Chi l'ha detto?/Parte prima/63

Parte prima - § 63. Regole pratiche diverse

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§ 63.

Regole pratiche diverse



In ordine cronologico raggruppo poche sentenze per la condotta pratica della vita, le quali non hanno trovato conveniente collocazione nelle altre classi. E comincio dalle Sacre Carte, dove troviamo delle vere perle filosofiche:

1403.   Neque mittatis margaritas vestrasante porcos.1

(Evang. dì S. Matteo, cap. VII v. 6).

1404.   Estote (ergo) prudentes sicut serpentes, et simplices sicut columbæ.2

(Evang. di S. Matteo, cap. X. v. 16).

Dai classici latini trarremo un savio motto che mostra come non basti il merito scompagnato dalla benigna fortuna ad assicurare il successo a chicchessia:

1405.   Virtute duce, comite fortuna.3

(Cicerone, Epist. ad famil., lib. X, ep. 3).
e la sentenza


1406.   Principibus placuisse viris non ultima laus est.4

(Orazio, Epistolæ, lib. I. ep. XVII, v. 35).
che taluno malamente interpreta cercandovi quasi una giustificazione alla cortigianeria - e cosi la intendeva il grande tipografo G. B. Bodoni, a proposito del quale io scriveva in una mia pubblicazione: « Non v’era occasione -visite di principi, nascite, nozze, funerali - in cui egli non manifestasse la sua

[p. 476 modifica] devozione ai potenti, qualunque essi fossero. Se si togliesse via dalla produzione bodoniana tutta la inutile congerie di stampe adulatorie, gratulatorie, encomiastiche, più di metà ne scomparirebbe! Usava egli ripetere il motto del Venosino: “Principibus placuisse viris non ultima laus” e si studiava di seguirlo con troppo letterale interpretazione» (Bertieri, L’Arte di G. B. Bodoni, con notizia biografica di G. Fumagalli, Milano 1913, a pag. 47)-; mentre il concetto che in essa si esprime è su per giù quello dell’altra frase, già citata al num. 208, Laudari a laudato viro. Ad altro scrittore classico si appartiene un consiglio prezioso non per i soli commercianti:

1407.   Cras credo, hodie nihil.5

ch’era certamente il titolo proverbiale di una delle Satire Menippee perdute di M. Terenzio Varrone e di cui non ci restano che due frammenti pubblicati in Opera et fragm. vett. poetar. latinor., vol. II (Londini, 1713), a pag. 1532: cfr. Chappuis, Sentences de M. Ter. Varron et liste de ses ouvrages d’après différents manuscrits (Paris, 1856).


La morale cristiana è tutta racchiusa nella divina sentenza:

1408.   Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris.6

Elio Lampridio nella Vita di Alessandro Severo, cap. 50, racconta che questo imperatore ripeteva spesso ad alta voce tale sentenza, imparata dai Cristiani, la faceva gridare pubblicamente dal banditore ogni volta che occorresse di punire alcuno, e l’amava tanto che ordinò si scrivesse nel palazzo imperiale e nei pubblici edifici. Le origini di essa sono senza dubbio da cercarsi nel versetto biblico:


1409.   Quod ab alio oderis fieri tibi, vide ne tu aliquando alteri facias.7

(Libro di Tobia, cap. IV. v. 16).
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e viceversa: Omnia ergo quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis: haec enim lex et prophetae (Vang. di S. Matteo, cap. 7, v. 12) e nel Vangelo di S. Luca (cap. 6, v. 31): Et prout vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis similiter.

1410.   Utile per inutile non vitiatur.8

è ditterio giuridico che si trova ripetuto, senza dire dei giuristi moderni, negli antichi trattatisti, per i quali vedasi per esempio la Summa M. A. Sabelli, sub voce Utile. I trattatisti, ripetendo il ditterio medesimo, si riportano al Corpus iuris, e principalmente al Digesto, lib. 45, tit. I, 1, costituito da un passo del giureconsulto Ulpiano in cui è la frase: Neque vitiatur utilis (stipulatio) per hanc inutilem. Concordano, con qualche differenza, un altro passo di Ulpiano di cui nel Digesto stesso, lib. 50, tit. XVII. 94. e il Codice, lib. 6, tit. XXIII, 17.


1411.   Primum vivere, deinde philosophari.9

è adagio di cui si ignora la fonte: qualcuno l’attribuisce a Hobbes, Nelle Sententiae graecae di Marc’Antonio Mureto si trova la seguente


Πρώτιστα πλοῦτον, εἶτα δ´ εὐσεβήσομεν


che Mureto attribuisce a Focilide, ma che non si trova nei frammenti del poeta milesiano nè dello Pseudo-Focilide e che ha un significato assai vicino a quello dell’adagio in questione: «Prima il danaro, poi la devozione». Cfr. Interméd. des cherch., 10 février 1907, col. 200.


In Dante leggiamo:

1412.   Poca favilla gran fiamma seconda.

che ammonisce a porre sollecito rimedio ai piccoli mali innanzi che l’incendio si allarghi e dia origine a guai più gravi, quel che dagli antichi era espresso nella sentenza già ricordata al n. 1330: Principiis obsta ecc.

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La sentenza:

1413.   Il fine giustifica i mezzi.

è evidentemente uno dei molti aforismi foggiati dalla coscienza popolare, condensando, per così dire, il succo di varie frasi analoghe, talvolta di autori diversi. Si è cominciato col dirlo del Machiavelli: ma nelle opere del Segretario Fiorentino non si trova, benchè il libro del Principe contenga (cap. XVIII) un periodo che su per giù esprime il medesimo concetto: « elle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci adunque un Principe conto di vivere, e mantenere lo Stato: i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati.» Perciò in questa sentenza si è voluto vedere il principio fondamentale del cosiddetto machiavellismo; sul quale argomento vedasi anche la magistrale opera di P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi (Firenze, 1877-82, voi. III, pag. 370-82) e il Tommasini, La vita e gli scritti di N. M., vol. I, pag. 4, n. 1. dove sono studiate le origini della parola machiavellismo.

D’altra parte si è detto da altri che l’aforisma medesimo era la quintessenza della morale gesuitica e probabilmente il primo che ciò affermasse, fu Pascal nelle famose Provinciales ou let tres escrites par Louis de Montalte à un provincial de ses amis (1656, 7me lettre), dove fa dire a un gesuita: « Nous corrigeons le vice du moyen par la pureté de la fin». Ma veramente in nessun moralista gesuita si trova in tal forma. Il Busenbaum nella Medulla theologiœ moralis (lib. VI, tract. VI, cap. II, dubium II, De usu matrimonii) scrive: Cui licitus est finis, etiam licent media; il Laymann nella Theol. moral. (Monach., 1625, pars III, n. 11): Cui concessus est finis, concessa etiam sunt media ad finem ordinata; l’Illsung nell’Arbor scientiæ (Dilingæ, 1693, Pag. 153): Cui licitus est finis, illi licet etiam medium ex natura sua’ ordinatum ad talem finem; il Wagemann, nella Synops. theol. moral. (Œniponti, 1762, pars I. pag. 28, n. 28): An intentio boni finis vitietur per electionem medii mali? Non, si intendatur finis sine ullo ordine ad medium. E così in molti altri trattati di casuistica morale. Ma è dovere di imparzialità di avvertire che queste sentenze non hanno il significato cinico che per spirito di parte si è voluto [p. 479 modifica] attribuire loro. Esse vogliono dire che se è lecito di aspirare a un fine, è pure lecito di adoperarsi per conseguirlo. Se, ad esempio, la ricchezza in sè stessa è bene lecito, è lecito, per la casuistica morale, di lavorare per acquistare la ricchezza. Questo non vuol dire che per arricchirsi sia permesso di valersi di mezzi disonesti, poichè non è detto che il fine lecito legittimi l’uso di ogni mezzo anche se illecito, cioè la violazione di altre leggi morali alle quali non si deroga espressamente: e le eccezioni non possono essere sottintese. Queste opinioni dei teologi non sono dunque che esercitazioni casuistiche: e più facile sarebbe di trovare l’insegnamento malvagio in altre sentenze apparentemente più innocenti, p. es. in questa di Plauto:

1414.   Qui e nuce nucleum esse volt, frangit nucem.10

(Curculio, a. I. sc. 1. v. 55).

Il proverbio:

1415.   Point d’argent, point de Suisse.11

secondo il Kirchhofer (Wahrh. u. Dichtung, Samml. Schweiz. Sprichw., Zürich, 1824, pag. 113) fu coniato dai Francesi in dispregio degli avidi mercenari svizzeri; invece l’Harrebomée (Sprech woordenboek der Nederl. taal, Utrecht, 1858-66, to. I, pag. 218) narra che nel 1521 i reggimenti svizzeri che erano ai servigi di Francesco I, non ricevendo ìa paga da vario tempo, si accomiatarono da lui proprio con quelle parole. Vedi anche il Deutscher Sprichwörter-Lexikon del Wander sotto la voce Geld, n. 765. Il motto si è prestato a molte facete imitazioni e parodie, per esempio quella di Théophile Gautier che nel 1835 scriveva al suo editore Renduel che lo sollecitava a lavorare: Pas d’argent, pas d’idée.

1416.   Il n’y a pas de héros pour son valet de chambre.12

frase cosi vera e che ha fatto meritata fortuna, non è della Sévigné come fu detto, ma è di mad. Cornuel, una delle [p. 480 modifica] Précieuses del secolo xvii, la quale del resto non avrebbe fatto che dare forma più calzante a una sentenza degli Essais di Montaigne, Peu d’hommes ont esté admirez par leurs domestiques, o alle parole del Maresciallo di Catinat: Il faut être bien héros pour l’être aux yeux de son valet de chambre. Ma a tal proposito acutamente osservava Giorgio Hegel nelle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte (Introduzione; nella ediz. di Berlino 1848, a pag. 40): «Für einen Kammerdiener giebt er keinen Helden, ist ein bekanntes Sprüchwort: ich habe hinzugesetzt und Goethe hat es zehn Jahre später wiederholt nicht aber darum, weil dieser kein Held, sondern weil jener der Kammerdiener ist» (cioè: Per un cameriere nessuno è eroe, dice un noto proverbio; e io ho soggiunto - e Goethe l’ha ripetuto dieci anni più tardi - che ciò accade, non perchè l’eroe non sia eroe, ma perchè il cameriere è cameriere). Non so dove l’Hegel abbia fatto primitivamente questa osservazione, ma posso citare le parole di Goethe nel romanzo Die Wahlverwandtschaften (II Th., V. Kap., in fine): «Es gibt, sagt man, für den Kammerdiener keinen Helden. Das kommt aber bloss daher, weil der Held nur vom Helden anerkannt werden kann. Der Kammerdiener wird aber wahrscheinlich seinesgleichen zu schätzen wissen». La stessa cosa fu pure detta più tardi da Enrico Heine.

Da un antico dettato francese del secolo xv:

1417.   On ne peut contenter tout le monde et son père.13

trasse La Fontaine la morale della sua favola Le Meunier et son fils (Fables, lib. III, fab. 1, v. 64-65):

     .... Est bien fou du cerveau
     Qui prétend contenter tout le monde et son père.

1418.   Glissez, mortels, n’appuyez pas.14

è l’ultimo verso di una quartina che il poeta Pierre Charles Roy (1683-1764) pose sotto ad un’incisione di Nicolas de Larmessin, rappresentante una scena di patinaggio: [p. 481 modifica]

     Sur un mince cristal l’hiver conduit leurs pas:
          Le précipice est sous la glace.
     Telle est de vos plaisirs la légère surface:
          Glissez, mortels, n’appuyez pas.

Il famoso monologo di Amleto che è nell’atto III, sc. 1 della tragedia omonima di Shakespeare, contiene la trita frase:

1419.   To be, or not to be, that is the question.15

una delle poche citazioni straniere (non tenendo conto delle francesi) che corrono sulle bocche di tutti in Italia: come si cita pure nel testo originale l’

1420.   Adelante, Pedro, con juicio.16

(Manzoni. Promessi Sposi, cap. XIII).

raccomandazione che il gran cancelliere Ferrer, mentre si reca a liberare il vicario assediato e minacciato dalla plebe, fa al suo cocchiere imbarazzato a guidare fra la moltitudine. Ma a proposito di quest’ultima si può osservare che essa non è di corretto spagnuolo. Il Manzoni avrebbe dovuto scrivere, Adelante, Pedro, con cuidado, poichè juicio in lingua spagnuola significa soltanto il «raziocinio». mai l’attenzione più che altro materiale. Si veda su tal proposito: A. Morel-Fatio. L’espagnol de Manzoni, nel Bulletin Italien, to. I, Bordeaux 1901, pag. 206-212.

In argomento al modo di condursi praticamente nel mondo, può talora citarsi la quartina del poeta satirico aretino:

1421.             Con la politica
               Più fina e bella,
               Tenevo a chiacchiera,
               Or questa, or quella.

(A. Guadagnoli, Il mio abito).

ma, con molta maggiore utilità, la prudente raccomandazione di Massimo D’Azeglio alla figlia: [p. 482 modifica]

1422.   La prima delle cose necessarie è di non spendere quello che non si ha.

«Massimo D’Azeglio quando cessò d’esser ministro, vendette i suoi cavalli, credo a differenza di molti altri che in simile contingenza li avranno comprati. Probabilmente la figliuola espresse rammarico di ciò al padre, e questi le rispose: — Quanto ai cavalli, è verissimo che m’è stato un po’ duro il separarmene. Perchè avevamo passate insieme molte avventure, m’avevano servito con molto zelo, e s’erano sempre condotti da cavalli onorati e dabbene. Ma ho dovuto mettere in pratica il precetto che davo a te, quando spendevi più del tuo assegno mensile e mi dicevi: Ma.... io compro delle cose che sono necessarie. Ed io ti rispondevo, che la prima delle cose necessarie è di non spendere quello che non si ha. Ora io non avendo più lo stipendio di ministro, se spendessi in cavalli spenderei quel che non ho; e farei come molti che sono buoni a predicare agli altri, ma non a mettere essi in pratica la predica. Del resto non mi dichiaro vittima per questo, e penso che ci sono molti che mi valgono e che stanno peggio di me.» (Faldella, Salita a Montecitorio: I pezzi grossi, pag. 111).

Talora è opportuno di tener presente anche le parole dell’arguto francese:

1423.   Pour s’établir dans le monde, on fait tout ce que l’on peut pour y paraître établi.17

(La Rochefoucauld, Maximes, § LVI).

Ma soprattutto non dimenticate quella massima di filosofia spicciola e pratica che è racchiusa nella frase di un aureo libro:

1424.   De duobus malis, semper minus est eligendum.18

(Tommaso da Kempis, De Imitatione Christi,
lib. III, cap. XII, v. 6).



  1. 1403.   Non gettate le vostre perle innanzi ai porci.
  2. 1404.   Siate prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe.
  3. 1405.   Con la virtù per guida, la fortuna per compagna.
  4. 1406.   Non è piccola lode aver piaciuto agli uomini più eminenti.
  5. 1407.   Domani si fa a credenza, oggi no.
  6. 1408.   Non fare ad altri quel che non vuoi che sia fatto a te.
  7. 1409.   Quello che tu non vuoi che altri a te faccia, guardati dal farlo giammai agli altri.
  8. 1410.   L’inutile non guasta l’utile.
  9. 1411.   Prima bisogna pensare a vivere, poi a fare della filosofia.
  10. 1414.   Chi vuol mangiare la mandorla della noce, rompe la noce.
  11. 1415.   Niente danari, niente Svizzeri.
  12. 1416.   Nessuno è eroe per il suo cameriere.
  13. 1417.   Non si può contentare tutti e anche il babbo.
  14. 1418.   Scivolate via, mortali, non vi trattenete.
  15. 1419.   Essere, o non essere, questo è il problema.
  16. 1420.   Avanti, Pietro, con giudizio.
  17. 1423.   Per farsi una posizione nel mondo, bisogna fare tutto il possibile per far credere di averla già.
  18. 1424.   Fra due mali, bisogna sempre scegliere il minore.