quelli si che son fortunati!... E a me, invece, mi tocca di star qui con l’acquolina in bocca... Figuriamoci come deve esser bella quella tragedia!... Orlando a Roncisvalle!... con il mostro marino e Brighella spaventato dal serpente rosso!... chi sa che scenari! E poi il cavaliere Ispano! Quel cavaliere Ispano che fa l’oste... Ah! se avessi dei soldi...
Salì pian pianino la scala di legno all’entrata della baracca, e dirigendosi al ragazzo del burattinajo, chiese timidamente:
— Potrei passar anch’io a veder la tragedia?..
— Sicuro, gua’! - rispose il ragazzo, squadrando Ciuffettino da capo a piedi - basta che tu paghi...
— Ecco - fece il nostro eroe imbarazzato - gli è appunto questo che non vorrei...
— Allora, fa’ una cosa; va’ a spasso e la tragedia figuratela... La tragedia costa due soldi...
— A dirtela proprio schietta, i due soldi mi incomodano...
— Se ti incomodano, dalli a me.
— Oggi per l’appunto non ce li ho.
— E allora, te l’ho detto: la tragedia la sentirai quest’altra volta...
— Ma io voglio entrare. Ti offro, in pegno, il mio cappello...
— Grazie, gli è troppo bellino!
— Allora, tienti la giubba...
— Con tutte quelle toppe?
— Io voglio entrare, ecco! Mi basta di sentire una scena...
— Nemmeno per sogno...
— Neanche per idea...
— Due atti, via...
— Ma che sei, sordo?
— Lo dici a me, sordo?
— Già, a te... proprio a te! e levati di torno se non vuoi che ti gonfi il muso di scappellotti!...
A queste parole, Ciuffettino, cieco di rabbia, si avventò sul nemico, e cominciò a tirar calci e pugili come un ossesso. L’altro, per un poco rimase sbalordito, ma poi, sentendosi picchiare a quel modo, Il Teatro dei Burrattini. divenne addirittura feroce. I due avversari si acciuffarono, e a furia di divincolarsi, di indietreggiare, inciamparono in una sedia e caddero sul tavolato: poi, sempre lottando, ruzzolarono in platea. Figuratevi il putiferio dei ragazzi colà adunati per la grande rappresentazione!...
Orlando, che aveva cominciato a piangere su i casi della bella fidanzata e stava lanciando invettive ai perfidi maganzesi, dovè troncare a un tratto una scena madre, restando immobile, con le braccia penzoloni, le gambe in aria, in balìa dei nemici miscredenti,
perchè il burattinaio, attaccandolo ad una quinta precipitosamente, si era gettato fuori dell’usciòlo del palcoscenico.
— Che cos’è - urlò il burattinaio con un vocione da orso malato ai bronchi - che è successo? Chi è che fa tanto chiasso? Ora vi accomodo io...
Bisogna sapere che quel burattinaio si chiamava Spellacane, ed era il terrore dei poveri burattini, e lo spavento dei ragazzi del paese.
Vestiva sempre di una giubba color di fuoco, di un paio di calzoni neri e gialli, e portava un gran cappellaccio a cencio ornato di una penna di airone tutta spelacchiata. La faccia non sarebbe sembrata brutta, non guardando gli occhi loschi, il naso rosso e pieno di bitorzoli, la bocca larga e sdentata, le guancie tutte sparse di rughe e di crepature, come la corteccia di certi vecchi alberi, e irte di peli somiglianti a setole di maiale. Il brav’uomo, in compenso, era calvo, e possedeva due orecchie monumantali, a ventola; ma, in fondo, ripeto, non poteva dirsi proprio brutto. Era soltanto schifoso.
Dopo gli urli di Spellacane, nella platea ci fu un gran silenzio.
— Dunque - ripetè il tremendo uomo, facendo scricchiolare i tre denti e mezzo che gli erano rimasti - si può sapere?...
— Padrone - esclamò l’avversario di Ciuffettino con voce piagnucolosa - è tutta colpa... di un ragazzo... che.... voleva.... che voleva entrare.... in teatro.... senza so... senzo so... ih! ih!
— Finisci!
— Senza soldi! ih! ih!
— Dov’è? dov’è? - ruggì Spellacane, girando gli occhioni loschi, intorno - dov’è? che me lo mangi vivo!
Ciuffettino si era nascosto sotto una sedia, e non fiatava.
— Gli è lì sotto - disse il ragazzo del burattinaio, indicando la sedia.
Gli spettatori della tragica scena fremettero.
— Ora lo ingoia con il vestito e tutto! - bisbigliò uno.
— Ma che! se lo beve stasera nel vino - disse un altro.
— Lo butta nel fuoco! - aggiunse un terzo.
Spellacane andò ad acchiappare Ciuffettino.
— Ah! tu volevi entrare a ufo nel teatro!
— Io? no! volevo... ecco... non si arrabbi senta...
— Ho capito tutto. Ci penso io.
— Io dovrei andare a Cocciapelata...
— Eh, per adesso a Cocciapelata non ci vai! Come ti chiami?
— Ciuffettino, per servirla.
— Con me non si scherza, sai, Ciuffettino. Io sono il terribile Spellacane!
— Ci ho tanto piacere. Ma io non ho fatto nulla...
— Ora, ora te ne accorgerai...
E si portò il ragazzo sul palcoscenico, in una specie di oscuro antro pieno di polvere e di tele di ragni, sparso di ordigni strani, di corde, di carrucole, di pali, e popolato di figure fantastiche, immobili, appese a dei fili, come tanti appiccati, e coperte di stoffe e di lustrini che rilucevano nella penombra, al fioco lume di un lampadino ad olio.